giovedì 26 gennaio 2012

Il ritorno della Coppa del Re: un classico italiano.

Lo scontro di Coppa Italia tra Napoli e Inter fa poca notizia nella nostra Repubblica calcistica. Liberi da ogni monarchia e corona, diventiamo per una settimana dei sudditi devoti allo spettacolo della Coppa del Re, quando a contendersi lo scettro del torneo sono Barcellona e Real Madrid.

In una nazione che di calcio si nutre sarebbe da sciocchi gustarsi la magia di una partita, ricca di storia ed emozioni che vanno oltre una vittoria e una sconfitta, senza nessun affanno e in piena tranquillità. Per questo, da veri partigiani che siamo, prendiamo ognuno le difese di una formazione o dell’altra.
Parlare del Barça o della Casa Blanca diventa come sfogarsi e sgolarsi in una delle più classiche discussioni tra romanisti e laziali, tra interisti e juventini al bar sotto casa. Ognuno con le sue lenti ed ognuno con il suo odio. Forse perché, ad oggi, il nostro calcio è sempre meno ricco di spunti e per questo cerchiamo conforto e passione in altri campionati.
Dieci anni fa forse ci saremmo accomodati comodi in poltrona pronti per goderci lo spettacolo. Cosa impossibile oggi, quando prendere le parti di Mou o di Guardiola, di Pepe o di Xavi è, in sintesi, una scelta se non di gusti, di una concezione di vita.
Lo Special one, a mio avviso, ha cambiato la concezione di questo scontro.
In Italia prima si poteva godere delle prodezze di Rivaldo o di Zidane allo stesso modo.
Fino a qualche anno fa addirittura, il tifoso medio, da una parte elogiava il grande gioco del Barcellona ma dall’altra sperava di incontrare una formazione che la contrastasse sul campo.
Molti di noi che oggi tifano blaugrana ciecamente, si schierarono dalla parte dell’Arsenal di Wenger quando, negli ottavi di finale della Champions dello scorso anno, i londinesi passarono in vantaggio al Camp Nou e solo grazie a una scellerata espulsione ai danni di Van Persie persero il biglietto per i quarti di finale. Altri tifarono il Chelsea di Ancelotti, schierato in campo con perfezione tattica, condannato da Iniesta all’ultimo minuto in una semifinale di due anni prima.
Poi è arrivata l’Inter di Mourinho. Ma è raro che in Italia si tifi per un’italiana, troppe faide interne e brutte storie nel nostro campionato. Così gran parte degli italiani quel giorno tifò per la "remuntada" catalana.
Il portoghese da nastro nascente col Porto era passato per un periodo nella terra delle buone maniere londinesi. La sua irriverenza e stravaganza erano ancora ben viste agli occhi di tutti gli amanti del Calcio. Il nuovo che si affacciava. Ma spesso, come accade nella nostra storia recente, è stata l’Italia che più di tutti lo ha influenzato, positivamente con le vittorie e negativamente nel carattere. Mourinho si è trasformato in Mourinho nei suoi anni italiani.
In un calcio malato come il nostro il portoghese si è ambientato a meraviglia, plasmando definitivamente la sua personalità di provocatore.
Gli interisti lo amano, gli altri, tutti, lo odiano. 
Trasferitosi in terra iberica, ha portato il suo nuovo credo nello spogliatoio madridista: noi contro tutti.
Le conferenze stampa, le provocazioni, la poco umiltà di fronte ai propri avversari ci hanno aiutato ancora di più ad amare il Barcellona.
Mourinho ci ha tolto quel poco di romanticismo che avevamo preservato con avidità. Quando sognavamo che la squadra più debole vincesse contro la corazzata. Il calcio è bello per questo, ci siamo sempre detti. Ora ad ogni Barcellona-Getafe, Barcellona- Rayo Vallecano speriamo tutti in una goleada. Grazie a Mourinho.
I pochi a suo favore ormai si contano sulle dita di una mano: qualche interista sentimentale e un mucchio di similamanti del calcio, anticonformisti a tutti i costi ( “Basta co sto Barcellona” “Dopatiladrisimulatori” “CristianoRonaldotiralemine !”)
Il ritorno di Coppa del Re era l’occasione buona per far ricredere i detrattori. Un passaggio del turno, aggiunto all’attuale situazione in campionato che vede il Real a +5 dal Barça, sarebbe bastato per le conferenze stampa dei prossimi quattro mesi.
Il portoghese ormai messo alle corde dagli stessi tifosi, dalla stampa che lo compara al comandante Schettino e da parte dello spogliatoio, sognava una fantomatica rivincita per calmare le acque.
Il madridismo si è stretto attorno alla squadra sperando nell'impresa. Dagli archivi storici è rispuntato il mito dell’ultimo due a zero in terra nemica,nella semifinale di Champions dell’annata 2001/2002, con gol di Zidane e MacManaman dopo un non positivo pareggio al Bernabeu per 1-1.
Si vociferava addirittura di un intervento del fantasista francese, trascinatore di quei galactitos, per motivare lo spogliatoio.
A vedere come scendono le due squadre in campo sembra che gli incoraggiamenti dell’ambiente madridista abbiano funzionato. Peccato che dopo dieci secondi dal fischio d’inizio davanti a Pinto ci si sia trovato, al posto di Zidane o Raul, el Pepita Higuain che spreca una ghiotta occasione. Piquè sembra convinto che in porta ci sia Valdes e lascia sfilare una palla lenta per colpa di una sistematica abitudine, che prevede la presenza del portiere titolare come primo giocatore ad impostare il gioco. Pinto che non è Valdes, ritarda l’uscita e Higuain ci ricorda grazie alla sua nonfreddezza perché l’Argentina di Messi non riesce ad affermarsi a livello mondiale.
Il Real Madrid ha venticinque minuti di buon ritmo, organizzazione discreta, rapide ripartenze, poca concretezza e un pizzico di sfortuna quando una sassata di Ozil si ferma contro l’incrocio dei pali.
Il ritmo è altissimo e il Barcellona perde Iniesta per un infortunio a centrocampo. Entra Pedro e Fabregas da finto centravanti retrocede nella mediana. Sarà proprio il nuovo entrato a siglare alla prima chiara occasione da rete il vantaggio dei blaugrana, dopo un’ottima giocata del solito Messi.
Cristiano Ronaldo nell’altra metà campo è l’emblema della sofferenza. Regala ai telespettatori delle sequenze video che ogni compagnia pubblicitaria di gel e non comprerebbe a peso d’oro.
Poco dopo allunga le distanze Dani Alves con un missile terra aria. Aggiunge un gol al tabellino e un balletto al repertorio in compagnia di Abidal.
Si va al riposo con la Casa Blanca tramortita. Il tutto fa pensare ad una partita chiusa e qualificazione in cassaforte. Ma il Real reagisce e stupisce. Un assist delizioso parte dal sinistro di Ozil per Cristiano Ronaldo che lascia sfilare il pallone e con un bel dribbling supera Pinto e accorcia il divario.
Neanche il tempo di metabolizzare che il Madrid trova il pareggio dopo una disattenzione di Piquè che rinvia maldestramente sulla testa di Callejon. Il pallone carambola sui piedi di Benzema, che supera splendidamente Puyol con un pallonetto e pareggia i conti.
Gli ultimi venti minuti sono carichi di tensione e il Camp Nou nel suo silenzio sembra quasi voglia scongiurare un incubo imminente.
Per loro fortuna ci sarà solo da annotare un’espulsione ai danni di Sergio Ramos.
La partita finisce 2-2 ed il Barcellona passa il turno.
Un bello scontro, di quelli veri che oggigiorno mancano in Italia. Anche se troppi sono gli interventi duri.
Da quando Mourinho è sulla panchina del Real ogni classico vede giocate strabilianti affiancate a botte da orbi. I blaugrana in questo marasma si sono adeguati andando spesso a cercare il fallo, ma il peccato originale è dei merengues, che spesso confondono la grinta con la cattiveria. Alcune entrate non si vedono nei nostri campi neanche in seconda categoria. Ogni fischio del direttore di gara ormai è un reclamo, una richiesta di giallo o un’indignazione tra entrambe le parti. Il tutto questo a scapito del buon gioco e di una tranquillità nel giudizio arbitrale.
Alcuni dicono che il Madrid ha dominato, ma se questo forse può essere vero riguardo alle chiare occasioni da rete, certo non lo è stato nella costruzione del gioco. La palla era sempre tra i piedi di Busquets, Messi e Xavi e il Real è stato bravo soprattutto a giocare di rimessa, grazie ad un Mesut Ozil illuminante.
Le accuse di arbitraggio scandaloso si rincorrono da Madrid alla Catalogna.
Dalle nostre parti, ci si dimentica di Inter-Napoli e delle polemiche annesse. Si prendono le difese di Pinto, si accusa Pepe di antisportività, si elogia Messi, si attacca Mourinho e si inalberano discorsi infiniti su falli, prestazioni, cantere, mentalità e arroganza. Il bel calcio è da molto tempo emigrato all’estero. Tra un caffè e l’altro ora anche le solite chiacchere da bar fanno le valigie verso altri lidi. Ma l’euforia e lo spirito di chi discute sono sempre gli stessi. Un classico.

martedì 10 gennaio 2012

Il Pallone d'oro alla carriera.

Il Pallone d’Oro 2011 è stato consegnato a Lionel Messi. Un gesto che ha posto un sigillo immaginario alla competizione del premio per il miglior giocatore del mondo. Sarà così per molto tempo, a meno che un cataclisma non cambi le attuali gerarchie calcistiche o che il Barcellona si prenda un anno sabbatico lontano dai campi. Certo, come si sarebbe potuto dare il Pallone d’Oro, quest’anno, ad un altro giocatore, se l’anno scorso, anche dopo una Champions League vinta dall’Inter di Mourinho e un’eliminazione umiliante dell’Argentina contro una grande Germania ai mondiali sudafricani, la Pulce era stata premiata nuovamente, per la seconda volta, come migliore creatura nel globo a forma di palla?
Da quando Messi è Messi, il premio si è adattato alle magie del campione argentino. Un sonnifero allegro per i giurati, per gli spettatori e per gli appassionati di calcio di tutto il mondo. Iniesta, Xavi, Snejder, Eto’o o Forlan potranno vincere quanti più trofei una bacheca può sopportare, potranno portare club o nazionali sgangherate alla conquista di finali e semifinali mondiali, ma finché la Pulce salterà di campo in campo, seminando prurito e fastidio nelle file difensive avversarie, non c’è ragnatela di passaggi che tenga: il mondo ha bisogno di un solo eroe.
Il Palcoscenico di incoronazione è allestito a Zurigo, dove è celebrato il Calcio moderno in un’atmosfera che è un misto tra galà e ritrovo di famiglia.
Sky dedica un’ ampia presentazione alla cerimonia con ospiti in studio, i quali si sfidano a colpi di pronostici e motivazioni. A Messi si perdona il fatto di non aver vinto niente con la nazionale ma a Guardiola si rimprovera, in parte, di aver vinto solo col Barcellona. Strani concetti costacurtiani.
Il collegamento della Svizzera ha inizio e sono costretto a cambiare canale dopo neanche due minuti. I conduttori in studio, Trevisani e Cattaneo, parlano sopra i presentatori ufficiali, spesso anche fuori tema, in segno di poco rispetto per lo spettatore attento. Decido di mettere l’opzione in lingua originale ma la mia delusione è massima quando scopro che in qualsiasi caso sarò costretto a sentire la voce dell’interprete italiana. Voglio sentire i protagonisti che parlano, le loro espressioni, il loro inglese zoppicante, i sorrisi e le pause. Messi tradotto dallo studio diventa uno scugnizzo che parla un italiano accademico. Io voglio il Messi argentino, cresciuto a Rosario.
Sono quindi costretto a cambiare su Eurosport, dove la cerimonia è in versione integrale, senza interruzioni dallo studio.
I presentatori sono una signora nonsochissia e Ruud Gullit in persona. Le signore passano in secondo piano, qui si parla di Calcio e anche un’avvenente Shakira, di rosso vestita, passa quasi inosservata in confronto alle apparizioni di Zinedine Zidane e Ronaldo. I balletti li lasciamo per altre occasioni, questa è la casa dei doppi passi e delle finte smarcanti.
La presentatrice oltretutto nell'annunciare i tre contendenti commette un errore inammissibile : pronunciando il nome di Lionel Messi si lascia trasportare da un’enfasi esagerata. Già è tutto scritto; oltre ai pronostici ora anche le urla della presentatrice fanno intendere chi sarà il vincitore di questa edizione.
Ma la trama della serata prevede prima il climax delle premiazioni “secondarie”. Viene premiato il miglior allenatore di squadra femminili : un giapponese che si addentra in una tiritera in nipponico stretto. Dalla televisione non si vede se i presenti abbiano degli auricolari per la traduzione simultanea. In un momento di pausa del discorso la gente non sa se applaudire, ma l’audience, composta prevalentemente da campioni indiscussi, è spigliata con il giapponese, imparato nelle lunghe trasferte per le partite di Coppa Intercontinentale e Mundialito, e sa che bisogna applaudire solo dopo aver ascoltato la parola : arigatohh.
Miglior giocatrice donna è una giapponese vestita da geisha, premiata da Shakira, che scalza dal trono la brasiliana Marta vincitrice del premio ininterrottamente dal 2006 al 2010 ( prima Fifa World Player e successivamente Balon d’Or).
Il Giappone a livello femminile come la Spagna per intenderci.
Le premiazioni interessanti si avvicinano. Il Presidential Award è vinto da Sir Alex Ferguson. Blatter impiega cinque minuti di orologio per elencare tutto quello che ha vinto l’allenatore scozzese nella sua carriera.
Chi si aspetta discorsi strappa lacrime ha sbagliato palcoscenico, qui non siamo agli Oscar. Ferguson prende il microfono, rilassato e solo leggermente emozionato. Con un accento scozzese, di cui a volte si perde qualche parola per strada dice: “ Grazie per questo premio, la mia fortuna è stata avere grandi fuoriclasse in questi anni di carriera al Manchester. Nel calcio contano i risultati. Conta vincere ed è quello che continuerò a fare. Cercare di vincere.” Freddo e spietato, un grande uomo, senza fronzoli ed eccessi, la nuda verità.
Guardiola è premiato come miglior allenatore tra il terzetto che comprende lo stesso Ferguson e l’assente Mourinho; non presentatosi alla cerimonia così come i calciatori del Real Madrid invitati: Xabi Alonso, Ramos, Casillas e Cristiano Ronaldo. Per preparare la partita di oggi ( martedì ndr) contro il Malaga. Anche se è naturale pensare che l’assenza sia voluta anche per evitare di assistere alle vittorie degli eterni rivali catalani.
L’allenatore del Barcellona dedica, in primis, il premio ai suoi due contendenti. Successivamente a tutto l’apparato della società  dal presidente ai raccheta palle. Poi ripropone un concetto già espresso durante il conferimento della medaglia d’oro del Parlamento catalano, per il quale lui non è altro che l’”escollit” ( scelto, prescelto) per portare avanti un lavoro iniziato generazioni fa. Il suo unico merito. Ultima dedica, infine, con un rapido cambio inglese-catalano al suo assistente Tito Vilanova.
Il premio Puskas per il miglior gol dell’anno è assegnato a Neymar. Serpentina contro il Flamenco e gioco di prestigio all’ultimo difensore prima di marcare la rete. Sconfitti il gol di Messi contro l’Arsenal, pallonetto soffice al portiere e tiro di contro balzo e quello che a mio avviso sarebbe dovuto essere premiato : rovesciata di Rooney contro il Manchester City. Il gol è stato votato dagli internauti e credo abbia prevalso la “modernità” delle finte di Neymar e il fascino creato attorno alla sua immagine ultimamente, contro una “pura”, “classica” e “antica” rovesciata dell’attaccante inglese. Un gesto tanto semplice e complesso allo stesso tempo, che sicuro rimarrà impresso nella memoria degli appassionati più a lungo del gol del brasiliano.
Uno dei premi più significativi e indicativi della nostra era calcistica è quello che incorona la formazione tipo: i migliori undici giocatori del mondo.
Il modulo è un 4-3-3 : Casillas, Dani Alves, Piquè, Vidic, Sergio Ramos, Xabi Alonso, Xavi, Iniesta, Cristiano Ronaldo, Messi, Rooney.
Esclusi il difensore e l’attaccante dello United vi sono solo giocatori che militano con il Real e con il Barça, con prevalenza di spagnoli( sei su undici). La nuova mappa del calcio mondiale. Non solo tra i migliri non è presente neanche un giocatore italiano, ma neanche uno che militi nel nostro campionato.

Accecati dalle piccole beghe del nostro cortile non ci siamo resi conto che il calcio ormai ha preso la valigia ed è emigrato dallo Stivale. I giocatori di prima classe, viaggiano oramai solo verso Inghilterra e Spagna. 
Con che pretesto si può convincere un fuoriclasse a venire in Italia, con la situazione di stadi, club e tifoserie che sono ancora quelle di trent’anni fa? Da noi, non si può negarlo, arrivano solamente seconde scelte, giocatori in esubero, fuori rosa o tutt’al più vecchie glorie alla ricerca di nuovi stimoli.
L’unico italiano presente a Zurigo era Farina, difensore del Gubbio, premio fair play, per aver denunciato ed essersi opposto alle combine di alcune partite di Serie B. Questo la dice tutta sulla situazione attuale del nostro calcio.
Per l'intera cerimonia sul palco si sono avvicendati ognuno con una propria concezione di lingua inglese: Pelè, Karembeu, Lothar Mattheus, Blatter e Shakira. Inoltre sono saliti a ritirare i premi per i calciatori assenti del Real Madrid : Zinedine Zidane e Butragueño.
La passarella di grandi è chiusa dal più grande giocatore degli ultimi vent’anni: Luis Nazario da Lima, anche conosciuto come Ronaldo, O’Fenomeno, salito in cattedra per annunciare finalmente il vincitore del Pallone d’Oro 2011. Parla in spagnolo Ronaldo. La lingua dei campioni del mondo, patria attuale del bel gioco. Il calcio rimodella anche il potere geopolitico.
Si avvera quello che i più noti opinionisti sportivi ripetevano da mesi, in una litania senza sosta : il terzo pallone d’oro consecutivo, eguagliando così il record di Michelle Platini, vincitore dal 1983 al 1985.
Messi nuovamente incoronato re, ma il Pallone d’Oro è un riconoscimento personale e il calcio è un gioco di squadra, per questo la Pulce ancora non è il più forte di tutti i tempi. Escludendo i mostri sacri come Pelè e Maradona, giocatori come Zidane, Cruyff, Platini, Baggio, Iniesta o Matthaus hanno saputo colmare quel vuoto di tecnica che li distacca da Messi con altre doti e personalità, portando i loro club o le loro nazionali sul tetto più alto del mondo o ad un soffio dal traguardo, dimostrando qualità eccezionali che nessun colpo di tacco o finta di corpo potrà mai eguagliare.
Il Pallone d’oro, indubbiamente, diviene proprietà esclusiva di Lionel Messi per molto tempo a venire. Cosa dovrà mai accadere perché un giocatore come Iniesta possa trionfare in questa competizione?
I successi della Pulce sono meritati, senza ombra di dubbio, però la situazione attuale, merita, secondo me, alcune considerazioni.
Negli ultimi trent’anni, per restringere il raggio d’analisi, il Pallone d’Oro è stato sempre vinto da attaccanti, se si escludono solamente Cannavaro ( 2006) Sammer ( 1996), entrambi i premi conditi da un’infinità di polemiche, il tuttofare Matthaus ( 1990) e i centrocampisti, non certo difensivi, Figo ( 2000) e Nedved ( 2003). Un premio votato all’attacco quindi che, tra le tante qualità calcistiche, ne premia solo una.
Un’altra concezione fuorviante è sicuramente il premio su base annua. Sembra che alcune volte valgano le competizioni ( Cannavaro 2006) e altre no ( Iniesta o Snejder 2010). Oltretutto ci sono giocatori che possono fare un’annata eccezionale e sparire l’anno successivo ( lo stesso Cannavaro) mentre il lavoro di altri giocatori si riesce a quantificare solo in archi di tempi più lunghi: penso a Xavi, che da anni muove il gioco della squadra più forte al mondo quasi silenziosamente.
Per questo la Fifa, che è rappresentazione vivente del Calcio Moderno, con tutti i suoi difetti e pregi, per una volta, da gran baraccone commerciale e mediatico che è diventato, non farebbe male a imitare e prendere in prestito un’idea da un altro grande circo mondiale: Hollywood.
Parlo dell’istituzione di un Pallone d’oro alla carriera. Cosa diversa dal già esistente “Presidential award” che ha premiato negli anni : Ferguson, la regina di Giordania e l’attrice protagonista di “Sognando Beckham”.
Un premio istituito per calciatori, che per il meccanismo odierno dell’assegnazione del Pallone d’Oro non sono stati in grado di vincerlo, ma lo meriterebbero come Messi merita dieci Palloni d’Oro consecutivi.
Fuoriclasse e giocatori che sono stati un esempio nel campo e hanno fatto innamorare di questo sport milioni di ragazzi. 
Un premio alla carriera, perché il calcio si gioca negli anni e non solo anno per anno.
Come non riconoscere merito a giocatori del calibro di : Giggs, sempreverde guerriero del centrocampo del Manchester, presente sul campo da quando Messi a malapena era nato e otto anni prima che Blatter diventasse presidente della Fifa.
Zanetti: calciatore esempio per onestà e amore del gioco. Vero trascinatore dell’Inter campione d’Europa.
Iniesta: decisivo nella Coppa del Mondo. Dedica il gol della vittoria al defunto capitano dell’Espanyol, squadra rivale nel derby di Barcellona. Grande giocatore e fuoriclasse. Costruttore insieme a Xavi dei tre palloni d’Oro di Messi.
Veron: che a 35 anni trova ancora fantasia e tempo per vincere un campionato nell’Estudiantes, squadra che lo lanciò a soli 19 anni.
Francesco Totti: uno dei migliori giocatore italiani in attività, sempre fedele ai colori giallorossi, che mai ha ceduto alle lusinghe di grandi club stranieri.
Stesso discorso valido per Del Piero.
Maldini: forse il più grande difensore di tutti i tempi, ingiustamente fischiato il giorno dell' addio al calcio dai suoi stessi tifosi.
Buffon: vincitore morale del Pallone d’Oro del 2006. Rimasto alla Juventus retrocessa in Serie B, non scappato come un mercenario verso eserciti stranieri.
Klose: gran marcatore, che pur di conquistare un posto da titolare nei prossimi europei, non solo è andato a giocare con una squadra di almeno due categorie inferiori, ma si è anche abbassato lo stipendio, al contrario di fenomeni parcheggiati in campionati russi e sauditi.
Raul: sempre ad un soffio dal premio, ma mai raggiunto. Bandiera della Casa Blanca e una nuova giovinezza con lo Schalke che lo porta fino alle semifinali di Champions.
Henry: che dopo anni di militanza nell’Arsenal di Wenger, si prende il lusso di tornare per due mesi a 34 anni, di entrare in una partita di Fa cup e segnare il gol della vittoria, in uno stadio che mai lo ha dimenticato. 
E questo rimanendo solo negli ultimi dieci anni. Come loro ce ne sarebbero molti altri che meriterebbero un tale riconoscimento.

Il calcio è anche questo. Non solo trofei, gol, dribbling o vittorie. Il calcio è sudore, emozioni, ricordi e sconfitte.
Henry non cambierebbe mai l’emozione di tornare a casa sua e segnare un gol davanti ai tifosi di sempre neanche per quattro palloni d’oro consecutivi.
Per questo l’istituzione di un Pallone d’oro alla carriera premierebbe chi come lui ci ha fatto innamorare di questo sport. Grandi uomini diventati grandi campioni. Se lo meritano loro e ce lo meritiamo,sicuramente, noi amanti del Calcio.

Ciava.