domenica 18 settembre 2011

Inter - Roma . In bilico sul trespolo.

Il fine settimana è arrivato e da buoni amanti del Calcio bisogna stilare il programma completo degli appuntamenti da non perdere. La Domenica si rivela ricca di interesse. La mia agenda prevede : 13.00 mega pranzo di venticinquesimo di matrimonio della cugina di mia madre, 14.30 tentativo di smaltire tutto il cibo ingerito e alleggerirsi per il pomeriggio da passare sul divano, 14.50 escamotage per defilarsi dal ricevimento, 15 pm Lazio – Genoa, 17 pm Manchester Utd – Chelsea, 20.45 Napoli – Milan. Mega indigestione da banchetto e da calcio giocato.
Il tutto introdotto da un buon antipasto : Inter – Roma di Sabato sera. Una partita atipica per la situazione attuale delle due formazioni in cerca d’autore.
La trama è quella scritta dalla stampa questi ultimi giorni: il confronto tra i due allenatori.
Gasperini naviga in brutte acque dopo le sconfitte contro il Palermo e una squadra turca che non ricordo neanche come si scrive, credo una cosa simile a "Tranzrospor", ripescata in Champions, che molto probabilmente non sarà la sorpresa del torneo, come lo fu la Danimarca agli europei del '92, ripescata all'ultimo e vincitrice della competizione.
Fossi stato il nuovo allenatore nerazzuro mi sarei iniziato a preoccupare dal giorno che mi avessero iniziato ad addossare il soprannome “ Gasp”. Con un nomignolo così, che ricorda molto i personaggio di Paperino ( “Zio Paperone! Che fine ha fatto Zio Gasp? ") non è difficile imboccare la retta strada del fallimento. Soprattutto in una piazza febbrile e schizofrenica come quella interista, ripiombata negli incubi di qualche anno fa dopo la partenza di Mourinho e spaventata da un ritorno all’anonimato di alta classifica. Aggiungiamoci anche una fiducia del Presidente Moratti verso il suo “impiegato” che può essere paragonata alla media della considerazione che Zamparini ha verso i suoi allenatori e immaginiamoci come si debba sentire il povero Gasp. Una vignetta mal disegnata.
Mentre Luis Enrique, soprannominato benevolmente Luigi Enrichetto ( nomignolo che ricorda un regnante goffo ), o  anche “Gianni, l’ottimismo della vita”, si trova nell'arduo compito di vendere bel gioco al tifo romanista o come avrebbe detto una vecchia gloria della panchina giallorossa : “il fumo della pipa”. Un’opera di convincimento che lentamente trova i primi frutti : elogi dalla stampa calcistica sempre in cerca di belle storie e fiducia da parte di  qualche tifoso disorientato e frastornato dai quintali di dolci parole riversate sul “progetto Roma” da sei mesi a questa parte.Un appuntamento da non perdere insomma. 
Da buon laziale rispolvero il trespolo deposto in cantina. Anche se devo specificare che il mio “gufare” la Roma non significa tifare per l’Inter. Non provo simpatia per una società in mano ad un povero petroliere che negli anni non ha fatto che peggiorare l’ambiente del calcio italiano. Tanti calciatori comprati, miliardi spesi senza un filo logico, vittimismo e Calcio vissuto e inteso come sfizio personale. Risparmio solo i buoni (dal cuore buono) Zanetti, Ronaldo e Baggio.
Sono romano e laziale e se dovessi nominare una squadra del Nord che mi è simpatica direi l’Ajax; per me Inter, Milan e Juve sono tutte uguali.
Per i malpensanti: se credete che io abbia esultato al gol dell’Inter contro la Lazio all’Olimpico ( Oh nooooo) vi sbagliate. In linea di massima ero contento che la Roma non avesse vinto il Campionato, ma mai mi permetterei di fischiare il mio portiere ed esultare ad una sconfitta della mia squadra. Me ne vado silenzioso e realista senza fare buffonate.Gufo quindi per struttura genetica.
Il fischio d'inizio si avvicina ma per mia sfortuna riesco a vedere la partita solo dal quarto d’ora del primo tempo. Il trespolo è ben lucido e quando accendo il televisore al diciassettesimo la prima immagine che mi appare è Stekelenburg dolorante a terra. Mi sento un po’ in colpa perché ho paura che le mie “macumbe” si siano rivolte contro il portierone olandese. Non era mia intenzione; gli olandesi mi sono anche simpatici e non auguro di farsi male a nessun avversario,esclusi Mexes, Ibrahimovic,Chivu e Lucio (il nome del brasiliano non era presente nella lista dell’articolo originale, ma l’ho aggiunto dopo i consigli di amici giallorossi. Un piccolo gesto di solidarietà per i miei cugini).
La partita è molto statica, qualche buono spunto di Forlan e di Borini da ambo i lati, ma le due squadre stentano a proporre un gioco efficace. Impiego tra la mezz’ora ei quarantacinque minuti a capire con che modulo giochi la Roma e alla fine solo l’aiuto del Gazzobba, subentrato sul divano di casa mia per il secondo tempo,mi illumina sul fatto che Perrotta stia giocando terzino destro.
Già l’inserimento di Taddei mi aveva stupito ma la scelta di Perrotta a destra mi fa solo sorridere. Esterni bassi come si chiamano nel calcio moderno, che è deprimente anche grazie alla stampa e al rinnovamento del dizionario del Pallone.
La rivoluzione dell’asturiano. Penso che forse anche io potrei avere un futuro nel calcio mondiale. Ipod, occhiali Ray Ban, lavagnette magiche, gioco del telefono per diramare i miei consigli tattici ai giocatori, schema del “un due tre stella per i calci d’angolo” con l’ariete che poggia il braccio e la testa sul palo, Klose difensore centrale, Toldo boa e Roberto Carlos e Nedved punte larghe ( Iss pro evolution insegna).
Marcheggiani a fine partita elogia con grandi parole il coraggio di Luis: perché in Italia non siamo abituati a vedere giocare una squadra con solo due difensori di ruolo. Forse l’ex portiere biancoceleste dimentica che non siamo abituati perché in Italia in difesa ci giocano i difensori e se proprio vogliamo dirla tutta anche la Lazio ultimamente gioca solamente con Dias e Biava, perché sicuramente Zauri, Konko e Lulic rientrano nella categoria delle “pippe al sugo”.
De Rossi invece gioca in un ruolo bizzarro, regista di centrocampo,ma a volte retrocede ( anche con la palla in possesso della Roma) in posizione di libero; si diverte molto ed entra quasi sempre nella manovra romanista mentre Totti arretra spesso fino al cerchio di centrocampo per impostare una trama dalle retrovie.
Kjaer è la fotocopia spiccicata di Mexes, Pjanic si accende e si spegne, batteria scarica, Osvaldo ha gli scarpini ancora sporchi di farina, causa il suo lavoro mattutino di panetterie. Tirando le somme il migliore in campo è il giovane Borini, già osannato dalla critica e dalla stampa ( da fine primo tempo). Speriamo che non senta troppo la pressione ed i complimenti perché sinceramente mi sembra il miglior acquisto della Roma quest’anno.
L’Inter,dal canto suo, sembra una compagine di mangiatori di oppio: disorientata al massimo,poco filtro a centrocampo, dimenticanze in difesa ( su tutti Ranocchia) con i soli Snejder e Forlan a cercare di dare un significato all’impostazione del gioco ma con il resto della troupe che si ritrova in campo per sbaglio, tra tutti Obi; la forza non è con lui.
I giallorossi giocano meglio nella trequarti e l’Inter è più pericolosa nelle zone dove la Roma ha preso ciò che ho imparato chiamasi coraggio;sulle fasce laterali per intenderci.
Se non fosse che la Roma sta giocando contro l’Inter e l’Inter sta giocando contro la Roma le due squadre si sarebbero portate a casa un’amara sconfitta contro qualsiasi altra formazione del Campionato Italiano.
Il secondo tempo è più vivace, alcuni dicono che la Roma mostra molta personalità, da laziale sono molto contento perché la Roma non fa un tiro in porta e si cerca di vendere questo scempio per buon calcio. Magari sempre questa personalità,con l’unica occasione chiara nata da una disattenzione di Cambiasso, con una conclusione di Osvaldo che assomigliava molto ad una pagnotta appena sfornata. 
L’Inter,sempre senza ordine e molto in confusione, crea qualche occasione,soprattutto dalla fascia destra, dove Zarate sembra quasi rinato nel confronto con Taddei.
Nella Roma entra Gago, da me e Gazzobba soprannominato il “Tassista”,rivelazione del mondiale under 20 del 2005 ( un grazie per avercelo ricordato al telecronista Compagnoni) ed esperto scalda-seggiolini del Bernabeu, tassista a tempo perso per arrotondare i milioni regalatigli da Florentino Perez.
Borriello che non tocca un pallone sostituisce un buon Borini. Tutti i milioni spesi per Bojan e poi trovarsi un ragazzo così giovane e con tanta personalità sicuramente è una sorpresa; a mio avviso un buon affare per il futuro.
Il clou si raggiunge quando Gasp ( sic ! ) sostituisce Forlan, uno degli attaccanti più forti del mondo già sotto effetto della brutta aria che si respira a Milano, per Muntari. Fischi da parte di tutto San Siro.
Le ultime occasioni sui piedi di Snejder sono vissute sul divano di casa mia con sentimenti altalenanti. Il Gazzobba sul tiro salvato da Kjaer è insicuro se urlare per l’amarezza o per la gioia,visto che il fantasista olandese è schierato nella formazione "fantacalcistica" di Edoardo Di Stefano (solo il cognome da fenomeno) con cui si scontra questa giornata. Arrivo alle conclusioni che il Fantacalcio è adatto solo a persone prive di sentimenti o dannatamente realiste.
Il triplice fischio mette fine ad una partita non spettacolare, tra due squadre decisamente ancora molto lontane dal proprio gioco ideale.
Gasp ( benf ! ) ne esce più ammaccato, perché a Milano non possono aspettare e l’Inter non ha nessuna traccia di quello che si definisce chiamare gioco di squadra.
Luis Enrique sembra soddisfatto a fine gara anche se la sua Roma ancora stenta a prendere forma. Rari i tiri in porta ma più convinzione nell'impostazione, anche se niente di particolare. Il tecnico spagnolo ha sicuramente più tempo e credo che con qualche giusto innesto dall’anno prossimo si potrà iniziare a parlare di nuova Roma.
Ripongo il trespolo in cantina, ben soddisfatto di un pareggio che accontenta entrambe le squadre ma non risolve i problemi di nessuno.
Ad essere sinceri la forma indefinita presa dalla società giallorossa non mi permette di “gufarla” e “odiarla” ( in senso calcistico che vuol dire anche “amare” ) a fondo. Il simpatico Di Benedetto mi sembra un boss della mafia uscito da i “Soprano”, niente a che vedere con l’astio che provavo verso i Sensi. Il tecnico asturiano poi non mi dispiace: convinto dei suoi metodi e con un ottimo spirito.Borini, Pjanic, Gago e compagnia bella non rientrano nella categoria di “giocatori avversari” come lo potevano essere Mexes e Vucinic. Pellissier, Pato o Osvaldo non fanno differenza per me. Questa squadra che non è dei romanisti non è neanche mia. Chievo, Fiorentina, Juve o Roma mi fanno quasi lo stesso effetto.Possibile? In parte è vero se non fosse per un'eccezione. Anzi due : Totti e De Rossi.
Se non fosse per loro i giallorossi sarebbero come qualsiasi altra squadra ai miei occhi.
I miei cugini si devono rassegnare; finché giocheranno il Pupone e Capitan Futuro rispolvererò sempre il trespolo riposto in cantina.
Quando non ci saranno più la Roma potrà vincere anche lo Scudetto; tanto neanche varrà la pena dannarsi o rimanerci male per un gol segnato da Osvaldo o da Borini o per un trofeo messo in bacheca da Di Benedetto. Prima o poi anche i gufi vanno in pensione.

Ciava.

lunedì 12 settembre 2011

La nuova Roma. Più de na squadra.

Parte male la Roma di Luis Enrique. Giallorosso non è ancora la traduzione di blaugrana nel nostro campionato.
Una sconfitta contro il Cagliari che aumenta i problemi del tecnico spagnolo, alimentando i dubbi nell’ambiente romanista.
Dai commenti dei miei cugini capisco le differenti correnti di pensiero : chi, anche se deluso dalla sconfitta, ritiene positivi alcuni spunti : molto possesso palla, una bozza di un nuovo modello di gioco che se migliorato potrà portare la squadra capitolina ad ottimi risultati e a far divertire i tifosi; chi invece crede sia tutta apparenza, tanto giro di palla senza un filo logico conduttore, come mi suggerisce “Harlong” ( gran tifoso e amante del bel calcio ) anche alcune squadre di Promozione riescono a far circolare il pallone vertiginosamente senza per questo giocare un calcio rivoluzionario. Se arrivati negli ultimi venti metri finali manca l’inserimento vincente o il cross dal fondo non incontra nessun giocatore pronto a concludere,il possesso di palla è finalizzato solo all’estetica.
Gli obiettivi prefissati sulla carta sono ancora molto distanti. Ed il problema più grande è che ci troviamo a Roma, non una piazza facile; la gente non è abituata ad aspettare.
Sogniamo tutti lo Zeman o il Guardiola di turno, ma in realtà il tifoso comune preferirebbe il brutto gioco abbinato ai buoni risultati rispetto ad una mentalità offensiva ed ad un progetto che richiede del tempo. Meglio l’anno passato, quando la Roma giocava un brutto calcio ma, vuoi per fortuna vuoi per esperienza, riusciva sempre a risolvere in maniera decente le partite.
I risultati sono tutto : se Jose Angel non avesse commesso i due errori che hanno compromesso il verdetto finale e qualche tiro sporco fosse entrato nella porta del Cagliari staremmo tutti a parlare del nuovo corso giallorosso.
Un corso che deve capire che direzione vuole prendere. Si è parlato spesso di modello Barcellona. Mès que un club (più di un club). Come se il solo nominare il club più forte del mondo e ingaggiare l’allenatore della sua seconda squadra fosse sufficiente ad un cambiamento radicale nel gioco della Roma. La strada non è quella giusta.
Fino adesso il progetto intrapreso da Di Benedetto mi sembra più simile al modello Manchester City o Real Madrid ma su un livello decisamente inferiore.
Molti soldi messi sul mercato, giocatori mediamente affermati e giovani scommesse provenienti da ogni realtà calcistica. Così gli acquisti di Gago, Heinze, Lamela, Bojan e Pjanic ricordano vagamente gli acquisti madridisti Fabio Coentrao, Sahin, Altintop e Callejon.
Il Barcellona- pensiero è distante. Una squadra ben affiatata che necessita mediamente di due acquisti l’anno, ma di altissima qualità ( Cesc e Sanchez quest’anno, Mascherano e Villa l’anno passato) e di inserimenti progressivi dei giovani della Cantera ( Thiago e compagni ). Serve sicuramente del tempo, la società giallorossa è al primo anno di una nuova avventura e gli obiettivi della dirigenza sono a lungo termine.
Anche se la Roma potenzialmente aveva già un’impostazione simile da molti anni. E’ difficile trovare un settore giovanili tra le squadre di alta classifica che negli ultimi dieci anni abbia sfornato talenti come De Rossi,Aquilani e  Francesco Totti ,facendoli giocare giovanissimi e garantendogli il minutaggio e l’acquisizione d’esperienza necessaria per diventare dei campioni. Senza contare i giocatori di medio livello che militano in seria A provenienti dal settore giovanile giallorosso come Cerci o Pepe.
Seguendo il modello catalano non ci si è soffermati però su un aspetto a mio avviso importantissimo e centrale in un progetto come quello del Barça : il piano di accoglienza che è impostato su un concetto linguistico e d’integrazione.
Non è fantascienza. Gli ultimi grandi acquisti del Barça ( se si esclude Ibrahimovic ) parlano tutti spagnolo e due di questi ( Fabregas e Villa ) venendo a giocare in Catalunya hanno ritrovato compagni di una vita con cui hanno condiviso esperienze nelle giovanili e nella nazionale. Per Fabregas è stato addirittura un ritorno a casa; il centrocampista sogna nella stessa lingua di metà rosa catalana. Inoltre la maggior parte dei componenti della rosa del Barcellona conosce a memoria i propri compagni, si è prima amici e poi colleghi.
Nella Roma multietnica invece ognuno parla la sua lingua. Osvaldo e Totti, Stekelenburg e Juan, Luis Enrique e Di Benedetto. Addirittura in conferenza stampa Pjanic, che mi ha stupito per la sicurezza e il modo di relazionarsi con la stampa a soli ventuno anni,sfoderando un francese accademico, ha dichiarato di non aver scambiato neanche due parole con De Rossi, adducendo come scusa gli impegni con la nazionale del centrocampista romano. Fabregas e Iniesta vanno al cinema insieme, le future colonne del centrocampo romanista non comunicano e non sanno comunicare.
Pirlo nella Juventus è un esempio di quanto l’ambiente e l’esperienze passate contino molto sul piano professionale.
In tutto questo calderone aggiungiamoci anche le perplessità del Pupone, non abituato a rientrare in nessun tipo di progetto che non ruoti intorno al sua carisma e l’impazienza del tifo giallorosso e la frittata è servita.
Luis Enrique deve ancora lavorare molto e non solamente sul piano del gioco.
Il nuovo modello dovrebbe essere rivoluzionario ma stenta ancora a capire in che modo esserlo.
L’America è vicina e la Catalunya è ancora molto distante.
Sicuramente la Roma ci farà ricredere. I tifosi aspettano con ansia le prime certezze del nuovo corso. Un cambio di rotta che modifichi  la maniera di pensare il calcio nella capitale. La strada è ancora lunga.
Aspettiamo fiduciosi e sogniamo tutti il giorno di leggere sugli spalti del futuro stadio di proprietà la frase che consacri la nuova vita giallorossa : "As Roma, più de na squadra".

domenica 11 settembre 2011

La nuova Lazio ed i soliti laziali.

Tornare da una vacanza lunga un mese è un’ottima cura per allontanarsi dai malanni della penisola. Grazie ad un bel distacco dalla politica logorroica e dalle beghe italiche del Palazzo. Tutto sembra come non essere mai esistito.
Sfortunatamente mio padre per tenermi aggiornato si è preso la briga di conservarmi i giornali di tutto il mese d’Agosto, per una full immersion di ritorno da capogiro. Dare uno sguardo solamente alle prime pagine è il peggior modo di accoglienza che ci si possa aspettare da una vacanza. Anni fa mia madre mi aspettava in aeroporto con una matriciana appena cucinata, adesso con chili di carta stampata, per ricordarmi che anche se cerco sempre la fuga in ogni angolo del pianeta, è nell’Italia berlusconiana che devo scontare la mia pena. Meglio non illudersi.
Ovviamente tornando a casa si viene a conoscenza di tutta un’altra serie di notizie che bilanciano le tragedie politiche : novità sugli amici, gossip di vario genere, le solite cazzate e gli aggiornamenti sullo sport ,in primis il calcio. Anestetico contro gli effetti collaterali della quotidianità.
Avendo avuto la possibilità ( e la voglia ) di connettermi raramente su internet dalla Spagna, sono aggiornato solamente sulle situazioni di calcio internazionale ( gironi Champions League e in parte spareggi ) e sul calciomercato spagnolo (quindi degli arrivi di Forlan e Gago in Italia ), ma nulla di più.
I quaranta minuti che mi sono concesso per tornare sul “Pianeta calcio” sono stati carichi di emozioni. Il calciomercato ancora non lo ricordo tutto. Capita spesso che domandi a qualche amico : con chi gioca quest’anno Giaccherini ? Ma come Eto’o in Russia ? Che delusione ! Ma Pjanic a Roma ? Che si è detto nella capitale dell’”affare Zarate” ?
Il mercato della Roma mi  stupisce in verità. Un buon progetto. Ma da buon laziale mi dico che tanto più ambizioso è il progetto, tanto più pesanti saranno la sofferenze e le delusioni che avranno i nostri cugini in campionato. Son tornato ai vecchi attriti del calcio della capitale. Che nostalgia le chiacchere da bar. 
Quando poi apprendo che la Roma non è riuscita a passare il turno preliminare di Europa League, cerco subito di sfogarmi con qualche amico giallorosso, ma il fattaccio risale a più di due settimane prima del mio rientro, quindi gli sberleffi scottano poco. Una soddisfazione in meno. Che brutta cosa lo scorrere del tempo.
Piccole scaramucce, il bello deve ancora arrivare, c’è una stagione intera ancora da vivere.
Il primo appuntamento per me è Venerdì 9 Settembre. Milan – Lazio.
Ogni volta che vado all’estero e inizio a parlare di calcio devo giustificarmi per la mia fede laziale. Fuori dai nostri confini il tifoso biancoazzurro è etichettato come “fascista” a priori. Quante volte a cercar le giuste parole e spiegare in chissà quale strano idioma di questo mondo che non è sempre così. Speriamo almeno che tutti i miei sforzi per difendere una passione che dura da molti anni, siano oggi ripagati.
Come sempre  il gran quesito è dove vedere la partita. Alcuni hanno i loro riti, Casty e “Il Pollo” hanno le loro “cabale” ( come dice Matteo ) e assisteranno all’esordio dei biancocelesti chi in compagna dei cugini chi con i soliti amici. “Il Cinese” ,vecchio collezionista di cose inutili e buon laziale è a Ponza a fare la bella vita. Avrà rinunciato alla visione del match per un cocktail in più. Zilli e il Dheso optano per il “Pub Gaelic”. In molti rifiutiamo l’offerta. E’ la prima di campionato. Bisogna essere concentrati. Capire bene la squadra. Non gradiamo la presenza della fauna locale che comprende gufi e piccioni giallorossi. La partita è la partita.
Mi ritrovo a casa mia con uno dei più grandi commentatori tecnici dei Castelli Romani: il Gazzobba. Bestemmiatore di professione, fisico per hobby.
Speriamo che la partita non venga commentata da Caressa. Scotta ancora in noi l’esultanza dell’anno scorso su un doppio palo preso da Ibra contro la Lazio. Il telecronista, da buon ibrido interromanista già aveva caricato nelle corde vocali il grido di gioia, strozzato poi dal pallone che ballando sulla linea di porta nega al povero Fabio la “soddisfazione della civetta”.
Per nostra sfortuna vengono annunciati i telecronisti : Caressa e Bergomi . La delusione è ripagata da alcune risate assicurate. Prima che inizi la partita pronostichiamo quella che potrebbe essere una classica presentazione del buon telecronista . “ La prima di campionato è come il primo giorno di scuola. Si è un po’ spaventati, un po’ contenti, ognuno porta il suo grembiule, le matite da temperare e mostra al resto della classe l’astuccio nuovo. C’è chi è pronto all’interrogazione, chi ha fatto sega e chi cercherà di non farsi bocciare a fine anno….”
Quando inizia la presentazione vera che parla di “Prima di campionato e sguardi allo specchio la prima mattina lisciandosi la pelle”  ringraziamo il Signore per queste chicche che ci vengono donate ogni Domenica (anche se è Venerdì).
Per me la Lazio schierata in campo è un colpo al cuore. Cissè e Klose li avevo solo immaginati con questa maglia e vederli realmente in campo mi dà uno strano effetto, tra il riso e lo stupore.
La squadra parte benissimo, buon possesso e ottimi spunti. Si è San Siro , dai campioni d’Italia uscenti e si cerca di fare la partita. Quando Mauri inventa l’assist per “SaltaKlose”, che addomestica il pallone con la grazia di un gigante buono e supera Nesta con una giocata illuminante concludendo l’azione con quello che dalle nostri parti è chiamato “lo sgrullo della rete” nel mio salone è il finimondo. Io esulto molto compostamente. Il Gazzobba salta dal divano ,stranamente senza imprecazioni contro divinità o santi, e inizia a girare vorticosamente su stesso urlando “ Mirooooo….Miroooooo”; il fatto di stare solamente con i calzini gli procura uno scivolone tremendo, che non se non fosse stato ammortizzato da una pianta del salone sarebbe stato cartellino rosso diretto. Ripresi dall’ebbrezza provocata dal gol, decido di chiudere persiane e finestre, con Il Gazzobba in casa tutto diventa imprevedibile. Non voglio fare la figura del laziale burino e procurarmi una cacciata votata all’unanimità dal mio condominio.
Tappati in casa surriscaldiamo e il clima raggiunge sembianze tropicali quando Mauri nuovamente pennella un assist dalla sinistra che Djibril Cissè accarezza con la testa anticipando Nesta e lasciando che Abbiati guardi il pallone dallo specchietto retrovisore gonfiare la rete. Non è realtà questa.
Siamo al settimo cielo, ma siamo anche coscienti del fatto che siamo in casa della squadra candidata a vincere il Campionato e può succedere ancora tutto. Dopo aver maledetto Aquilani in un dialetto che sicuramente il nuovo centrocampista romano capisce alla perfezione siamo puniti dalla nostra stessa rabbia.
Per trenta minuti ci siamo sgolati contro Konko e Zauri, con riferimento ai loro poveri antenati defunti e ad alcune loro lacune tecniche. Il povero Zauri ci ripaga due volte il prezzo del biglietto con due distrazioni che riportano il Milan in pareggio . Zlatan e Cassano. Sarà una sofferenza.
La Lazio del secondo tempo ricorda molto quella dell’anno scorso che andò a cercare un pareggio sudato a Milano. Questa volta le motivazioni non sono tattiche bensì atletiche. I rossoneri hanno il pallino del gioco e la Lazio fatica a costruire. Due giocate di Cassano mi fanno perdere tutti i chili che avevo riacquistato con la cena in famiglia appena ritornato dalla Spagna. Lo scatto di Cissè verso la porta di Abbiati e il salvataggio di Alessandro Nesta sulla riga ci fanno quasi credere in un miracolo.
Nel finale Reja,capendo la situazione di sofferenza, toglie giocatori offensivi come Klose, Mauri e Hernanes per incontristi e corridori ( Gonzalez, Matuzalem e Lulic ) per far respirare la squadra. Allegri dopo il cambio del primo tempo Gattuso – Van Bommel ( che è quello che cambia la partita secondo un'attenta analisi tecnica di Edoardo di Stefano, cognome da fenomeno) fa entrare Pato e Nocerino. “ Essu sa”….è il commento del Gazzobba…” me spieghi che c’azzecca stu innestu de Nocerino. Mo quissi vogliono fa vede che se so comprati li giocatori. Sta pippa ar sugo. Mettono in mostra le novità. Che mme rappresenta? E’ come quanno te compri er majone novo e too metti la sera stessa. Eccu Nocerino è u majone novo der Milan, ma nun se po vede comme majone!”.Seguiti dalle critiche sul portamento di Boateng : " Me pari nmarajà co li capilli...u vidi Prince l'Eunuco,va a scalla a panchina che è mejo va!". Spero che Google translate vi sia d’aiuto per la traduzione frascatano – italiano.
Il fischio finale con la sfuriata dalla bandierina di Cassano ci libera della tensione accumulata dal momento del pareggio fino ad allora. Ci riteniamo soddisfatti, quest’anno ci sarà da divertirsi.
Le ultime pene da sopportare sono quelle del post- partita. Il laziale medio stando a stretto contatto da millenni con la “specie romanista” è stato contagiato dal “germe giallorosso” della “critica a tutti i costi”. Inizia la solfa. Reja non capisce niente. Se ci fosse stato Zarate. Vogliamo Simeone. Ma come si fa a giocare così ? Quest’anno andrà a finire come l’anno scorso,non è cambiato niente.
Frustrazioni del tifoso che crede che la sua squadra sia il Real Madrid. Magari un campionato come quell’anno dell’anno scorso. Ma con Cissè e Klose in più. Un Zarate in meno e con un allenatore come Reja che oggigiorno è uno dei migliori della Serie A. Con una rosa come quella della Lazio ha fatto i miracoli. Le dinamiche dello spogliatoio non arrivano in Curva e non si può giudicare il lavoro di un gentiluomo che ha ripescato la Lazio da un purgatorio vicino alla retrocessione e l’ha portata quasi in Champions. I giocatori sono quelli, il campionato è lungo e anche Hernanes e i nostri giocatori migliori devono riposare. Le somme si tirano alla fine.
Godiamoci questa Lazio e vediamo se per la “Legge dello sberleffo” Luis Enrique e i suoi ci darannno, anche loro, qualche soddisfazione quest’anno.
Buon campionato e buone chiaccere da bar.

Ciava

venerdì 9 settembre 2011

El Clasico sul Camino. El futbol verso Santiago di Compostela.

Spoorts and Culture - El Clasico sul Camino. El futbol verso Santiago di Compostela

630 chilometri percorsi tra vesciche, doppi passi e religioni calcistiche.

Il cammino di Santiago è un concentrato sintetico di tutti gli aspetti della vita. Gente pazza, innamorata, nordica, disoccupata, benestante, atea o credente si mette in marcia a dei ritmi sconosciuti alla quotidianità.

Le sofferenze e le gioie si ampliano, i problemi si accantonano,le paure svaniscono o riemergono,i dubbi rimangono o si risolvono, si diventa tutti passanti, viaggiatori in un limbo sospeso tra civiltà conosciuta e nuovo mondo inesplorato.


Le persone cercano santi, Dei, ombre o feticci e le discussioni variano dai dolori muscolari alla natura terrena di Gesù, dalla geografia alla politica estera. Non è raro quindi ritrovarsi con un compagno di "sali e scendi" a conversare delle cose più astratte ma anche delle più semplici e terrene, calcio incluso, che universalmente è punto di contatto tra storie personali a volte totalmente diverse.

Tutto il mondo è un pallone che gira. Il calcio è religione. Sul cammino di Santiago non si può non parlare di calcio.

Visioni di santi e templari si alternano nei sogni alle giocate paradisiache di Messi, ai passaggi di Iniesta e alle sfuriate diaboliche di Mourinho.

La Spagna che è attraversata dal Cammino da est a ovest e da cima a fondo è anche questo:  tanto "futbol" ma soprattutto è “El Clasico”.

La mia iniziazione a questo evento che va oltre la pura rivalità sportiva procede a piccoli passi.

Il primo periodo del mio Cammino viaggio in compagnia di un gruppo consistente di persone, tra cui due ultrà casertani, uno della Fiorentina l’altro della Lazio, entrambi con tatuaggi e collanine che testimoniano la fede calcistica. Bizzarri a volte i cammini della vita.

Dopo qualche giorno di camminata tra piccoli villaggi e campagne arriviamo a Burgos. Apprendiamo da fonti vicine al mondo civilizzato che la sera si sarebbe giocata la partita amichevole Italia – Spagna. L’evento, insolito per la vita di un pellegrino, si presentava come un’ottima scusa per rompere la routine serale che prevede solitamente chiacchere a base di birra, frutta secca e vesciche. Il calcio per una notte allontanava le nostre pene di grandi camminatori.

Ci presentiamo al pub per vedere l’incontro in 61 persone così suddivise : 22 spagnoli (cifra che comprende a loro insaputa indipendentisti baschi e catalani) 20 italiani ,(tra cui un sudtirolese,che a stento parlava italiano, ma bestemmiava come un toscano inviperito e amava la Juve al pari della sua ragazza) 5 francesi, che per tutto il primo tempo hanno discusso dell’affaire Zidane – Materazzi con eccessi di liason e “r mosce”, 7 neutri , 3 ignari e 4 ubriaconi imbucati.

L’atmosfera era quella da finale mondiale, l’inno italiano credo l’abbiano sentito fino a Santiago. Per una serie di motivi mi sono ritrovato in silenzio e seduto mentre tutti gli altri cantavano l’inno abbracciati e a squarciagola. Un insieme di sentimenti che in quel momento mi allontanavano dal riconoscermi nel testo dell’inno d’Italia. Sarà stata la presenza al mio fianco del sudtirolese, che neanche conosceva l’indirizzo della sua via di casa, figurarsi l’inno di Mameli o le chiacchere con i molti compagni baschi e catalani o forse ancora l’atmosfera di internazionalismo respirata sul Cammino, fatto sta che sono rimasto seduto e muto. Non brindo all’Italia stasera,brindo a me stesso.

La partita è un mix di accenti, dialetti e idiomi : un basco con la maglietta dell’Inghilterra impreca contro Ramos, “polentoni” del Nord elogiano Cassano, padre e figlia di Bilbao tifano solo per Llorente, un’inglese tifoso del Liverpool maledice Aquilani e quando quest’ultimo segna e chiude la partita con un 2-1 -a mio avviso meritato dall'Italia ( non è d’accordo il giorno dopo il giornale “Marca” )- facciamo appena in tempo a correre verso l’ostello, rischiando di rimanere chiusi fuori.

Sul cammino si è in Spagna ma alle 10, massimo 11 di sera tutti sotto le coperte e silenzio assoluto, la mattina si marcia.
Rimango d’accordo con Daniel, tifoso madridista e intenditore di calcio, di fermarci la Domenica in un paese che abbia almeno un bar che proietti la finale di andata del “Clasico” di Super Coppa di Spagna ( nel Camino capita anche di fermarsi in villaggio in cui la massima attrazione turistica sia un alimentari ).

Da lì a tre giorni ci perdiamo facilmente, bastano due minuti o quattro chilometri in più al giorno per non rivedersi mai più sulla strada che porta a Santiago.
In quel periodo inizio a viaggiare con una berbero marocchina cresciuta in Germania. Nascondo ai suoi occhi la voglia sfrenata di assistere alla partita, ma poi quando le confesso i miei peccati mi rivela che anche lei è una gran frequentatrice di stadi a causa del lavoro del suo compagno,che in patria si occupa del marketing promozionale del Borussia Dortmund; così come unica clausola per la prossima tappa decidiamo che essenziale sarà la presenza di un bar con annesso teleschermo.

Arrivati a Carrion de Los Condes decidiamo di fermarci e troviamo alloggio in un istituto di suore. Gli orari di chiusura sono molto rigidi: la porta verrà chiusa alle 10. El Clasico inizierà alle 10. Bisogna elaborare un piano. Nel frattempo la berbera dà forfait alla visione per la stanchezza accumulata nella lunga camminata sotto il sole delle "Mesatas” spagnole e io non tardo ad accodarmi ad un gruppetto di tre catalani giovanissimi , sul Camino dopo aver terminato il liceo e in procinto di iscriversi all’università.

Due ragazze e un ragazzo. Capisco subito come la pensano e sfodero in trenta secondi tutto il mio misero repertorio di catalano, facendogli intendere che stasera sarò il quarto "culè "( come sono chiamati i tifosi del Barça ).

Le suore si rivelano adepte della scuola di pensiero di “Suor Paola” e ci dicono che avremmo potuto vedere tranquillamente tutto il primo tempo al Bar España di fronte all’istituto per bere in tranquillità. Per il secondo tempo ci avrebbero lasciato a disposizione la loro sala tv. El clasico religioso.

Andiamo molto presto al bar e ci dobbiamo sorbire tutte le previsioni del tempo e un mega servizio sull’arrivo del Papa a Madrid per la giornata mondiale della gioventù. Partono subito gli insulti alle gerarchie ecclesiastiche e ai tifosi del Real considerati da noi tutti dei Papa Boys.  La ragazza più bella è la più agguerrita. Conosce la formazione a memoria, conserva un odio viscerale verso tutto quello che è Madrid, Mourinho lo vorrebbe alla forca e mi dice convinta per introdurmi al clima del match : “Giulio, oggi bisogna essere sicuri ma cauti, stiamo andando a vedere la partita in Spagna, a casa loro, al Bar España, dobbiamo vincere” ; intendendo per Spagna la Castilla y Leon , regione nella quale ci trovavamo. Siam catalani in terra straniera.

La tensione è ai massimi livelli e quando Ozil mette a segno il primo gol le urla di gioia dei madridisti ci lasciano ammutoliti nel nostro angolo indipendentista blaugrana. Ai tre poveri ragazzi sembrava avessero strappato il diploma, rubato la carta d’identità e ucciso le nonne. La ragazza esce a fumare due volte consecutive e ogni volta che rientra nel bar il Barça firma un gol, 1-2. Situazione capovolta. La tifosa superstiziosa riesce altre tre o quattro volte per fumare, sperando in una goleada, ma per sua sfortuna non siamo a Napoli, dove queste cose funzionano veramente. Non sono le sue sigarette ma due tossine chiamate Iniesta e Messi a  indebolire i polmoni difensivi del Real intossicandoli con le loro giocate fumose.

Il gol di Xabi Alonso è una ninna nanna agrodolce, siamo nella stanza delle suore oramai e i catalani si limitano alle imprecazioni esclusivamente contro esseri naturali, lasciando le divinità al di fuori delle maledizioni . Vengono prese di mira le acconciature dei giocatori del Real e lo stile di Mourinho, anni luce distante dalla classe del Pep.

Il giorno dopo loro prendono l’auto e tagliano quasi cento chilometri di cammino per motivi di tempo. Se la ragazza ultrà mi avesse chiesto di seguirla al Camp Nou, tifare Barça, maledire a vita il Real, metter su una famiglia nell’entroterra catalano con i manifesti di Iniesta e Messi in cucina, in salone e nelle camerette dei futuri figli, avrei lasciato perdere il cammino e tutto il resto in Italia e l’avrei seguito senza batter ciglio. Per fortuna non è andata così.

Tre giorni dopo, causa lieve tendinite rallento un po’ e la gente che ero abituato a vedere mi passa avanti. Sei chilometri possono essere un’eternità. Mi fermo in un ostello decente e alle 10 sono già pronto a dormire. Fa un caldo pazzesco, il vichingo che dorme sotto di me nel letto a castello sta conquistando tutta la Scandinavia nel sonno a colpi di “russate” e il neozelandese che mi è accanto nei piani alti, che sembra il protagonista di “Stargate”,solo che ancora più goffo, è da un’ora che si gratta senza sosta per qualche strana infezioni che predilige le pelli dell’emisfero australe.

Alle 10 e 30 mi ricordo che è il giorno del ritorno della Supercoppa, mi alzo di fretta e scappo dall’albergue alla ricerca di un bar aperto. La partita fortunatamente iniziava alle undici di sera. Orari iberici.

Non sono l’unico pellegrino. Questa volta ci sono una ventina di camminatori rimasti in piedi per seguire le loro rispettive squadre. I madridisti sono in leggera maggioranza ma per questa occasione i tifosi blaugrana sono almeno una decina. Il match inizia ai tavoli del bar, birre offerte a giro, digestivi di cui non ricordo il nome e altre prelibatezze. Ci sono anche due italiani che stranamente  non hanno interessi per la partita. Preferiscono l’alcool, le ragazze, le messe in chiesa e le chiacchere. Si incontra veramente di tutto sul Camino. Un poeta, pellegrino contromano, li amava chiamare “Cattocomunisti”.

Alla mezzanotte sono già tutti ubriachi come il risultato altalenante. Un catalano di 40 anni in quindici minuti ha fumato più spinelli di quanti chilometri avesse camminato dall’inizio del Camino. Il risultato finale è di 3-2 per il Barça. Disperazione per i madridisti. Cervezas offerta dai vincitori . Premio miglior fumatore in campo va al catalano. Premio “Ubriaco d’oro” ad un ragazzo di Madrid, che il giorno dopo, causa “resaca alcolica” è costretto a prendere l’autobus.

Alle 2 e mezza siamo ancora fuori a fare baccano, si affacciano i poveri pellegrini della pensione di sopra, la padrona del bar ci invita ad andare a dormire. Solo in quel momento, non so come, scopriamo che uno dei più accaniti tifosi del Madrid era l’hospitalero dell’albergue municipale, che avrebbe dovuto chiudere le porte alle 10 in punto . Scatta l’ovazione generale e partono cori da stadio su "Can't take my eyes off you" in versione “Hospitalero…lalalalala…”.

Ultima giro di birra alla sua salute e poi al letto, almeno io, i catalani hanno continuato un’altra ora a far baldoria.

Il giorno dopo, con le facce tra il bianco e il blaugrana per aver dormito male ci salutiamo tutti, chi camminerà 50,chi 35, chi molto meno . Ognuno il suo cammino.
Intanto il calcio si fa da parte per un po’ finché in un bar leggendo “Marca” apprendo che la Liga spagnola entra in sciopero. Un saggio signore di Burgos, di professione critico, nel senso che non gli va bene niente, mi dice stizzito che la Spagna è vicina al tracollo, la disoccupazione tocca record storici, la classe politica è incapace, Madrid è occupata dal Papa e la situazione è veramente delle peggiori ma in pochi alzano la voce. Mentre se si ferma la Liga spagnola succede un disastro. Non togliere lo sport ai spagnoli. Tutto va a rotoli, ma il Barça ha vinto e son tutti contenti. Mi dice poi che gli spagnoli si interessano di sport, ma solo quando Nadal, la nazionale di calcio o Jorge Lorenzo vincono; quando perdono non se li fila nessuno.

Per dispiacere del mio anziano compagno la Liga riapre i battenti e le protagoniste del Clasico iniziano con due spettacolari 6 a 0 e 5 a 0. Un altro pianeta. Preludio di una lunga sfida anche quest’anno.
Il mio Camino sta per terminare e io vicino alla meta mi sento un fuoriclasse.

Arrivare a Santiago è stato come vincere il mio personale Pallone d’Oro. Sarò come Messi penserete. No. Messi ne ha vinti due di seguito (al momento di scrivere, oggi sono diventati tre, ndr). Nei miei progetti futuri non ho quello di rifare il Camino a breve. Chi mi conosce sa che sono come Ronaldo (il Fenomeno, non solo per i capelli ) , che ne ha vinti sì due, ma a distanza di cinque anni . Così nel aspettando di tornare sul Camino e di rivincere il mio secondo Pallone d’oro mi consolerò con tutti gli altri “Classici” che ci saranno di qui a cinque anni. 

Buen camino
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Ciava