martedì 6 dicembre 2011

La rivoluzionaria maratona del calcio : dal venerdì al lunedì.

Il calcio spalmato minuto per minuto. Uno dei fine settimana più lunghi della storia del Campionato italiano è giunto al termine. Ma il baraccone del calcio non si ferma e se aggiungiamo anche la partita di Giovedì della Lazio in Europa League contro il Vaslui e la due giorni di Champions alle porte ci accorgiamo che non c’è giorno nello stivale che non si parli di spread, di nuovi governi, di crisi dell’Europa e di Calcio. E tra poco si parlerà di mondiale per club, di panettoni, acquisti natalizi, di campioni d’inverno,europei, ritiri e vacanze dei calciatori, in una fornace che mette alla prova anche i più preparati allenatori da bar.
Il fatto che scriva per hobby e non per professione mi permette di diluire i tempi, quello che in termini tecnici romaneschi sarebbe “fa’ npo’ come me pare”, e srotolare una panoramica della giornata trascorsa direttamente al martedì.
Sulle testate che di sport vivono ( e quando si parla di sport si intende calcio, qui nella penisola) si è costretti ad assistere alla fiera della suspence : “Vittoria del Milan aspettando l’Udinese”, “Vittoria dell’Udinese aspettando la Juve”, “Vittoria del Napoli aspettando la Lazio” e aspetta che aspetta quando finisce la partita all’Olimpico si fa fatica a ricordare cosa abbia fatto il Milan il venerdì precedente.
I rossoneri hanno vinto, hanno atteso l’Udinese alla prova Inter ( o forse era viceversa), sperando che ritardasse, invece la squadra friulana si è presentata all’appuntamento in tempo. Uno a zero al Meazza. Con dedica speciale a tutti gli scettici, increduli che la squadra di Guidolin potesse tenere ritmi alti anche quest’annata. Da segnalare un rigore sbagliato per parte. Il tiro di Pazzini, già divenuto famoso per la sua scivolata, è un elogio alla vendetta. Da laziale penso: chi la fa l’aspetti. L’anno scorso uno scivolone difensivo di Biava fece vincere un'Inter in inferiorità numerica, annullando i sogni da grande Europa di noi poveri aquilotti. 
Oggi la vendetta è servita fredda, nella fredda Milano. L’Inter è costretta a dimenarsi nei bassifondi della classifica, in una situazione che non si presentava da 65 anni. Io fossi la Lega Calcio ritirerei la squadra solo per l’impresentabilità del campo. Ma come, stiamo parlando con i Campioni d’Europa, del mondo e delle due Italie e ti presenti con un manto del campo che neanche in provincia di Potenza in seconda categoria (discorso valido anche per il Milan). Quando i grandi club pensano a imitare le grandi d’Europa, si concentrano solo sui giocatori e sugli ingaggi, l’ambiente e tutto ciò che ruota intorno al calcio sembra che siano aspetti secondari.
Poveri interisti. A peggiorare il tutto aggiungiamo anche che gli errori nerazzuri fin qui sono stati tutti imputati all’allenatore di turno. A mio avviso la colpa più grande è di Moratti che dopo la chiusura di un ciclo con Mourinho non è stato in grado di esaudire le richieste di Benitez, uno dei migliori allenatori in circolazione, mettendogli a disposizione la stessa rosa dell’anno precedente. Niente Mascherano, niente Kuytt, niente Torres, niente partenze di Maicon e Milito. Al portoghese si regalarono Eto’o, Lucio e Snejder, per la nuova gestione arrivarono Biabiany e Coutinho e neanche si riuscirono a far partire giocatori ormai fuori dal progetto e in cerca di nuove sfide.
La Domenica pomeriggio invece ci delizia con la sconfitta della Roma e la vittoria della Juve. I bianconeri conservano la testa della classifica grazie ad un 2-0 contro un Cesena in assetto tartaruga. L’espulsione incredibile di Antonioli e il rigore fischiato a Giaccherini fanno ripetere il mantra: “Quest’anno devono fa vince’ la Juve”. 
Il mio amico Gazzobba, fisico d’altri tempi ed esperto bestemmiatore dell'antimateria, lo dice almeno da Luglio. A suo sostegno un grafico e una formula matematica in grado di prevedere l’esito del campionato italiano rispetto al minutaggio concesso a ogni squadra e alla scaletta di notizie di Studio Sport. Applicando questo sistema bisogna stare attenti ad eliminare i corpi estranei al calcio giocato della Serie A, altrimenti la classifica si presenterebbe sotto quest’aspetto: Juve, tifosi della Juve, stadio della Juve, Marotta, Milan, Galliani, Inter, Mourinho, Napoli, De Laurentis, Roma, Luis Enrique, Barcellona, Messi, Nadal, Cagnotto, Vezzali, Udinese e Lazio.
Come si può notare schema alquanto improbabile per il fatto che i tre posti disponibili per la Champions League sarebbero occupati esclusivamente da entità juventine.
Detto ciò quello che servirebbe realmente al calcio italiano, non è tanto il ritorno della Vecchia Signora nei posti che gli competono, tanto quanto una riforma della gestione del sistema stesso, che sia in grado di revocare un’espulsione ingiusta come quella di Antonioli.
Da rosso ai rossi e Rossi si passa a Firenze, non per la tradizione politica toscana ma per la partita andata in scena al Franchi. La Roma termina addirittura in otto e prende tanti gol quanti suoi giocatori lasciano il campo, messi in punizione da cartellini un po' più che gialli e in ugual numero ai fischi che servono all’arbitro per decretare la fine dell’incontro.
La partita sicuramente poteva evolversi in maniera differente senza la sciocca espulsione di Juan, ma il calcio è fatto anche di questo. Da notare come la Roma sfrutti a suo favore questi episodi che nel calcio fanno la differenza, solo contro le “piccole”, così come accaduto nella vittoria di Novara, che ha avuto il difetto di nascondere agli occhi dell’ambiente giallorosso gravi problemi strutturali della squadra, grazie all’entusiasmo dei gol di Bojan e Osvaldo. Udinese, Lazio e Fiorentina non hanno perdonato. Avranno anche vinto grazie a piccoli episodi contro la Roma, ma se episodio è traducibile con gol o espulsione, allora hanno vinto giocando al calcio.

L’espulsione che rimedia nel finale Bojan è rivelatrice del brutto momento che sta passando la compagine di Luis Enrique. Un gesto inutile, di resa ad un destino amaro, istintivo e adolescente. Il giovane catalano si dovrà scusare doppiamente, per il rigore e per il fatto di avere buttato a terra la maglia della Roma. L’inferno per i nostri cugini e il paradiso per noi laziali che ci pavoneggiamo nello sfottò capitolino : “A.S Roma Calciotto 1927”, “Ultima ora: Bojan si scopre cugino di Valdes e nipote di Zubizareta”. Quello che non si spiega è il perchè della parata del giovane talento romanista, oramai in una partita persa. Suarez, con la sua elasticità almeno aveva garantito il passaggio in semifinale dell’Uruguay contro la sorpresa Ghana, in una delle pagine più tristi per i valori dello sport. Bojan ha garantito in questo modo solo le critche. Inoltre la Roma sarà costretta così ad una formazione di emergenza nel prossimo scontro contro la Juve.
Anche se la profezia di mio padre a riguardo non mi sembra sbagliata : “Mejo così almeno se riposano, tanto con la Juve è già scritta.”. Forse anche lui, a sua insaputa, applica la formula matematica scoperta dal Gazzobba.
La giornata di campionato si chiude con un Parma-Palermo, miglior giocatore in campo Sky la nebbia e con il posticipo al lunedì di Lazio-Novara.
I biancocelesti portano a casa la vittoria con il minimo sforzo, grazie a un gol di Biava e ad una doppietta di Rocchi (102 con la maglia della Lazio). Novara mai in partita, tra gli spettatori a casa di Di Stefano ( cognome da fenomeno) ci facciamo beffa dell’Inter che a inizio campionato rimediò una sonora sconfitta dai piemontesi e della Roma che riuscì a vincere solo dopo un gravissimo errore di Meggiorini solo davanti a Stekelenburg. Da segnalare un palo di Cissè, che aggiunge emozioni alla soap opera del francese, fatta di gol mancati, sfoghi, strambe pettinature, accuse e scuse ai tifosi e dibattiti sul razzismo sui giornali d’oltralpe, ignari del fatto che Cissè a Roma è benvisto dalla tifoseria da loro definita "fascista" e criticato dalla restante parte dei laziali che vorrei definire "democratici" ma mi limito con un "disinteressati al connubio tra politica e calcio", ai quali non importa niente delle faide tra Lotito e il tifo organizzato, del Duce e delle nuove posizioni di Di Canio e ai quali interessa solo il futuro e il bene della Lazio.
Finisce quindi con una Lazio che si accoda al gruppo in fuga di Juventus, Milan e Udinese questa maratona moderna di quella che si continua a chiamare “giornata” di campionato.

 La rivoluzione dal venerdì al lunedì, a colpi di diritti televisivi e interviste preconfezionate. Basta poco nel mondo a sfera. Ho ricordi di cassette e di racconti in cui il calcio era rivoluzionario per davvero. Ti potevi chiamare come un filosofo, avere una laurea in medicina, bere birra, fumare quantità industriali di sigarette, parlare di politica e di autogestione delle squadre. Per fortuna oggigiorno quando uno stadio intero alza il pungo al cielo per ricordare quel grande campione e rivoluzionario che fu Socrates, allora vuol dire che non tutto è perduto, che il calcio, oltre alle relazioni extra coniugali dei calciatori, alle bravate, al calciomercato, ai commenti di Twitter e alle autobiografie, può ancora regalarci qualcosa di profondo e di vero, dal lunedì alla domenica.

lunedì 28 novembre 2011

La pizza d'Osvaldo e l'arte sacra del Tikitaka in terra capitolina.

L’arte sacra del Tikitaka finalmente è rivelata a noi comuni mortali della Penisola pallonara. Questa antica tecnica di palleggio, nata nelle valli catalane, è praticata da mesi nelle borgate romane, nella sua variante scismatica anche nota come : “Ao passame a palla”.
Il progetto era quello di riunire le rivalità storiche barcellonesi nelle figure di Luis Enrique e Osvaldo; allenatore della seconda squadra del club più forte del mondo uno ( ma non per questo la seconda squadra più forte del mondo) e attaccante di rilievo dell’Espanyol l’altro. Aggiungendo alla magica pozione anche Gago, ex madridista e tassista a tempo perso, si sarebbero riappacificate faide decennali tra le varie compagini militanti in Liga e si sarebbe esportato il meglio del meglio in terra romana, terra di lottatori e gladiatori.
Purtroppo l’arduo piano messo in atto da una cordata americana, arrivata in Italia con lo stereotipo di “Pizza, spaghetti e mandolino”, è ancora in fase d’attuazione.
Le condizioni ambientali, la fauna circostante e la dolce vita romana hanno caratterizzato in maniera particolare il progetto che, per una serie di congetture astrali, ha preso una direzione distante dall’armonia auspicata. Le radici del Tikitaka romano, dopo gli ultimi fatti di Udine sono quindi da cercare altrove.
Un pool di studiosi di Standford, incaricati dal patron giallorosso, ha indicato, come nascita di questa deviazione scientifica del sacro Tikitaka, la gomitata ricevuta da Luis Enrique da Tassotti nel quarto di finale di Usa 94’.
Il trauma di quella violenza non avrebbe mai abbandonato l’enfant prodige asturiano e avrebbe avuto ripercussioni serie ( “catastrofiche” nelle parole degli scienziati) sull’attuale situazione romanista.
Ecco quindi spiegate le incertezze e gli attriti dello spogliatoio giallorosso, culminate Venerdì sera con la lite tra Osvaldo e Lamela.
Fonti ufficiose ci parlano di una squadra divisa, con i “senatori” infuriati contro le “giovani promesse” o “eterne promesse” e di un Osvaldo fuori di sé per un pallone non ricevuto in una chiara occasione da gol da Lamela.
Non si sa ora se Osvaldo si sia rivolto a Lamela in spagnolo, in italiano o a gesti. Sicuro è che il fantasista argentino risponde, chiaro e conciso come il suo modo di giocare, senza troppi giri di idiomi apostrofando Osvaldo con un  “Zitto. Sei solo un tipo da spiaggia” e consigliandogli di “tornare alla sua vecchia professione di panettiere”; altrimenti se la sarebbe vista brutta. Coraggio che conferma le teorie per cui "El Coco" in realtà sia solo il soprannome storpiato del giovane Lamela, che alle scuole medie era in realtà conosciuto come “El Loco”, per la facilità con cui saltava le lezioni, spaccava i vetri delle aule con tiri a giro e guardava sotto le gonne delle ragazze.
L’ira di Osvaldo esplode incontenibile, come un gol di rovesciata annullato, come una maglietta di sberleffo con l’uniposca mal riuscita. Lamela si prende una delle più classiche “pizze in faccia”. Testimoni raccontano di aver temuto il peggio. Fortuna che Osvaldo non abbia scatenato sul povero semiconnazionale la potenza della mitica “pagnotta mortale tripla farcita di nocche”, mossa a cui è quasi impossibile sopravvivere.
Luis Enrique rimane soddisfatto e ottimista. Serve tempo. La tecnica sacra del Tikitaka se proprio non dovesse dare i suoi frutti in terra capitolina potrebbe quantomeno diventare un’arte marziale di tutto rispetto; i praticanti e promettenti combattenti sicuro non mancano.
La storia ci insegna che campioni si può diventare anche praticando queste arti. Le testate di Zidane, le spinte di Cantona, i calci volanti di Maradona non hanno intaccato la storia di grandi carriere. A Roma sono avvertiti. Non disperate. Totti, gran esempio per le nuove leve giallorosse, tra cui Osvaldo, sono anni che prova a scalciare e a imitare i gestacci dei grandi fuoriclasse. Con l’avvento della sacra scuola del Tikitaka forse è giunto il momento di svolta per tutta la Roma. Il momento di mettersi la cintura nera e ripetere tutti insieme l’antico motto di questa compagine capitolina: “Ao sto qua, passame a palla se no te crocco!”.

mercoledì 23 novembre 2011

Osvaldo, la rovesciata e le porte del paradiso.

Osvaldo è indiscutibilmente l’emblema della nuova Roma in cerca d’autore e di conferme. Evanascente e concreto, strabiliante e deludente, fuori giri, fantasista, che umilia e viene umiliato.
Il gol di Domenica con il Lecce modella ancor di più una stramba immagine, che si è formata grazie anche alla maglietta di sberleffo contro una vendicativa Lazio e alla tanto chiaccherata convocazione in nazionale.
Osvaldo il panettiere. Per la sua abilità di sfornare pagnotte e rosette. Sono famose ormai le sue piedate sporche di farina con cui spiazza portieri disorientati. Osvaldo il pizzettaio. Osvaldo il pasticciere. Tutta colpa del suo look e di quel nome poetico romanesco.  Amato dai laziali e dai romanisti per ragioni differenti. I secondi ci vedono un’incarnazione mista tra Batistuta e Caniggia, i primi solo una macchietta che con i suoi semigol non fa altro che illudere e anestetizzare gli umori dei cugini giallorossi, facendoli credere un’ottima squadra.
In questo calderone di emozioni e calcio parlato, l’acrobazia dell’attaccante italoargentino entra di diritto nell’antologia del surrealismo calcistico. Il ricordo di questo gesto rimane a mezz’aria , sospeso tra realtà e fantascienza, tra nato ed innato. Il gol inesistente di una rovesciata che rimarrà eterna.
L’antipasto è servito da Gago, tassista tuttofare del centrocampo romanista. A Osvaldo non resta che condire quel pallone vagante nell’etere con un pizzico di cipolla, materia pregiata del proprio capello, e trasformare quel traversone dantesco in una rovesciata paradisiaca.
Il diavolo in questa occasione non  veste Prada ma abiti firmati Lega Calcio Seria A: il povero guardialinee, che essendo umano, con il suo errore aggiunge ancor più fascino e mistero all’atto incompiuto. Osvaldo si dispera con stile, come può sbracciare dopo tale sforzo?
In Lega ( o Uefa, o Fifa) non si parla ancora di innovazioni della tecnologia che potrebbero evitare  questi scempi. Questione di poesia: calcio robotico contro errori fiabeschi.
Il secondo stupro della bellezza veste sempre gli stessi abiti e porta la cravatta dei diritti. Su youtube è stato censurato dopo poche ore il video dell’accaduto, che nella versione inglese era un orgasmo per gli ascoltatori  : “ Oh what a terrible decision!” , con un telecronista d’oltremanica incredulo e al massimo dell’ispirazione dialettica.
La narrativa sul sacro errore e sull’ingiustizia arbitrale già abbonda. Il povero Osvaldo è costretto a essere prigioniero di una storia senza lieto fine.
Fare un gol stupendo in rovesciata è cosa da campioni. Vialli, Panini, Rooney, Djorkaeff, Rivaldo e molti altri. Osvaldo si sarebbe andato a sommare ad una schiera di fuoriclasse e sarebbe finito per essere inghiottito in una nebbia di ricordi sbiabiti.
Rimanere sospesi in aria, paladini di una giustizia che il calcio non conosce è sicuramente un privilegio per pochi.
Anche i panettieri a volte vanno in paradiso.

Ciava

venerdì 4 novembre 2011

Al-Laziu conto Az- Zurigu : la questione linguistica in Europa Lig.

Ogni domenica la scelta sul luogo dove seguire la partita è un processo che acquista un’importanza quasi maggiore a quella dell’incontro stesso.
Per noi, manciata di laziali in cerca di conferme, ormai da tempo lontani dallo stadio, ognuno per differenti motivi, diviene una scelta metodica. Crediamo realmente che il giusto ambiente, sia casalingo o di pubblico passaggio, possa donare carica vincente alla nostra squadra, anche se siamo divisi da chilometri di ripetitori satelittari e segnali parabolici. 
Quest’anno all’ardua selezione si è aggiunto anche il giovedì, giorno in cui si gioca l’Europa League. I problemi per questo turno contro lo Zurigo, inoltre, sono aggravati dal fatto che la partita verrà trasmessa solo da “Mediaset Premium”. Nella nostra ipocrisia da finti combattenti del sistema siamo tutti attivi nell’ingrossare i ricavi di “Sky Sport” e gli unici abbonati a Mediaset sono incastrati con il lavoro almeno fino alla ripresa. Ora ci sarebbe da dilungarsi sul fatto che è pur sempre meglio essere complici di Murdoch che di Berlusconi e Confalonieri, ma questo è un discorso che parte dal cricket professionista e arriva alle crociere cantate e solo in parte sfiora concetti interessanti quali il tiro da fuori area di Seedorf.
La soluzione a quest’empasse si risolve con quello che i letterati informatici chiamano “streaming”. Il luogo prescelto per la diffusione è infine casa del Cinese. Nel duo sono l’unico ad avere una minima esperienza nel settore, essendo stato obbligato a seguire metà campionato via internet durante un periodo di lungo soggiorno in Francia. Per mia fortuna dovetti subire quest’esperienza nella prima parte della Serie A di due stagioni fa, con la Lazio allenata da quell’ essere mitologico conosciuto come Ballardini. Ne ho sicuramente guadagnato in salute da tifoso, grazie a tutti i rallentamenti e black out a cui è esposto il servizio, i quali mi hanno impedito di vedere con continuità una delle Lazio più orrende che io possa ricordare. Il giorno del derby, addirittura, saltò totalmente la connessione e fummo costretti ad ascoltare la telecronaca via radio, incluso gol di Cassetti. Che a pensarci bene solo via radio è possibile un tale avvenimento, perché a vederlo con i tuoi occhi non realizzi che uno come Cassetti può segnare realmente al derby.
Mettendo da parte i tristi ricordi calcistici d’oltralpe, inizio a smanettare e in un attimo e apro una diretta indiana, una cinese e una francese.
Con il Gazzobba, appena arrivato al mio fianco al commento tecnico, scegliamo di lasciare lo streaming della televisione Canal Plus, non solo perché con migliore risoluzione ma anche per la presenza di un' introduzione e una presentazione alla partita. I tre conduttori si sfidano a colpi di liason e erre mosce. Parlano del loro connazionale Cissè e appare un riquadro che indica gol, assist e presenze in campionato e coppe dell’attaccante biancoceleste. Gazzobba mi chiede : “Ma buts vordì golle nfrancese?” “Si, più o meno, senza e finale però: gol.” e aggiunge, continuando nelle sue classiche analise scrupolose: “ Certo che sti francesi stanno fori fracichi, ma dimme te se quissi se mittenu in studio a parla daa Lazio, ma n’Italia chi ce se mette a parla e a ffa l’analisi prima de na partita tipo Rennes- Crackovia,a perde tempo, mo spieghi, n’è che staranno a gufa sti mangiarane?” “ Je ne sais pas, mon ami.”
L’ambiente si surriscalda, mancano pochi minuti. Intanto il Gazzobba se la prende con Ringhio, il cane del Cinese. Che, in tutta sincerità, essendo il cane di un laziale io l’avrei chiamato piuttosto “Fernando Couto” o “Diegopablosimeonefaccengo’”, però sono gusti. La diatriba va avanti per molto, finchè dei rumori sospetti provenienti dalla porta fanno sbottare il Gazzobba in un francese accademico, probabilmente appena appreso : “ A Ringhio, nun t’accolla, sii rotta li cujuni, non te faccio entra.” per poi corregere il tiro rapidamente: “Ah, ciao Ba’, entra, prego.”. Intendendo per “Ba” non il giocatore ex Perugia e Milan bensì il diminutivo del nome della madre del Cinese.
Subito dopo l’entrata con tappeto rosso di “Ba” segue in scia il Pollo, da tempo alla ricerca disperata di un posto dove vedere la partita e imbucato senza avvertire, ma accolto a braccia aperte nel regno biancoceleste.
La partita ha inizio. Subito dopo pochi istanti una buona parata di Marchetti ci agita. E’ la squadra svizzera a fare gioco e tutti ci chiediamo come sia possibile visto che in terra elvetica non sembrassero avere un così buon possesso palla. Ovviamente la Lazio è rimaneggiata causa turn over. Rocchi dal primo minuto affiancato a Klose, centrocampo con Lulic, Ledesma, Cana e Sculli, in difesa ai titolari Radu e Dias sono affiancati Diakitè e Zauri. Dal ventisimo del secondo tempo lo streaming diventa il miglior giocatore in campo: rallentamenti, rapidi saltelli in avanti di un minuto intero, cambio di lingua e scomposizione fisica dei giocatori. Mandiamo al diavolo Sarkozy e i francesi e cerchiamo di rimediare. Trovo repentinamente un link più leggero, con risoluzione peggiore ma senza problemi di velocità. I miei compagni si affrettano nei commenti : “ E’ russo” ma sono smentiti pochi secondi dopo dalla raffica di faringali, occlusive e stati costrutti. Un’arabista del mio calibro non ha dubbi: siamo su Al-Jazeera. Altro che l’elitario Sky. Sport per tutti. Ricordo le mie due uniche esperienze di partite visti in paesi arabi sul canale dell’emittente del Qatar. Le ultime due finali di "Supercoppa Italiana" Lazio – Inter e Roma – Inter; vinta la prima dai biancocelesti e la seconda dai nerazzurri. La scaramanzia è dalla mia parte. Subito vengo tartassato. "Ora ci dici cosa dicono questi qui!". Decidendo di evitare il classico trucco di inventare una traduzione, tanto poi l’arabo non lo capisce nessuno, mi sforzo a guidare la mente tra verbi di media debole e accusativi. “Kura. Ha detto kura che vuol dire palla.”, “Awwal. Ha detto awwal che vuol dire primo.”, “Zauri. Ha detto Zauri che vuol dire pippa fracica con i piedi a forma di zattera sbilenca.” “Tutto questo in una parola?”,” Eh lo sai come so st’arabi, na parola so cinque frasi nostre.”.
Il primo tempo scorre lento così, con una Lazio addormentata. Nell’intervallo i commenti sono affidati a Cesare Maldini, collaboratore dell'emittente. In studio si intasano gli idiomi. Prima arabo classico, poi dialetto, poi inglese e italiano tutto sovratradotto cinque volte. Alla fine ci rassegniamo; tanto di quello che pensa Maldini, tradotto in arabo, sulla Lazio non ce ne può importare di meno.
Al secondo tempo entrano Brocchi e Cissè al posto di Lulic e Klose. Ecco farsi sentire i primi sintomi del laziale esigente. “Ma come Klose? Ma Hernanes? Ma fuori Lulic?”. Chiamasi turnover: le competizioni sono tante e le forze è meglio distribuirle. Il tifoso medio vorrebbe in campo sempre Cissè, Klose e Hernanes con l’aggiunta di Nedved, Veron e Gascoigne a sostegno. I cambi sono visti con bidimensionalità, come se si giocasse al computer e tutti fossero sempre al massimo della forma. L’allenatore che conosce bene i suoi e le dinamiche dello spogliatoio non conta niente agli occhi di un critico da bar.
Appena l’arbitro fischia, al riprendere della telecronaca mettiamo in tavola la carta “scaramanzia”. Esordisce il Pollo: “Dai che con la telecronaca in arabo siamo avvantaggiati che abbiamo due calciatori musulmani in rosa!”, siamo perplessi:  “Scusa Pollo ma che stai a di?”, “Ma come oh. Lulic e Cana non so musulmani?”. Ci facciamo assalire da un raptus post 11 settembre : “Sicuro? Boh. A me sembrava fosse Cissè musulmano.”, “No te sbaji, quello era Kanoutè del Siviglia.”, “Allora che me dici de Matuzalem?”, “Quello è cristiano evangelico fondamentalista.”, “Come Kaka?”, “Na specie, solo che co du piedi de latta e co più tatuaggi.”.
Ripresi dalla paranoia dello spauracchio islamico ci concentriamo sulla telecronaca molto emozionante; ogni pallone che superi il centrocampo è accompagnato da urla del telecronista: “Aaaaaaaaaaa…..”. La Lazio sembra aver cambiato marcia, ma non ingrana la quinta, a malapena una terza con singhiozzi.
Poco prima del più bello sono costretto a lasciare la proiezione della partita. Compleanni di famiglia con orari accordati in precedenza. Studierò pure arabo, ma una cena a base di porchetta e mortazza non si rifiuta tanto facilmente. Me ne vado ovviamente con l’amaro in bocca per un risultato ancora in pareggio. La radio non si sente per problemi di diritti. Al diavolo Murdoch e Berlusconi. Che se ne vadano in Australia in crociera ad interessarsi di rugby e salto del canguro.
Appena arrivato a casa chiedo conferme sulla partita. Ha segnato Brocchi. Ma chi Brocchi il buddista? No quello era Baggio. Brocchi il camioncino d’acciaio, ricercato da Cia e Fbi per espirementi di clonazione per il centrocampo. Quello che è andato in bancarotta con Vieri. Ma non era buddista? Buddista non lo so, sicuro qualche santo protettore l’avrà in cielo,perché la deviazione di Texeira al suo tiro sicuro sarà stata telecomandata da qualche divinità.
Il gol non riesco a vederlo neanche su Youtube. Un complotto verso il mio amore per Brocchi. Chiedo spiegazioni sull’accaduto al Gazzobba e al Casty. Le differenti teorie di entrambi: fisica la prima, romantica la seconda. Spiegazione del Gazzobba : “Tiro di Brocchi, deviazione che ha fatto fare alla palla una traiettoria più (accento mio) arcuata e così (accento mio) ha scavalcato il portiere. Classica deviazione ‘pallonetto al portiere’. Hai capito quale?”. Spiegazione del Casty: “E’ come quanno tiri aa Play che ce sta er trucchetto pe segna se incappi bene. E il portiere non po scappa. Brocchi è tutto cuore e certe deviazioni se c’hai er core grande, prima o poi te capitano. Sta tutto qui er trucchetto.”.
Per farla breve una Lazio non bella ma corsara, pirata e caparbia porta a casa tre punti buoni. Anche se la qualificazione si giocherà tutta il primo Dicembre in Romania, dopo il successo del Vaslui contro lo Sporting Lisbona.
Si torna a casa ( si giocava a Roma, ma i giocatori una casa di proprietà ce l'avranno anche) con una vittoria e con fiato guadagnato per alcuni pezzi pregiati. Uno Cana meno criminale e un Marchetti sempre più convincente che vanno aggiunti alle certezze di sempre: Brocchi, Klose, Dias, Cissè e Ledesma. Il momento è ottimo. Stiamo assistendo a una vera e propria primavera biancoceleste. Le dittature del campionato italiano da ora in avanti sono avvertite.

Ciava

mercoledì 2 novembre 2011

Storie di calcio virtuale : da World Cup a Scoppolandia.

La generazione di mezzo alla quale appartengo in gioventù si nutriva di calcio. Alcuni iniziavano a militare nelle squadre locali all’età di sei anni,altri sceglievano scherma o rugby, due sport di grandi tradizioni a Frascati,ma, indifferentemente dal piccolo impegno sportivo di ognuno,si giocava tutti quanti a pallone. Nei parchi, nelle ville, nei giardini, negli anfratti, all’oratorio, in cameretta e sui balconi. Si finiva sempre sudati credendosi Baggio, Maldini,Raul o Batistuta. Uno contro uno, porta a porta, porta unica, portieri volanti, tutti contro tutti, tedesca,porticina e tornei a eliminazione diretta. Palloni di carta, succhi di frutta, palline, pali con zaini, felpe e traverse immaginarie.
Non sazi, calata la sera ci sfidavamo a Subbuteo in epici scontri Olanda-Argentina, Inghilterra - Francia, Juve - Roma. Dal piede alle dita la passione era sempre la stessa. Non di rado si spendevano le 500 lire al videogioco con schermata preistorica del bar sottocasa  smanettando con i comandi e imprecando contro il tempo scaduto e gli spicci terminati. Chi aveva l’Amiga o il Nintendo a volte organizzava con gli amici sessioni interminabili di calcio virtuale. Tiri segreti, bidimensionalità, campi ghiacciati e joystick rettangolari. World Cup. Tasto A Tasto B. Stile Barça perché a pensarci al calcio si può giocare anche solo con due pulsanti, facendo le cose più semplici. E poi fantacalcio, le figurine, Volpi e Poggi ( calciatori mediocri che hanno fatto la fortuna dei dentisti di tutta Italia): il calcio era la nostra pietanza preferita.
Si sognava tutti di diventare dei campioni, segnare all’ultimo minuto il gol decisivo al derby o procurare il rigore inaspettato a tre dal termine nella finale del Mondiale. Anche chi era terzino e aveva i piedi di a forma di Colosseo quadrato ( quello della pubblicità della Nike) non rinunciava a queste fantasie. Quando ci si è poi resi conto che la strada verso il successo era alquanto complicata, si decise di sognare, quantomeno, di diventare i dominatori incontrastati del calcio virtuale. Erano gli anni di Winning Eleven. Con l’avanzare delle tecnologie il Calcio divenne Totale.
Realtà e immaginazione si mischiavano in unico calderone. Ricordo il mio primo gol a Winning Eleven al pari di come ricordi le mie vittorie da giovane terzinaccio nei campionati nazionali. Cross da calcio d’angolo, la difesa avversaria ( comandata da Alan) allontana di testa, la palla finisce sui piedi di Edgar Davids che tira un missile terra-aria sotto il sette. Olanda 1- altra squadra 3.Una sconfitta che valeva come una vittoria. Da buon principiante, erano mesi che prendevo scoppole da tutti senza mai marcare una rete e quel gol mi ha aperto le porte del fantastico mondo del calcio virtuale.
Da lì un’infinita serie di diagonali al limite dell’aria, Zenden Overmars attaccanti laterali, Nedved e Poborsky macinatori di fasce, Roberto Carlos punta esterna ( pratica da me mai usata perché ero molto conservatore e realista anche alla Play, i rigori tutt’oggi li calcio come andrebbero calciati, ovvero chi ha buona tecnica con precisione e chi è uno zapparo bomba centrale.), filtranti con triangoli e falciate da dietro quando si rosicava. Se si spegneva la Play era il massimo degli affronti. Ho visto gente non parlarsi per mesi e non rispondere al telefono ad amici di una vita per un calcio d’angolo o un gol non meritato.
Winning Eleven si trasformò presto in Iss Pro Evolution acquistando alcuni diritti in più e conservando alcune pecionate. In quegli anni vincere un torneo a Pro equivaleva ad essere incoronato monarca assoluto. Le gesta di una vittoria sugli altri avversari poteva erano tramandate oralmente per mesi e mesi. E se successivamente si fosse persa una normale amichevole, si sarebbe sempre potuto tirar fuori la scusa di essere il campione del torneo da 16 iscritti e di averlo vinto con la Repubblica Ceca, mica con il Brasile o con l’Argentina. Le ragazze cadevano ai nostri piedi. In realtà la Play veniva prima di tutte le ragazze, le quali di solito sbuffavano da dietro i divani : “Che palle co sti videogiochi”. “Silentiiiiiii….non potrete mai capire la goduria di un gol da fuori aria e dello sbefeggio del contendente dopo ore di strabismo e di un etto di calli al pollicione!”.
Nelle mie prime grandi sessioni di Iss Pro, quelle che esci dopo sette ore di calcio virtuale e commenti il tempo meteorologico fino ad allora coperta dalle tende della cameretta con un : “C’è sole ma tira anche vento”, fui iniziato alle pratiche del gioco dal mio amico Alan, appassionato di calcio e di professione brasiliano. Eravamo soliti sfidarci a colpi di quadrati e rettangoli indossando le magliette delle formazioni da noi scelte. Il fatto che una persona abbia le magliette del Milan di Ayala e Andrè Cruz (il difensore) vi lascia immaginare la vastità della collezione. I nostri scontri andavano da Nigeria - Sud Corea a Argentina - Portogallo, Camerun - Australia e Milan - Psg. Quando si segnava era d’obbligo qualche balletto sotto la finestra. A dire il vero le partite a casa sua erano le più difficile:  espugnare la sua cameretta era molto complicato a causa di una foto ben visibile sul muro, che lo immortalava giovanissimo in braccio a nientepopodimeno che Pelè nello stadio nientepopodimeno che il Maracanà. Troppa soggezione nello sfidante. E se Pelè fosse sceso dalla foto venendo in suo aiuto?  Meglio perdere che immischiarsi in problemi più grandi di noi.
Quasi da subito iniziai ad alternare queste sessioni con altre, in compagnia del mio grande amico Giulio (anni dopo soprannominato Gazzoba), già ai tempi bestemmiatore doc. Il passaggio dalla Play Station 1 alla Play 2 fu rapido. Bastò schierare una volta con l’Inter Toldo come ariete centrale ( al bando le chiacchere sul conservatorismo) e segnare un gol di sinistro rasoterra all’ultimo minuto. Potete immaginare gli sberleffi rivolti al mio opponente. “ Segna sempre lui, l’ariete Toldddddddddooooooooo”. Il Gazzobba che già ai tempi era uomo di grande calma e saggezza si limitò a imprecare tutti i santi cristiani, a maledire metà discendenza della famiglia Moratti, a offendere le mie credenziali di buon giocatore, ad accusare le divinità buddiste e l’oroscopo di Paolo Fox. Ritornato in sé, si avviò con molta tranquillità verso lo sgabuzzino, ripresentandosi un minuto dopo  con martello in mano. Le bestemmie erano ora svanite. Si passava alla classica violenza da Hooligans di Iss Pro. La foga con cui si scaraventò contro l’incolpevole piattaforma virtuale mi riportò alla mente lo scontro iniziale di “2001 Odissea nello Spazio”.
Fui bandito per un mese da casa sua e tornai solo dopo che si comprò la Play Station 2 per testare il nuovo Iss Pro. Quando si compra l’ultimo numero della serie i commenti sono sempre sbalorditivi: “ Sembra vero” “ Che gioco! Si sono superati questa volta”, “ Gran realistico”. Senza accorgersi del fatto che siano identici ai complimenti dell’anno prima; persino a quelli rivolti a Iss Pro 2, che per far girare l’attaccante dovevi muovere a tempo con le mani la televisione, altrimenti il giocatore sarebbe andato dritto senza fermarsi.
Tra tutti questi pixel il mio più grande pregio è stato quello di non possedere mai né Play Station né X-box. Mi sono fermato alla prima Nintendo di Mario Bros e del già citato World Cup. Le suddette esperienze a casa di amici mi fecero diventare ( pseudonimo che uso ancora oggi) “il giocatore più forte di Iss Pro Evolution Soccer di tutta l’Europa Centrale a non possedere una Play Station a casa”. Anni fa mi arrivò notizia da parte di un mio amico in viaggio in Germania che a Dresda ci fosse un ragazzo che rivendicava lo stesso titolo. Adesso il quesito sarà affidato a geografi e storici per stabilire se Dresda sia o no Europa Centrale.

Nel frattempo gli Iss Pro si susseguivano e sul mercato iniziava a farsi sentire anche la concorrenza di Fifa. L’ultimo e unico Fifa che avevo era quello del 98 per il computer. Un gioco che ha fatto la storia. Si poteva trasferire i giocatori facilmente e si terminava sempre con corazzate del tipo: Barthez, Thuram, Hierro, Maldini, Roberto Carlos, Beckham, Redondo, Giggs, Zidane, Ronaldo e Batistuta con l’aggiunta di panchine che avrebbero fatto gola a mezza Europa. Da qualsiasi posizione del campo il tiro centrava la porta, prima del centrocampo non si poteva tirare, si poteva intervenire in scivolata sul portiere pronto a rinviare rimediando un’espulsione. Rimasti in sette la partita era vinta a tavolino dal computer. Si usciva rosicando ma da veri assassini. Couto e Montero a Fifa 98 giocavano col completo di Rambo Uno per questo motivo.
L’anno scorso addirittura qualche appassionato si è sbilanciato nel profetizzare il sorpasso di Fifa sul suo rivale storico. Il Gazzobba, estremista di Iss Pro, confutava queste tesi con bestemmie al quadrato e snocciolando a suo favore ben sette leggi della fisica per cui i movimenti dei giocatori di Fifa fossero irreali, tra queste la legge del : “Ma come cazzo fa Gattuso a fa ngo così?”.
Fifa doveva ancora aspettare. Erano ormai due anni che io e Gazzobba non ci sfidavamo più tra noi in lunghissime sfide condite da sinossi come :”Sti sempre a scula” “Zitto che so più forte io,na vedi mai con me a palla” “Io non ho toccato niente, la scivolata me l’ha fatta er computer, anfame!”. Avevamo preso, infatti, l’abitudine di giocare in due con la stessa squadra e sfidare il computer. Ecco quindi un Europeo vinto con l’Italia con gol di Perrotta ai supplementari, un Mondiale con la Spagna e una Champions con il Liverpool, quest’ultima sudata quattro camicie. Ma tutto ovviamente iniziando le semplici competizioni e selezionando di volta in volta la squadra. Finché l’anno scorso ci imbarcammo in quella magica avventura che tutti gli appassionati conoscono con il nome di Master League. Intenzionati ad andare al sodo  ci siamo presi subito la Lazio, con i giocatori in rosa dell’anno scorso, per risparmiarci due stagioni con i vari Castolo, Minanda e Jaric. Colonne portanti di un calcio stellare.
Lo spennellone
Primi due anni buoni, perdiamo una finale di Coppa Italia contro il Catania, quarti di Europa League e terzo posto nella seconda stagione di Campionato, con un grande Peter Crouch acquistato dal Tottenham che segnava in qualsiasi maniera. Crouch fu un acquisto obbligato essendo un pallino storico del Gazzobba; una volta rischiò di essere bandito per secoli da casa Cimotto perché un gol segnato con lo “spennellone” inglese all’ultimo minuto provocò quel fenomeno fisico che i letterati chiamano ”raffica di bestemmie di gaudio”. Tutto questo alle tre di notte con la madre di casa Cimotto militante di "Comunione e Liberazione" che dormiva nella stanza di sopra.
Crouch a parte, ingraniamo e diventiamo campioni d’Europa il primo anno di partecipazione alla Champions con lo scheletro della formazione dell’anno precedente della Lazio e con l’aggiunta di Palmieri ( giocatore inventato da Iss Pro, baluardo difensivo dai piedi a spirale), Cigarini, Giovinco e Cavani. Zarate pallone d’oro. Calcio virtuale allo stato puro. L’anno dopo facciamo il botto sul mercato, tutti via, arrivano Silva ,Ozil, Benzema, Thiago Silva e Busquets. Vinciamo tutte le coppe inventate, ma in cinque stagioni non riusciamo mai a vincere un campionato. Con 92 punti finiamo per due anni secondi. La Roma davanti a noi ne fa sempre qualcuno in più. 93. 94. I cugini hanno costruito la squadra anti-Lazio acquistando Ribery, Aguero, Nasri, Guti, Iniesta e Ferdinand. Altro che progetto. Calcio virtuale allo stato puro. Un anno gli vendemmo anche il povero Lichsteiner. Fantascienza intergalattica.
La stagione successiva firmiamo con Messi, Ibra e qualche altro fenomeno. Andiamo falliti e finisce così la nostra avventura. Come ai tempi di Cragnotti.
Sembrava che per noi due il calcio virtuale avesse fatto il suo corso ma un giorno di quelli vuoti, con le lancette dell’orologio che scorrono lente, mi arrivò una chiamata del Gazzobba a casa: “Devi venire subito. Mi sono comprato Fifa 12”. Apriti cielo. Ma chi il Gazzobba? Colui che se vedeva lo stemma della Ea sports correva a prendere benzina e fuoco? Bestemmiatore dei tre mondi, fisico in provetta e presidente delle due Laf, Lega anti foulard e Lega anti Fifa? Un’occasione da non perdere. I cattolici di tutto il vicinato sono avvertiti repentinamente onde evitare possibili fraintendimenti.
Da critico professionista non saprei dire quale tra i due giochi sia migliore. Di certo Fifa ha fatto passi da gigante e la parte tecnica su trasferimenti e svolgimento tornei è di gran lunga su un altro livello. Decidiamo di provare l’ebbrezza di cominciare una Master League dalla Serie B, cosa impossibile a Iss Pro visto che i medici sconsigliano,per salvaguardare la salute, di scegliere formazione militanti nel campionato cadetto della Konami quali il Quatzola.
Ciofani in uno dei suoi famosi calci rotanti
La scelta ricade sull’Ascoli. Il “Projetto” era di conquistare la promozione la prima annata. Iniziamo con un paio di scoppole servite a freddo. Ancora ci dobbiamo abituare. Continuiamo con scoppole a portar via, scoppole fritte, scoppole al vapore e scoppole grigliate. Crediamo forse che sia il fatto di distrarci ogni volta che la voce di Caressa pronunci il nome di “Papa Waigo” a non garantirci la giusta concentrazione per portare a casa almeno un pareggio. Fatto sta che dopo una cocente scoppola contro il Sassuolo riavviamo da capo. Basta. Si rivoluziona tutto da oggi. Iniziamo nuovamente, ma stavolta con il Padova ( che a Fifa è “Padua”, forse alla maniera padana, chissà). Il “Projetto” era quello di conquistare la promozione la prima annata. Cutolo, Milanetto e Succi i nostri eroi. Dopo una partenza stravolgente ordiniamo due scoppole alla giudea, scoppole salate, scoppole tritate, scoppole al curry, scoppole sottolio. Rischiamo l’esonero. Diventiamo i monarchi assoluti di Scoppolandia.
Le imprecazioni si moltiplicano. Sinceramente io posso capire la difficoltà sempre crescente dei giochi di calcio virtuale, ma prendere tre gol da Caridi del Grosseto è proprio frustante. Per non parlare di Ciofani dell’Ascoli che quando lo avevamo noi era una pippa al sugo e ora sulla fascia si diletta in doppi passi, tunnel, piroette e calci rotanti.
Io ci provo a continuare a credere nel “Projetto” ma il Gazzobba assicura che appena ha tempo si va comprare Iss Pro 12 e al diavolo Fifa, Blatter, Platini e Ciofani.
Isterismo da calcio virtuale. L’amore per il pallone porta a tali pazzie. Malattie incurabili. Ma attenzione a non illudersi tanto facilmente . Questo mondo soprannaturale è solamente l’altra faccia di una medaglia ben nota. A volte non si allontana di tanto dalla realtà. Così come i videogiochi ti fanno innamorare di piccoli particolari, di controfigure e attori secondari di questo sport, nel calcio reale spesso sono i Gottardi, i Marco Lanna, i Guglielminpietro, gli Hargreaves, i Poggi e i Fabio Junior che lasciano un tocco di magia nell’aria . Esseri normali che per un giorno o per un’esistenza intera diventato degli eroi o dei mostri, ti riportano dolcemente indietro con gli anni, a quando eri bambino e sognavi un futuro da calciatore. Così è il calcio virtuale.
Certo vincere due Champions League con la Lazio e poi rischiare di essere esonerato con il Padua è un’esperienza che non auguro a nessuno.

Ciava.

lunedì 24 ottobre 2011

La remuntada rossonera e le muntature di testa.

Con l’infrasettimanale alle porte un articolo sul fine settimana calcistico appena terminato deve, causa di forza maggiore,uscire improrogabilmente il Lunedì. Domani già si rientra in campo: Fiorentina – Juventus, sfida storica nel panorama pallonaro italiano e dato che tra gobbi, bistecche, controfiletti  e una o’a o’la ‘o la ‘annuccia si fa presto a dimenticare il turno precedente, bisogna affrettarsi a stilare un resoconto decente di una giornata che ha lasciato molti spunti. Il Calcio, si sa, ha poca memoria.
La partita inaugurale della giornata di campionato è Juventus – Genoa. Causa fatica accumulata nella giornata di sabato, la vedo per obliquo, sdraiato sul divano, con occhio destro totalmente chiuso, occhio sinistro che lascia intravedere una piccola parte di pupilla, emisfero destro che crea paradisi caraibici nella dormiveglia, trasformando il divano in amaca ed emisfero sinistro che tenta con sforzo invidiabile di stare dietro alle urla sinottiche di Caressa.
Riacquisto piena coscienza di me e del posto in cui mi trovo solo ad entrambi i pareggi del Grifo. I commenti di disfatta sono i classici che seguono periodicamente da qui a cinque anni a tutti i commenti d’elogio alla Vecchia Signora. La Juventus non fa in tempo ad essere messa tra le pretendenti al titolo che subito viene ridemensionata dai risultati sul campo. E’ un lustro che si vocifera e si decanta questa fantomatica rinascita, ma la realtà dei fatti riporta sempre i buoni spiriti a riniziare da zero e a ricercare motivazione e carattere della vera Juve. Se non ci avessero assillato con questa storia del ritorno ai vecchi splendori, con tutte queste aspettative, con tutte queste chiacchere ( dopo un 4-0 e uno stadio nuovo già si è candidati allo scudetto), se si fosse saputo vivere il momento, senza criminalizzare qualsiasi allenatore che passasse per Torino, la squadra bianconera avrebbe di certo portato a casa migliori risultati.
Ma forse, abituati a vincere, non hanno saputo gestire una situazione di ristrutturazione dal basso. Si è semplicemente sempre amplificato sia il clamore delle vittorie che dellle sconfitte, senza mai dargli il giusto peso. 
Tutto questo mio parlare di Juve, forse è stato ispirato dalla dormiveglia e dal fatto che quella della Vecchia Signora contro il Genoa fosse l’unica partita in calendario il Sabato, perché di solito l’interessamento per la squadra ora allenata da Conte si avvicina quasi allo zero. A “Studio Sport” mi dicono parlano solo della Juve.” Pallone d’oro nuovamente a Messi, colleghiamoci con Torino per sapere come i tifosi bianconeri hanno reagito alla notizia” “Maxi cerrada del campionato Nba, vediamo cosa dice a riguardo il ds juventino Marotta”. A Roma e dintorni, invece, funziona più o meno così : “Lazio merda, zitti voi giallozzozzi che me fate ride. Hai visto il Milan si? Mortacci loro, della remuntada, de Galliani, sto beccamorto e del capo suo. Ma l’Inter, che ne pensi di Ranieri? Che dici il Napoli ormai pensa solo alla Champions? Certo Mihalovic sta vivendo un brutto momento con la tifoseria viola. Sta cavolo de Atalanta come va. Mamma mia l’Udinese non vorrà ripetersi anche quest’anno.” E così si continua passando in rassegna Novara e Lecce, Pescara e Sampdoria e accidentalmente ogni tanto si parla di Juve, per sbaglio.
La Domenica, finalmente, arriva il calcio che conta. Non solo: ci sarebbe anche da parlare di rugby, con una Francia spauracchio storico degli All Blacks, che contro qualsiasi pronostico perde solamente 8-7 contro i padroni di casa, nuovamente sulla vetta del mondo dopo 24 anni. Ma la palla ovale è uno sport nobile e non si presta troppo a chiacchere da bar come il tanto amato e scalmanato calcio. Davanti a tre pinte e qualche naso rotto, potremmo parlare senza problemi di rugby, ma questa non mi sembra la sede adatta. Per adesso preferiamo ancora il “Borghetti” e i “ma che stai a di, non ce capisci niente, a squadra mia è ‘a più forte de tutti aoooo!”.
La gara di mezzogiorno è uno spettacolo a parte. Da mangiatore professionista della Domenica, che scambia spesso il pranzo con la colazione, accendo la televisione e il Milan già perde per 3-0 in terra salentina. Come avrebbe sentenziato più tardi Edoardo : “Io da mo che avevo già strappato la schedina se mi fossi giocato la vittoria der Miran”. Ma se il Berlusca sembra sempre che sia vicino alla caduta o con le spalle al muro pronto alla resa e riesce in qualche modo a salvarsi o rigirare la frittata in suo favore, figuriamoci se ogni tanto non lo possa fare la squadra di calcio di sua proprietà. Per sua fortuna in campo al secondo tempo non scende Scillipoti ma un ispirato Boateng, che se non avesse la visione di gioco che ha e non fosse appassionato della serie “Mine sotto il sette” sarebbe sicuramente un clandestino odiato dai compagni di merende del Silvio nazionale. A realizzare l’inpensabile ci pensa Yepes, che, essendo la teoria delle supposizioni una scienza esatta, se non fosse stato calciatore sarebbe stato a quest’ora un narcotrafficante di tutto rispetto.
E’ così che si completa la famosa “Remuntada” che forse in milanese-padano si dirà tale e quale “Remuntada”. Che a pensarci bene questi padani vorrebbero fare tanto i celti ma per come parlano e come si agitano ( vedere Galliani al gol del 3-4) sembrano più che altro andaluso-gitani.
A trovare una spiegazione logica ci si è messa un’equipe di precari dell’università del Gran Sasso ( l’unica nel mondo costruita sottoterra grazie all’ambizioso progetto del dicastero della Gelmini) che hanno scovato le cause delll’inversione di tendenza nella partita di Lecce nella “Zur Farbenlehre” o “Teoria di colori” di Goethe e nella trasmissione di malasorte negli spogliatoi delle squadre di Calcio. Per semplificare il tutto e far capire anche ai non luminari le cause sono da ricercare nella carriera da calciatore dell’allenatore Di Francesco e nei colori della maglia del Lecce ( per i daltonici giallo e rosso) che sarebbero portatori sani della “Remuntada subita” anche nota come “Scoppola inaspettata”. I più infatti ricorderanno la clamorosa sconfitta subita dai giallorossi in un clamoroso Genoa-Roma 4-3. Questione di geni insomma.
A fine partita le lingue dei conduttori di Sky si preparano per stendere il tappetto rosso al Darth Vader del calcio italiano : Adriano Galliani. Il dirigente rossonero ( seguendo la tradizione del suo datore di lavoro) non resiste a lasciare alcune critiche tra il farsesco e il ridicolo. "La colpa delle nostre disattenzioni nel primo tempo è dovuta dal faticoso cambio di metabolismo che siamo stati costretti ad affrontare per preparare il match giocato a mezzogiorno". Tutti sanno ( queste le sue tesi) che un giocatore dopo una partita dorme poco o male, causa adrenalina. Quindi, dopo il turno di Champions che ha lasciato i nostri eroi insonni o, alla meglio, pieni di incubi infestati da Messi e compagni che conquistano San Siro a colpi di tacco, il “Miran” è stato costretto ad alzarsi tutti i giorni alle 8 del mattino per abituare il fisico all’anticipo domenicale. Abbiamo dormito male e poco. Ora qui tutti sanno, invece, che la forza del Lecce è da anni proprio quella: alzarsi presto la mattina, intorno alle 6, riscaldamento rapido a ritmo di pizzica e taranta, bruschetta al pomodoro alle 8 e tutti a correre scalzi sotto il caldo sole salentino di mezzogiorno.
Abbiamo scoperto che i milanisti, sono pieni di soldi, di titoli e di grinta ma guai a svegliarli alle 8 di mattina o a servirgli il caffèlatte prima del dovuto.
La giornata per fortuna continua e porta altre gioie che mi fanno dimenticare presto il faccione dello zio Fester del campionato italiano.
Scopro da un comunicato Fifa che la Lazio giocherà alle 20.45 perché la partita di una squadra così forte non può sovrapporsi all’orario del grande derby di Manchester. Principalmente è spiegato ( in inglese, francese, spagnolo, italiano e tedesco) che toglierebbe parte di spettatori di un bacino di utenza che adesso va dalla West Coast agli Emirati Arabi per lo scontro tra Citizens e United ( ndr. A presto forse un mini articolo su questa partita).
Mi rilasso dopo il grande spettacolo inglese con le partite nostrane. L’Atalanta vince in trasferta a Parma con doppietta di Ma’i Morale’ e senza i punti di penalizzazione sarebbe seconda in classifica. L’Udinese, dopo tre gol rifilati al Novara è sola in testa. Ma la vera notizia in terra romana è il gol di Erik Lamela all’esordio assoluto in Seria A.
Aspettavano questo momento i tifosi giallorossi con molto ottimismo e il giovane argentino li ha ripagati con un bel gol a giro sul palo opposto al settimo minuto. Roma uno, Palermo zero. Ottima vittoria per Luis Enrique.
A parlare con i romanisti e con qualsiasi appassionato di calcio è naturale che venga fuori il “Teorema di Shevchenko” ovvero “Lamela ha tirato o voleva crossare?”. C’è chi assicura che voleva far gol altrimenti per far un traversone così bisogna ricredersi tutti sulle doti dell’argentino. “ E’ na pippa nata se voleva crossa”. Altri che mettono in dubbio questa tesi ( romanisti compresi) portando a loro favore il fatto che il fantasista giallorosso guarderebbe al centro dell’aria disinteressandosi del portiere. Unica cosa certa è che il nome sul tabellino dei marcatori è quello di Lamela e cross o non cross questo gol ha donato nuova linfa all’ambiente giallorosso, dopo la sconfitta del derby, e sicuramente avrà dato carica al giovane argentino e a Luis Enrique, cosciente di avere una carta in più da giocarsi. L’unica problema sarà nel non eccedere con gli elogi e le aspettative. In poche parole non “muntargli” la testa. Tempo al tempo.
La serata si conclude con la Lazio ospitata a Bologna. Si spera tutti che l’euforia del derby abbia avuto effetti positivi e non abbia fatto rilassare eccessivamente i giocatori biancocelesti. La partita fortunatamente è abbordabile, ma mai scherzare con l’avversario soprattutto se il posizionamento in classifica è pessimo e si cerca un’oppurtunità per cambiare rotta e soprattutto se dall’altra parte gioca Marco Di Vaio, che anche se sono 204 giorni che non segna è pur sempre un attaccante temibile. Da ex laziale già ce ne ha rifilati parecchi. “Guarda te se questo se deve sveja proprio oggi eh!!!”.

Alla fine una Lazio decente e mai veramente dominatrice indiscussa della partita porta a casa un’ottima vittoria che gli certifica il secondo posto in solitaria del campionato. Autogol di Acquafresca su una punizione dal limite laterale destro dell’area di Hernanes. Avrà pensato in un protobrasiloromanesco “ Eu a tiro a bola, uma mina ar sentro dell’arengi poi quadunaõ a nsaccheraõ, si è de da equipo meu es igual si fosse um autogolazo esulto eu,stimarongi, que u meritu è u meu que ho tirado uma sveja ao sentro, anacapitaõ beleza!”
Il secondo gol è firmato Lulic, in forma strepitosa, esterno di difesa, interno di centrocampo, ha deliziato gli spettatatori anche come mezzapunta improvvisata, a discapito dei piedi esagonali battuti col ferro e acciaccati da un trattore all’età di cinque anni.
Dall’Ara espugnato anche grazie alla migliore prestazione di Marchetti quest’anno ( non ci voleva molto). Che sicuramente riempe di fiducia il nuovo portiere laziale. L’unica nota ancora da da definire è quella di Cissè, nuovamente a secco di gol ( dall’esordio col Milan); a mio avviso soffre leggermente una silente competizione con Klose. Ed è agitato dal fatto che al derby non abbia segnato. Perchè Osvaldo si era preparato la famosa maglietta con l’uniposca ma Djibril, coerente col suo stile, la scritta s’è l’era tatuata direttamente in petto. Spifferi dallo spogliatoio vociferano un : “Vi ho purgato anche io. Ma occhio romanista che è risaputo sotto le docce di mezza Europa che non me chiamo Osvaldo”. Alcuni esteti della lingua ci hanno voluto riconoscere un riferimento ad attributi sessuali, ma è ancora tutto da chiarire.
Cissè o non Cissè la Lazio ora è seconda in classifica ad un punto dall’Udinese. Una situazione invidiabile. Spero solo che al prossimo passo falso, al pareggio immeritato o alla prossima sconfitta rimediata non riescano fuori le critiche gratuite e per niente costruttive a cui siamo stati abituati ultimamente da una parte del tifo biancoceleste. Da questa parte del Tevere niente è guadagnato, sembra che tutto sia dovuto. Si doveva arrivare quarti, si dovevano vincere tutti i derby, anche quelli del cuore, non si dovevano mai togliere Zarate ed Hernanes dal campo. Zero apprezzamento e riconoscimento al lavoro di Reja e della dirigenza. Ora che mi sembra sotto gli occhi di tutti il vero valore di questa squadra, che si lasci lavorare chi di dovere e se ogni tanto si pareggia o si perde che non si “muntino” tragedie. Tutto è da guadagnare. Per favore non “muntiamoci” la testa anche noi troppo presto.


Ciava.

lunedì 17 ottobre 2011

Lazio - Roma. Hollywood si ribella agli americani.

Se avessi saputo accorgermi dei segni premonitori sarebbe stato quasi inutile vedere il Derby della capitale. A posteriori tutto sembrava già scritto. Bastava solo riconoscere nella saga della stracittadina lo zampino di qualche produttore di Hollywood che lavorava da anni in segreto a questa sceneggiatura. Una ritorsione verso i compatrioti americani, quelli di Boston, che si erano seduti dalla parte sbagliata del Tevere e impegnati tra una partita di baseball e una sbronza asturiana non sono riusciti a intendere in tempo l’aria che tirava dietro le quinte, dimenticandosi di correre ai ripari.
La trama era tanta complessa quanto lineare. Cinque derby persi di fila dai laziali, mai veramente inferiori sul campo. Una serie di sconfitte segnate dal fato, dalla frenesia, dagli episodi e dal cinismo giallorosso. Reja messo alle corde dai suoi stessi tifosi, uno stakanovista che vedeva appassire i frutti del suo lavoro sempre all’appuntamento più importante. Questa volta anche deriso da un gentiluomo come  Francesco Totti. Inoltre la designazione dell’odiato Tagliavento e una maledizione dei numeri che persiguitava l’ambiente biancoceleste. Non c’è due senza tre. Poker. Manita. E tutto quello che poteva far immaginare un'eventuale sconfitta nel sesto derby di fila, dai riferimenti tennistici a quelli linguistici. Seconda persona singolare del verbo essere, presente indicativo. Con tutti gli aggettivi e le locuzioni di scherno che ne possono seguire.
Tutti presagi negativi ma che nella tradizione hollywoodiana condiscono sempre un finale a lieto fine: di riscatto, di rivincita o per usare una celebre frase di Steven Spielberg : “ Quanno faccio nfirme cerco de fa anna tutto per peggio, na presa a male. Ma poi aa fine gli eroi troveno sempre aa forza de ribarta ie eventi e de capovorge e loro sofferenze e trasformalle nvittoria. Che sarà pure una sola dopo tante scoppole, ma è na vittoria che è na goduria. Poi appare aa scritta The end e so tutti felici e se dimenticheno dee sofferenze passate e chi s’è visto s’è visto.”
Steven Spielberg non deve essere amico di Di Benedetto probabilmente.
I romanisti, dal canto loro, si sentivano in una botte di ferro. Rianimati dall’ entusiasmo nato intorno alla figura di Osvaldo. Fiduciosi finalmente nelle pratiche ascetiche di Luis Enrique e convinti del carisma degli americani, conquistatori del mondo, mai abituati a perdere. La dea fortuna, gli yankees, Luis Enrique astro nascente, Osvaldo il panettiere e il cugino di quarto grado di Messi : come possiamo mai perdere contro una squadra di contadini? Noi gladiatori che dove passiamo lasciamo sangue e distruzione. Noi combattenti e guerrieri che se ci danno un calcetto al polpaccio ci rotoliamo per terra con le mani sul volto urlanti e disperati. Abituati allo scontro contro i leoni ma non ai contrasti sul campo. Che entriamo con piede a martello su Radu e usciamo infortunati. Che portiamo nel cuore la grinta romana, che dal decimo del primo tempo prevede la perdita di tempo ad ogni rimessa dal fondo e il piagnucolio isterico. Mi dispiace cari cugini ma avete sbagliato anche il vostro immaginario collettivo. La fame e la forza romana, se mai dovessero fare una ricerca scientifica, non risulterebbero di certo vostre cugine di quarto grado. Un consiglio: convertitevi alla mitologia “gringo” perché Heinze è stato l’unico degno di difendere i vostri colori con il cuore.
Ma torniamo al campo: è lì che va in scena l’atto finale. Quando l’arbitro fischia ci si dimentica di tutto. Ogni derby sembra come il primo ma allo stesso tempo come se fosse l’ultimo. Vita o morte. Che nei primi quindici minuti nel linguaggio laziale si traduce in assenza totale dal campo. La Roma prova ad impostare il suo classico gioco, molto disordinatamente. Pjanic, Gago e Bojan alternano belle giocate a qualche indecisione. Al quinto Konko rinvia una palla centrale, con tanto di pacco e fiocco, sul petto di Pjanic che tenta il fraseggio con Gago, il quale con un ottimo tocco sotto trova Osvaldo solo davanti a Marchetti. L'attaccante romanista di sinistro con grande freddezza segna il gol più importante della sua carriera di attaccante navigato. Che bello essere romanisti, cinque minuti e già in vantaggio. Vedere poi il nostro nuovo idolo alzare la maglietta con la scritta “ Vi ho purgato anche io” è il massimo. Prima Batistuta ora Totti. Osvaldo da panettiere di professione è entrato nei cuori della Sud. Anche se in realtà il bomber si dimostrerà un giocatore che deve ancora imparare molto. Dopo il gol eclissato totalmente dalla difesa laziale. Io fossi un tifoso romanista starei ancora sbraitando dietro il mio “idolo” consigliandogli, non con le buone maniere, di pensare a giocare invece di scriversi sberleffi sulla maglia. Che lo faccia quando capirà i meccanismi veri di questa battaglia. Totti e Delvecchio sono stati attori protagonisti di questa sfida per anni. Osvaldo si sente già pallone d’oro dopo il vantaggio.
A casa di Edoardo, dove ci eravamo riuniti in numero di venti laziali frustrati e sfigati cala il silenzio. Qualche imprecazione a divinità cristiane. Ma sbagliamo indirizzo. Ci troviamo davanti a gladiatori romani. Meglio bestemmiare i loro Dei pagani. Il fatto di aver preso gol da Osvaldo poi ha su di noi l’effetto di una retrocessione in B. La Lega Nord a suo tempo sbagliò le parole contro il povero oriundo. Avrebbe dovuto dire: “Osvaldo è una pippa, non può giocare in nazionale”. Mi sarei convertito al secessionismo anti-pippe, un' occasione mancata per il Carroccio.
Il Gazzobba, fisico e gran intenditore di cinema, era l’unico ad avere capito in cuor suo il copione già scritto e cercava di tranquillizarci : “ Siamo più forti regà…boni che vincemo stavorta”.
Ci credevamo poco. La Lazio soffriva dell’effetto Nadal senza essere mai stata Federer. Un disastro. Rimedio consigliato in caso di ulteriore sconfitta: letargo.
Il tutto ampliato dalle piccole cose che nel calcio fanno la differenza. Stekelenburg che ad ogni rimessa impiega un’eternità, rotolamenti a terra ad ogni contatto( a quando il tempo effettivo anche nel calcio? ) e Tagliavento constantemente presente nella direzione diagonale del passaggio Brocchi- Hernanes da sinistra. Al calcio si rosica e si rosica anche per questo.
Il primo tempo scorre via così con una piccola presa di coraggio della Lazio in fase di attacco, molta lotta a centrocampo, tanto agonismo e buone ripartenze in contropiede della Roma.
Nel secondo tempo Reja inserisce un Lulic in condizioni inaspettatamente ottime al posto di Radu. E’ la Lazio a giocare. Qualche occasione mal gestita negli ultimi venti metri fino ad arrivare all’episodio che cambia la gara. Brocchi sfonda centralmente chiedendo il triangolo ad Hernanes che trova lo spiraglio per smarcare il suo compagno solo davanti a Stekelenburg. Kjaer in netto ritardo si disinteressa del pallone e sposta il braccio di Brocchi che cade a terra. Rigore e rosso. Ora la caduta del laziale sembra un po’ eccessiva ma il difensore romanista ingenuamente causa un fallo da ultimo uomo che si poteva tranquillamente evitare. Con chi prendersela ? Fossi romanista sinceramente solo con Kjaer. L’attacamento alla maglia dovrebbe portare anche a delle critiche oggettive contro i propri giocatori. Tagliavento non poteva fare altrimenti: le intenzioni del difensore erano quelle di arrestare Brocchi non curandosi del pallone. Rigore. Forse dubbio. E’ per questo che il giallorosso ha ancora più colpe.
I secondi che corrono tra la preparazione di Hernanes sul dischetto e la trasformazione sono carichi di ansia. Classico momento della “regola inversa degli undici metri” : quando è la tua squadra a tirare le sensazioni sono che lo sbaglierà, se sono gli avversari già è sicuro che lo segneranno e se entrambi le squadre in questione non sono la tua ci si gode lo spettacolo raggiungendo la pace dei sensi. La tranquillità di vedere una finale ai rigori con due squadre a cui sei disinteressato è un privilegio sentimentale.
Quando il portiere giallorosso è spiazzato e vede la palla infilarsi nell' angolo opposto ho sperato che tutti i bambini del quartiere fossero andati a letto con i tappi alle orecchie, perché si sprigiona un urlo liberatorio condito sul punto in cui stava per scemare da una bestemmia del “Pollo” ai quattro venti, trattenuta non so da quanti derby.
L’euforia adesso gira. Palla al centro e uomo in più. Per qualche minuto la Roma sembra resistere, provando anche a creare pericoli, che nascono soprattutto da disattenzioni laziali. I biancocelesti vedono ormai il loro destino segnato, una traversa e un palo su un gran tiro di Cissè: così è il Derby, mettiamoci l’anima in pace. Un pareggio che ha il gusto di sconfitta. Ma di certo gli sceneggiatori di Hollywood non sono gli ultimi arrivati e sanno bene come funzionano i tempi cinematografici. Tutti i dollari investiti in questa saga non possono di certo andare sprecati come quelli messi sul mercato dal buon Di Benedetto.
Al 93’ i buoni vengono fuori. Hernanes accarezza il pallone e passa al subentrato Matuzalem (che anche se è tra i buoni ha sembianze e fisionomia da pericoloso criminale) il quale serve un assist al centro dell’area per Klose. Il tedesco controlla la palla leggermente arretrata con un piccolo tocco e di destro con un colpo di fino da gigante gentile gonfia la rete un istante prima dello scorrere dei titoli di coda.
Esplosione di gioia. Meglio di un orgasmo. Meglio di Castroman. Perderei altri cinque derby di fila solo per rivivere quei dieci secondi di adrenalina pura. Il bello del calcio. Una zampata ferma il tempo. Esiste solo quell’istante. La fine già scritta di un colossal americano. Con i poveri romanisti rimasti con un magnate a stelle e strisce spaesato e con Osvaldo e Kjaer nella parte di Johnny Deep e Brad Pitt “de noantri”. Ma stavolta il destino dei giallorossi assomiglia a quello dei poveri sovietici: stesi al tappeto. Voi ci avete purgato ma noi vi abbiamo spurgato dalla vostra superbia.
Il modello Barça traslato a Roma. Due tiri nello specchio, gioco di ripartenza e scritte con l'uniposca sotto la casacca.
A fine incontro ( questo neanche i miei cugini lo possono negare ) risaltano delle differenze enormi. Compostezza di Klose e spavalderia di Osvaldo. Reja che parla di grande gioia personale, per l’ambiente e di tutto il collettivo. Non ho sentito riferimenti a “fumo della pipa” e “stanno a gode come ricci”. Battute da bar dal capitano giallorosso, sorrisi e analisi realiste di Hernanes e Brocchi. In più Reja che con grande stile sottolinea il fatto che ai giovani piace tanto parlare e fare battute ma alla fine sono le persone più anziane che indicano la strada giusta. Pollice in alto contro pollice verso. Adesso, oggettivamente, vogliamo parlare ancora di classe?
Tenetevi Osvaldo, Totti e Kjaer e le vostre finte rivoluzioni che io mi tengo stretti Brocchi ( vero gladiatore), Klose e Reja. Me li tengo nelle sconfitte e me li coccolo nelle vittorie.
Il vostro, per adesso, è  solo un amaro destino da contestatori del calcio moderno pronti ad inchinarsi al primo arabo o americano che si presenta col portafoglio pieno.
Anche Hollywood l’ha capito e ha scelto alla fine da che parte schierarsi. Ne perderemo altri mille, ma quei pochi che vinceremo saranno sempre i veri successi al botteghino. 


Ciava