venerdì 21 settembre 2012

Dinamo Zagabria - Stella Rossa Belgrado: calcio, calci in faccia e calci di pistole


Autore di questo articolo è Francesco Leone: storico, chitarrista, gran bevitore di birra ed amante del bel calcio, soprattutto passato. Le sue origini sono per un terzo italiane, per un terzo tedesche e per un terzo trapattoniane.


E’ il maggio 1990 e la Jugoslavia è sull’orlo del collasso: Josip Broz, detto Tito, morto nel 1980 dopo un governo di 35 anni, non aveva lasciato eredi politici capaci di fronteggiare le divisioni etniche, linguistiche e culturali presenti tra le nazioni della Federazione. In Croazia l’Unione Democratica Croata, partito nazionalista e conservatore dell’ex ufficiale jugoslavo Franjo Tuđman, ottiene la maggioranza nelle prime libere elezioni. A pochi giorni dal secondo turno elettorale, il 13 maggio, la Dinamo Zagabria affronta in casa, al Maksimir, la Stella Rossa Belgrado.

La scena delle tifoserie jugoslave è animata da divisioni trasversali: alle normali rivalità cittadine, come tra Stella Rossa e Partizan a Belgrado, o nazionali, come tra Dinamo Zagabria e Hajduk Spalato in Croazia, si affiancano quelle inter-nazionali.
La partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado simboleggia la rivalità tra l’elemento serbo e quello croato in Jugoslavia, una rivalità talmente densa da oscurare il calcio giocato, nonostante la qualità degli interpreti: nella Stella Rossa militano Dejan Savicevic, futuro Genio milanista, Darko Pancev, futuro bidone interista, e Robert Prosinecki, proveniente dalla Dinamo Zagabria, nomade del calcio che avrebbe militato anche con Real Madrid e Barcellona. Capitano della Dinamo è Zvonimir Boban, 22 anni, icona insieme a Savicevic del Milan stellare di Sacchi.

L'arbitro neanche fischia l'inizio: gli scontri fra le tifoserie, accuratamente pianificati sia dai Delije, gruppo ultras della Stella Rossa, che dai Bad Blue Boys, tifosi della Dinamo Zagabria, prendono immediatamente il sopravvento.

A frapporsi fra i gruppi solo i deboli reparti della polizia federale jugoslava, che riesce solamente a peggiorare la situazione, rappresentando per i tifosi croati il braccio violento del centralismo serbo. È proprio un poliziotto a diventare uno dei protagonisti involontari della giornata: uscirà dal Maksimir con una mascella fratturata da una ginocchiata volante di Zvonimir Boban, uno dei pochi coraggiosi a non fuggire negli spogliatoi.


Gli scontri in campo continueranno per più di un’ora; nella città ancora più a lungo. Non ci scappa il morto, ma si conteranno quasi 150 feriti, 80 solo tra i poliziotti.
Secondo molti giornalisti gli scontri del Maksimir furono la miccia della polveriera balcanica, la proverbiale goccia di troppo. Come il famoso assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria a Sarajevo nel 1914, che le professoresse delle scuole medie di tutta Italia continuano a definire come “la causa, ma non proprio la causa” della prima guerra mondiale, gettando nella confusione generazioni di tredicenni.

La guerra civile in Jugoslavia esplode l’anno successivo.
Molti tifosi della Stella Rossa, della Dinamo, del Partizan Belgrado e dell’Hajduk Spalato entrano a far parte delle milizie irregolari degli eserciti combattenti.
L’esempio più lampante della connessione tra tifo violento e guerra civile è la vicenda di Željko Ražnatović, detto Arkan, famoso in Italia per essere stato ricordato in uno striscione degli Irriducibili in un momento di evidente confusione politico-ideologica.



Arkan, formalmente responsabile della sicurezza della Stella Rossa, sostanzialmente capo ultrà, diventa uno dei signori della guerra jugoslavi e fonda il corpo paramilitare “Le Tigri”, nel quale militano molti tifosi della Stella Rossa, passati da spranghe e pietre a fucili e bombe a mano.
Arkan sarà uno dei maggiori ricercati dall’Interpol negli anni ’80-’90, per crimini e omicidi commessi in numerosi paesi europei, e verrà successivamente incriminato dall’ONU per crimini contro l’umanità, genocidio e pulizia etnica.

La guerra civile finisce nel 1995, ma gli strascichi arriveranno fino al 2008, quando il Kosovo si dichiara indipendente dalla Serbia. In mezzo, crimini di guerra da ogni parte, interventi umanitari, occidentali e non, tagliagole e trafficanti diventati simboli di resistenza nazionale o capi di stato. Il risultato è la frammentazione della Federazione in sette Stati più o meno indipendenti (Serbia, Montenegro, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kosovo), ma la stabilità ancora oggi è lontana.

La partita del '90 simboleggia la fine del calcio jugoslavo.
Nei due anni successivi, molti calciatori migrano all’estero.
Oltre a Savicevic, Pancev, Prosinecki e Boban, Alen Bokšić passa al Cannes, Sinisa Mihajlovic alla Roma e Vladimir Jugovic alla Samp. Nonostante tutto nel maggio del '91 la Stella Rossa Belgrado vince la Coppa dei Campioni, battendo nella finale di Bari l’Olympique Marsiglia di Jean-Pierre Papin.
La nazionale jugoslava, che durante la guerra fredda aveva collezionato risultati discreti (due secondi posti nel Campionato europeo, tre argenti e un oro alle Olimpiadi) viene sciolta nel 1992. Da allora, il miglior risultato internazionale di una nazionale ex-jugoslava è il terzo posto della Croazia di Boban e Davor Suker ai Mondiali del '98.

Ironia della sorte, quell’anno la squadra croata, figlia del nazionalismo etnico, viene battuta dalla Francia di Youri Djorkaeff, Zinedine Zidane e Lilian Thuram. E’ proprio Thuram, simbolo di quella squadra multietnica e ambasciatore dell’antirazzismo nel calcio, a segnare i due gol che permisero alla Francia di battere in semifinale la Croazia…ma questa è un'altra storia.


Ascolto consigliato: Goran Bregovic, “Kalashnikov”.

Autore: Francesco Leone
Consigli, piccole aggiunte, incursioni sintattiche ed entrate a gamba tesa: Andrea Crescenzi, Giulio Ciavarella, Emiliano Pizzicannella.

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