lunedì 25 giugno 2012

God save the azzurri.


Meglio la Francia. No con i galli è sempre una dura battaglia e siamo finiti spesso allo spiedo. Meglio l’Ucraina sicuro. Sarebbe troppo semplice e a noi le cose semplice piace complicarle. Che vengano i servi della Corona allora. L’Italia si esalta in queste situazioni e gli azzurri potrebbero riproporre la cattiveria e l’agonismo proposto contro la Spagna e gli inglesi, anche se sudditi come gli spagnoli, non hanno gli stessi sfarzi di corte delle furie rosse.

Dopo aver passato gli ultimi giorni a convincerci che fosse meglio l’Inghilterra, a rievocare precedenti nascosti nel dimenticatoio, a cercare punti di attrito con una nazione che non è la Francia (e di conseguenza siamo stati costretti a limitare il nostro odio alla guida a sinistra e al tempo di merda), ci ritroviamo di colpo nello scenario dei quarti.

La partita si gioca di Domenica. Giorno del Signore. Le due nazionali cercano già dagli inni di guadagnare le simpatie del padrone dei cieli e dei gol fantasma. Iddio la creò, la partita è nostra. Dio salvi la regina cantano i leoni. Ma in cuor loro sperano che inali forza spirituale nel fischietto dell’arbitro per decretare un rigore inesistente o che salvi la pelle monarchica dalla fame di vittoria repubblicana. Il problema è insito nelle parole. Dio è impegnato nella salvezza della regina, ormai mummia, e sembra essersi dimenticato delle sorti calcistiche inglesi dal lontano 1966. Urge un'altra riforma protestante. Un catenaccio protestante.

Ma non bisogna riporre troppo le speranze nell’Altissimo, perché è risaputo essere, di sovente, impegnato in interminabili partite a scacchi e badminton contro divinità orientali.

Inoltre, le bestemmie degli azzurri in campo e le nostre in dolby surround dai divani di casa neutralizzano le parole dell’inno e  gli infiniti segni della croce di Abbate (la doppia b è romana) e di De Rossi, dei quali si dice abbiano problemi a centrare il buco della tazza del cesso, perché impegnati in gesti sacri nel pieno dell’azione di disimpegno della prostata.

Zero a zero sul campo spirituale. Un pareggio che si protrae per tutta la durata del match. Anche se dall’alto dei cieli avranno chiuso il solo occhio e avranno fatto finta di niente perché tra pali, gol in fuorigioco, dominio neocolonialista italiano della metà campo inglese, palle sbucciate e occasioni mancate le nostre bestemmie hanno raggiunto livelli danteschi inconcepibili alle autorità eterne. Viva Dante e Fuck Shakespeare.

Ha inizio la partita.

Al quarto De Rossi fa una cosa alla De Rossi. Con la sua coordinazione da giovine di Ostia Mare, col braccetto sollevato alla De Rossi, che oramai è trend dell’estate da sette anni a questa parte, riceve un cross dalla destra e, in un gesto che nei due emisferi terrestri è appannaggio di pochi, stampa un pallone che sembrava innocuo sul palo destro della porta difesa dal bambinone Hart. Chi ha fatto palo?

Un’ode alla classe e un regalo per i laziali come me. Come avrei potuto continuare nella mia fede di aquilotto se il De Rossi giallorosso avesse insaccato il pallone alle spalle del suddito numero uno inglese? Forse è vero che siedo dalla parte delle forze del male? Ma De Rossi, in cuor suo, sapeva che quel gol avrebbe fatto ricredere molti laziale della loro fede e l’anno successivo non si sarebbe potuto godere il derby come piace a lui. Con la stessa grinta di sempre. Grazie Danielì.

Dopo l’illusione del dominio della lingua del sì ai danni della lingua di Oxford, veniamo tutti ancorati nuovamente alle catene dei nostri divani quando Johnson calcia il pallone con una zampata da corridore, degna del cognome che porta, in faccia a Buffon.

L’Italia dopo 10 minuti di sofferenza diventa padrona del campo. Balotelli è la nostra fortuna e la nostra condanna. Protagonista di una buona prestazione ma mai decisivo sotto porta. Le tante occasioni passate tra i suoi piedi costringono Prandelli a lasciarlo in campo sacrificando Di Natale in panchina. La Germania, nostra prossima avversaria, non ci permetterà  un simile lusso.

Il secondo tempo l’Italia è ancora più padrona del campo. I cronisti Rai, nell’esaltazione della loro nullità, dichiarano che l’Italia avrebbe meritato un 3-1 al primo tempo. Calcio surrealista di una Tv pubblica ampiamente inadeguata a seguire un evento sportivo di tale portata.

Pirlo alterna qualche errore di distrazione a un’impostazione aulica del gioco azzurro. Gli inglesi spesso sono in undici dietro la linea della palla. Capello era considerato un despota, preso di mira per la sua pronuncia e per il suo gioco. Trapattoni è accusato a ogni latitudine di cattivo gioco e di una non impeccabile padronanza delle lingue straniere. Hodgson, dai noi italiani esterofili, è sempre stato considerato un signore. Oggi si rivela per quello che realmente è. Un inglesotto di mezza età che parla goffamente l’italiano e che schiera un catenaccio da seconda guerra mondiale, con una squadra priva di gioco e entusiasmo. Ma nessuno domani lo accuserà di scelte sbagliate o si farà gioco del suo italiano in conferenza stampa.

Giocare all’italiana, dichiarava, non so cosa significhi. Ovvio, perché il gioco dell’Inghilterra non è stato all’italiana bensì alla vaticana. Tutti arroccati dietro Porta Pia a difendere la Porta di Hart.

Le scelte di Prandelli nel secondo tempo sono quasi obbligate. Dentro Diamanti per Cassano, fuori Abbate e De Rossi per problemi muscolari (forse le famose prostate, ndr) sostituiti da Nocerigno e Maggio u timido ( cit. Edoardo Di Stefano e Valerio Zilli). Il primo così soprannominato perché crea il panico nella difesa avversaria e dona a tutti l’illusione del gol-goduria a qualche minuto dal termine. Il secondo perché appena entrato e con forze fresche ma timido nell’inserirsi a destra. Fa rimpiangere a qualche mio co-spettatore i vecchi tempi: “Metti Zambrotta!”.

Nel complesso un’Italia superiore. Difesa impeccabile che non si fa trascinare nel gioco sporco cercato da Carroll nella seconda metà della ripresa, che intruppa, spinge, casca, protesta, inciampa, goffa e rotola. Bene Montolivo e Diamanti. De Rossi e Pirlo due certezze. Gran partita di Thiago Motta, anche se si è visto poco ha fatto un importante lavoro oscuro.

Un’ Inghilterra sotto le aspettative riesce ad essere l’eccezione anche ad un teorema fondamentale del calcio: il teorema della spina dorsale. Elaborato in uno spogliatoio senza acqua calda in una traversa della Tiburtina il teorema enuncia: “quando si ha un buon portiere, un buon difensore centrale, un buon mediano e una buona punta gli altri sette possono essere anche delle costole rotte”. Non è così in effetti per la spina dorsale inglese: Hart, Terry, Gerrard e Rooney.
Soprattutto il centrocampista, ammirato da De Rossi, non è più il calciatore elogiato nelle liriche dei tifosi Red Devils sulle note di Que serà serà: “ Steve Gerrard Gerrard, he’ll pass the ball forty yard, he’s big he’s fucking hard, Steve Gerrard Gerrard.” Una spina dorsale che accusa la pesantezza tattica del catenaccio monarchico.

Ma la supremazia italiana rimane  in astratto, non è spietata come la diplomazia inglese. Al calcio vince chi segna e le belle prestazioni vengono dimenticate tra la sera e qualche articolo d’elogio il giorno successivo. Calci di rigore. Penalties, che in inglese suona come una penalità per l’Italia, incapace di chiudere la partita nei 120 minuti di dominio assoluto. Penalità e sofferenza. La squadra che ha giocato il calcio peggiore potrebbe passare il turno. Se perdiamo brucio tutti i dischi dei Beatles di mio padre. Se incontro qualche mio amico acconciato come gli Oasis gli faccio lo scalpo inneggiando a Braveheart. Siete inglesi. Il mio rispetto va a Giggs, gallese fiero, che si è rifiutato di vestire la vostra maglia, anche se ne aveva il diritto. Un grande campione che non ha voluto vivere lo scempio di questa nazionale. Al diavolo la Common Law inglese. Chiaccheroni. Abbandonate il campo, come osate passare il turno?

Shakespeare vi avrebbe abbandonato al vostro destino.

Ovviamente queste divagazioni storico-politiche nel momento del triplice fischio, che decreta i calci di rigore, sono sostituite da bestemmie in varie salse e in mille dialetti diversi provenienti da tutto lo stivale. Dio speriamo parli ancora aramaico e nella remota ipotesi che, nel corso dei secoli dei secoli, tu abbia appreso la lingua del colonialista e dell’Ipad ascoltaci: God save the azzurri.

Balotelli da eterna condanna passa al ruolo di momentanea salvezza. Calcia il primo rigore. Hart cerca la sfida sul piano astratto dei ghigni. Forse non conosce bene il suo compagno del City. Spietato, con freddezza insacca. Un Balotelli che sempre è un interrogativo per i compagni e per i tifosi tutti, infonde, per una volta, sicurezza al collettivo.  Gerrard si ricorda degli elogi di De Rossi e non sbaglia. 1-1. Montolivo lo sapevamo. In ogni casa abbiamo pensato, detto, gridato : “No Montolivo No.” E infatti Montolivo non segna. Ma ci facciamo coraggio, rievocando il teorema del rigore, inventato in uno spogliatoio con le docce rotte in via Casilina, secondo il quale: "Chi sbaglia per primo vince".

Quando Rooney sistema la zolla del dischetto malediciamo qualsiasi cosa strisci, voli o cammini aldilà della Manica, dalla zolla dei capelli dello stesso Rooney a tutti i datori di lavoro londinesi dei nostri amici emigrati. Buffon entra in trance. Sperimenta il metodo Mapuchi di ipnotizzazione contro il talento inglese, indica il lato dove si sarebbe buttato con la manica ed il guantone. Il lato della Manica è l’altro. Spiazzato. Ma si sa che questo metodo raccoglie i suoi frutti a posteriori. 1-2 per i monarchici. 

Pirlo si presenta sul dischetto con l’aria di uno appena svegliatosi dal sonnellino pomeridiano. Un’aria alla Pirlo. Il cucchiaio di Totti fu un elogio alla romanità. Il Francescone nazionale si sedette a tavola con Van Der Sar, prese il cucchiaio pieno di brodo, tirò su rumoreggiando come si fa a tavola tra amici, e non sazio passò la scarpetta sul fondo del piatto delizioso. Il gesto di Pirlo è la classe di chi mangia degli spaghetti aglio olio e peperoncino con il cucchiaio. Solo alcuni se lo possono permettere. Pirlo è uno di questi. Classe innata, naturalezza dell’olio e imprevedibilità del peperoncino. Tutto contornato da un basso profilo. Pirlo non è il tipo che seduto a tavola si lamenta del troppo piccante. Nel silenzio sacrale dei pasti prende il cucchiaio e scava la fossa per il portiere avversario incredulo, a cui rimangono in viso lacrime al gusto di aglio. L'assurdo. Gli avanzi. 2-2.

Buffon al rigore successivo perfeziona il metodo Mapuchi precedentemente utilizzato. Young frastornato. Palla sulla traversa, come Trezeguet nel mondiale 2006. 2-2.  Il prossimo sul dischetto è Nocerigno. Un goffo Romario che tira una scarpata precisa all’angolo opposto di Hart Cuor di Leone, trasformato in gazzella  dall’urlo del centrocampista italiano. 3-2. Buffon decide di accantonare il metodo Mapuchi, ormai a rischio scoperta da parte del MI6 inglese e opta per il metodo “Gato Lopez”, che come il precedente metodo fu descritto dal cantastorie Soriano nei suoi articoli riguardanti la nobile arte del calcio. Il metodo Gato Lopez consiste semplicemente nel parare rigori ed a Gigi, stavolta, gli riesce benissimo. Rigore parato a Ashley Cole.3-2. La vittoria è nei nostri piedi.

Dai Diamanti non nasce niente. Ma stavolta dai piedi di Diamanti nascono le semifinali. 4-2. La Repubblica batte la Monarchia ai calci di rigore. Alla ghigliottina. Se il Calcio governasse il mondo e le guerre imperialiste si facessero a suon di contropiedi e calci di rigore invece che con bombe e massacri, la lingua di Dante avrebbe il posto che si merita nel globo pallonaro.

God saved the azzurri. Tutto prevedibile. Uno scherzetto giocato dall’alto dei cieli al Papa. Semifinale Germania-Italia. Dovrà soffrire anche lui una volta nella vita ,non solo noi sudditi, repubblicani o relativisti.

Scacciata la paura del biscotto. Divorato il pudding inglese. Ci ritroviamo in semifinale avendo vinto una sola partita sul campo e avendo segnato un solo gol su azione. Ci aspettano i crucchi. I crauti. La Merkel. Il rigore europeista contro i rigori dagli undici metri. Ci vorrebbe una dose di Tiramisù per avere la meglio contro i teutoni. Classe da cucchiaio e fame da dessert sotto porta. Il menù servito all’Inghilterra è giusto, mancano caffè e ammazzacaffè per neutralizzare la vendetta nordica. Il sangue tedesco versato nel 2006 è conservato in ampolle nascoste nella Foresta Nera e sarà bevuto dagli uomini di Loew prima della semifinale di Giovedì. Ci vogliono 11 Grosso in campo.

La gioia esplode. Con quel che costa la benzina la gente ha anche il coraggio di fare caroselli nelle città italiane. Forse l’offerta dell’Eni che nel weekend propone la benzina a 20 centesimi di meno è una trovata legata agli strombazzamenti con bandiere tricolori. Ma i prezzi di Luglio 2006, quando gli azzurri divennero campioni del mondo, erano ancora più bassi di quelli scontati proposti oggi. Alle pompe di benzina c’è la fila, ringraziamo Eni per il regalo, dimenticandoci dei prezzi precedenti e delle politiche lobbistiche della compagnia, che come le altre ha reso improponibile le spese per gli spostamenti.
Così il Calcio sommerso da scandali, dubbi, dichiarazioni ambigue, spese folli e ingaggi stratosferici che sono un insulto per il lavoratore medio, sfruttato, giovane e precario, per un giorno diventa orgoglio nazionale sportivo.

Se solo avessimo la possibilità, noi poveri tifosi studenti senza futuro, di umiliare tutti gli Hart ghignanti che incontriamo sul nostro cammino. Se avessimo la possibilità di calciare un rigore, di dimostrare la nostra classe. Se solo avessimo la possibilità di affondare la crisi e zittire il nostro datore di lavoro con un cucchiaio...

Ma quando il pallone di Diamanti gonfia la rete ci dimentichiamo di tutto:  dei problemi, degli esami, delle ragazze e delle mogli, degli scandali, del costo della vita e degli ingaggi assurdi dei nostri idoli. Torniamo a fare la fila davanti al televisore alla ricerca di un po’ di adrenalina a prezzo scontato.

God save the azzurri. Ma qualcun altro, meno impegnato, salvi pure noi.

giovedì 21 giugno 2012

Ieri : un altro mondo, un altro calcio. Oggi : Repubblica Ceca - Portogallo.


Mi ricordo da giovane agli Europei del 68, gli unici vinti dagli azzurri, quando il calcio era altra cosa e il mondo era un altro mondo, ma non bastava che fosse diverso da ora, si voleva cambiarlo radicalmente e sono sicuro che se avessero saputo che ci sarebbe toccata la drastica realtà attuale, i giovani sessantottini non avrebbero alzato un dito, preferendo un vile mondo borghese al capitalismo moderno di oggi.

Si ma che te ricordi? Non stavi a parlà dell’Europei? Sempre co ste storie de politica.
.
A regazzì io er monno l’ho vissuto sulla mia pelle, non annà de prescia che arivo ar dunque.

Mi ricordo, dicevo, da giovane agli Europei del 68, gli unici vinti dagli azzurri, quando il calcio era altra cosa, che a quei tempi non avevamo bisogna di tecnologia, il calcio era semplicemente poesia. Due anni prima durante la coppa del Mondo che si chiamava ancora coppa Jules Rimet, l’Inghilterra si aggiudicò il suo unico titolo mondiale grazie a un gol fantasma. A quei tempi non giravano tutti questi soldi e un gol annullato o convalidato non spostava miliardi ma forse qualche quintale di gioia e muoveva qualche piccolo numero negli albi d’oro. Assistenti di linea e ausiliari del traffico ancora non esistevano.

Ma de che stamo a parlà der 66 o der 68 famme capì?

Ao il calcio è ncontinuo fluire, nt’agità mo arivo ar punto.

Insomma la tecnologia non esisteva, le regole di allora erano inconcepibili per i ritmi calcistici moderni.
Nel 68 passammo la semifinale contro l’Urss, la grande madre dell’est, grazie al lancio della monetina, dopo i tempi supplementari finiti in pareggio. I rigori non esistevano e sono stati inventati da un agente della Cia, qualche anno più tardi, in accordo con una lobby cestistica di Boston.

Un calcio che non esiste più. Hai capito? E non credere che sia finita qui.

In finale incontrammo la Jugoslavia. Nazioni che non esistono più, altri mondi, un altro calcio, il buco dell’ozono era il contrario del catenaccio, i palloni erano di ghisa, altro che Cristiano Ronaldo e il suo gel.
Lo stadio Olimpico era stracolmo. Pareggiamo zero a zero e sai che succedeva nel 68 se pareggiavi in finale? Dovevi rigiocare la partita. Un’ altra volta. Un altro calcio regazzì. Niente Di Biagio, niente Baggio, niente Ramos, niente Toldo e De Boer. Decideva la monetina, che io dico l’euro e i mercati finanziari sono padroni delle nostre vite e una monetina non può decidere l’esito di una partita?

Altrimenti se era una finale si rigiocava, altro che rigori. Come fanno ancora oggi in quella coppa inglese che non mi ricordo mai quale è, che so troppe le coppe in Inghilterra e a noi c’è rimasta solo la pubblicità della Tim per quella mezza competizione che chiamiamo Coppa Italia.

Siamo andati all’Olimpico. Siamo tornati a casa e due giorni dopo ci siamo ripresentati all’Olimpico per la ripetizione della finale. Adrenalina era una parola che ancora non avevano inventato. Deja vù, stress, marketing, show business non facevano parte del nostro vocabolario calcistico.

Hai capito sì? Che volemo fa voi che te parlo della Grande Olanda? Del Calcio Totale? Della Danimarca del 92 ripescata dopo l’esclusione della Jugoslavia?

Mo che c’avete voi regazzì? E pubblicità daa Nike, tiettele strette.

Prima de tutto ogni giorno a stesso storia. Secondo me stavo a pia ncaffè tranquillo ar bar non t’ho chiesto niente io, hai fatto tutto da solo e se proprio lo voi sape noi gioventù calcistica tecnologica di oggi abbiamo Repubblica Ceca-Portogallo.

Ma che stai a dì?

Devi sapere che per la nostra generazione questa partita è un cult. Ha un gusto vintage tecnologico. Ti spiego.
Per me il massimo dell’elogio di un calcio perduto sono i mondiali del 94, i primi di cui abbia ricordo. Romario, Bebeto, Baggio, Lalas, Ococha, Taffarel che si legge Taffareu. Siamo giovani e la memoria è giovane. Siamo stati costretti a crearci dei miti fittizi e tecnologici.

Repubblica Ceca-Portogallo è uno di questi.

Nelle estenuanti sessioni calcistiche digitali abbiamo sognato tornei, campioni, mondiali ed europei.
Eliminando Brasile, Argentina, Italia, Spagna e le corazzate dei club, Repubblica Ceca-Portogallo era un classico delle partite di Pes di livello medio-simpatico.

Hanno giocato un migliaio di finali tra amici. Nedved, Luis Figo, Joa Pinto, Nuño Gomez, Jan Koller e le sue sponde, Rui Costa e Karel Pobolski te sei portato i caschi.

Non servivano accordi, biscotti o combine. Se un tuo avversario sceglieva la Repubblica Ceca te sceglievi automaticamente il Portogallo.Il rosso accesso contro il verde. La speranza e il sangue versato in campo.
Oggi per noi giovani drogati di cerchio-triangolo-iccse-quadrato sarà come una finale casalinga e se non ci fosse stato l’odiato Cristiano Ronaldo nelle file dei lusitani avremmo tirato una monetina per scegliere chi tifare.

All’Europeo del 2004 sognavamo tutti una finale tra queste due grandi squadre, ma la Repubblica Ceca fu eliminata in semifinale dalla Grecia, vincitrice a sorpresa di quella manifestazione. Hai capito sì vecchiè? La Grecia. Mica solo voi avete avuto la poesia, la Danimarca, l’Urss, il Nottingham Forest e il Grande Toro. Noi abbiamo la Grecia, il Porto, l’Alaves, il Valencia eterno perdente e la Repubblica Ceca.

A regazzì vedi d’annattene va. Che quanno er calcio aveva er diritto de chiamasse tale sta squadraccia che dici te manco esisteva. Se chiamava Cecoslovacchia. Hai capito si? No come quelle pippe della Slovacchia che vi hanno passato la sveja a voi nuove generazioni nei mondiali del 2010. N’artro calcio, n’artro mondo.Cecoslavacchia, Jugoslavia, Urss.

Se i sessantottini per le strade ed i capitani di Urss e Italia nello spogliatoio avessero saputo che questo mondo e questo sport sarebbero finiti così, i primi sarebbero rimasti a casa, caldi in poltrona, ed i secondi avrebbero conservato quella monetina per tirargliela in fronte a Cristiano Ronaldo.
Goditi sto Repubblica Ceca-Portogallo che io me conservo i miei de ricordi.

N’altro mondo, n’altro calcio.

martedì 19 giugno 2012

El biscotto


Jesus Navas ha avuto la meglio su Mulino Bianco. Grazie alla nota fabbrica spagnola di “Dolcezze e fantasie futbolistiche” questa mattina il popolo calcistico italiano ha fatto colazione come di consueto: cappuccino, cornetto e giornale sportivo. Il biscotto è indigesto al nostro stomaco di complottisti prevenuti.
La nostra grande tradizione artigianale ci permette di criticare qualsivoglia nazione che provi a eguagliare le gesta tricolori. Il biscotto è pratica italiana, nella lingua e nel concetto. Gli altri hanno diritto solamente alle briciole.

Nei giorni precedenti alla partita Italia – Irlanda mi trovo in Catalogna. Il posto non è dei migliori per captare gli animi spagnoli ma nei quotidiani sportivi catalani e iberici non vi è quasi traccia della “galleta” ( biscotto).

Dopo il pareggio con la Croazia si evidenzia il fatto che gli azzurri siano in una situazione complicata e saranno obbligati a vincere contro l’Irlanda. Le ipotesi di passaggio, calcoli, regolamenti e virgole occupano piccoli riquadri esplicativi sotto le immagini della partita. Noi in anni di scarsa competitività siamo diventati esperti di classifiche avulsa, calcoli Fifa, lancio della monetina e teoremi di Pitagora. 

Il dibattito aldilà dei Pirenei ruota attorno al “nueve” e “falso nueve” ( Torres, Fabregas e modulo tattico) condito da molte critiche all’atteggiamento e  alle scelte di Del Bosque. Gli spagnoli essendo mediterranei, campioni d’Europa e del Mondo, hanno la stessa sindrome italica da bar. I tecnici da bancone superano in gran numero le alte cifre di disoccupati spagnoli. Anche se la percezione del calcio è differente.

Il risultato è, per loro, solo parte di una grande scuola filosofica calcistica. Per noi italiani un pareggio sofferto può essere motivo di gioie e critiche ( partite contro Spagna e Croazia) e una cattiva prestazione salvata da due gol su calcio d’angolo è motivo di grande entusiasmo e titoli d’elogio a caratteri cubitali. Per gli spagnoli al contrario la vittoria è un risultato sistematico che si raggiunge solo con la perfezione del gioco e l’analisi dettagliata della partita al fine di migliorare la prestazione successiva. Si parla di calcio giocato.

Quando la notizia del biscotto guadagna una minima visibilità in Spagna, il sentimento generale è lo stupore.
Le teorie complottiste si rivoltano contro noi stessi. Il refrain generale è : "Noi non siamo come voi".
La situazione irreale che si viene a creare è una sconfitta morale per il calcio italiano. Si dubita di altri professionisti, dimenticandosi che la partita con l’Irlanda si dovrà pur vincere, e si viene beffardamente smascherati.

“Noi non siamo come voi”. Nessun giocatore italiano ha provato vergogna.

Cosa avrebbe impedito agli spagnoli o ai croati di parlare di combine al contrario?

L’Irlanda era già fuori dal girone, la storia e il passaporto di Trapattoni parlano da sé. Se si analizza la partita si vedrà come i due gol sono nati da calcio d’angolo, di cui il primo regalato da una goffa parata dell’irlandese Given. Nell’ Italia dei moralisti si sarebbe gridato al “biscotto”, ma né Spagna né Croazia hanno minimamente dubitato della buona fede dei loro avversari.

La mentalità che plasma i nostri è riconoscibile nelle parole di Buffon nel dopo partita : “ Io tra 2 o 4 anni non sarò più qui, ma voi giornalisti dovrete ricordarvi della professionalità spagnola nel vincere senza calcoli contro la Croazia, siamo debitori di un bonus nei loro confronti”. Vale a dire: un favore in cambio di un favore. Un biscotto per un biscotto. Due feriti sono meglio di un morto. La nostra serietà è barattabile con la serietà altrui.
Un elogio della buona fede che smaschera la cattiva fede.

Ma queste affermazioni e analisi passano in secondo piano perché l’Italia ha vinto, sui giornali si sprecano gli elogi, Bonucci ha zittito Balotelli, abbiamo ritrovato la nostra nazionale e non importa se da qui a due anni ci ritroveremo nuovamente a fare calcoli per passare un girone mediocre come ad Euro 2004 e al Mondiale 2010 e se anche il nostro codice etico è una copia delle leggi orwelliane della Fattoria degli Animali potremo nuovamente allestire lezioni di morale e di bon ton per stanieri sui giornali e telegiornali nostrani.

Godiamoci il nostro cornetto e cappuccino quindi, perché se non cambiamo mentalità e atteggiamento il 1 Luglio  mentre altre nazionali si staranno giocando la dolcissima torta della finale di Kiev noi saremo costretti a mangiarci un biscotto che ci siamo serviti da soli senza neanche accorgercene.

martedì 5 giugno 2012

For de porta.


Questa sera andiamo a mangiare a Genazzano. “Scusate ma Genazzano dove cazzo sta?”. Il festeggiato decide per una gita fuori porta, che per noi che siamo dei Castelli Romani e quindi idealmente già “ for de porta”, sarebbe più che altro una gita fuori dal cortile.

Non ci facciamo demotivare dalla domanda geografica di un nostro amico, ormai abituato a bazzicare solo Roma centro, perché da poco trasferitosi dentro “la porta”.

Siamo cinque maschi che vivono una seconda giovinezza ormonale. Va da sé che i discorsi vertano principalmente su ragazze e calcio. Con ampie ellissi tecnico-tattiche parliamo del passo felpato di una stangona mora o del doppio passo di Cristiano Ronaldo, della solidità della nazionale tedesca e della solidità fisica delle giovani di Berlino.

Prima di accomodarci al ristorante prescelto, di cui si dice specialità della casa siano gli spaghetti a “Coa de sorica” ( poi uno mica lo fa apposta a parlare sempre di calcio e ragazze), decidiamo di scaldarci con un aperitivo.

Sullo schermo trasmettono Russia – Italia, amichevole di preparazione agli Europei che si giocheranno a breve in Polonia e Ucraina, valida per le battute tra amici sulla questione del calcioscommesse.

Visto che, come accennato in precedenza, una palla che rotola è sempre una buona scusa per sentirsi esperti del momento, un bambino di sei anni, in piena maturazione di una sua personale coscienza calcistica si sente attratto dalla nostra presenza di finti filosofi e esordisce : “Perché tifate Russia?” “No guarda, noi non tifiamo Russia, solo che il mio amico, è un amante del bel gioco. Si sente, come tutti i maschi in età adulta, un tecnico da bar e suggeriva all’attaccante russo dal nome impronunciabile di tirare invece che allargare sulla fascia”. “Ma come amante del bel calcio? Io non tiferei mai contro la mia squadra. Ma perché hanno arrestato i giocatori? Ma arrestano anche Buffon?”.

Io credevo fosse difficile parlare con i bambini di sesso, guerre e morti, non credevo sinceramente lo fosse per il calcio. Ma fin qui mi sbagliavo.

Dobbiamo pesare bene le parole per non rovinare le grandi aspettative che un ragazzo di sei anni conserva romanticamente nei confronti di questo sport.

Smarcando con un doppio passo alla Edmundo il giovane che ormai ci marcava a uomo , veniamo incastrati dal padrone del bar che ci svela come lui sia un tifoso della Roma ma simpatizzante del Milan. “ So obbligato perché ce sta un regazzino del paese che gioca col Milan baby e quindi quando diventa famoso lo faccio sposa co mi fija e me paga er mutuo della casa”. Ormai se sono queste le emozioni che ci può regalare questo sport meglio interessarsi subito al salto in alto e al tiro del giavellotto.

Salutiamo e promettiamo di tornare dopo cena per un amaro.

A tavola come antipasto si parla della solidità tedesca e di come Neuer assomigli all’attore di Spider Man. Poi per il resto delle portate si parla di ragazze e di cibi locali.Il calcio ci viene servito solo di ritorno al bar. Mentre stiamo sorseggiando un buon amaro sentiamo degli strombazzamenti di clacson accompagnati da forti urla; il rumore proveniente dal fondo della vallata si sta avvicinando a noi.

La mezzanotte è passata da qualche minuto e non capiamo a cosa sia dovuto questo baccano: una festa cittadina, un matrimonio, un addio al celibato o semplicemente qualche ubriacone risorto nella vallata.



Il padrone del bar, tifoso della Roma, simpatizzante per il Milan a causa delle leggi del mercato, ci dice: “Nce fate caso, questi so li juventini!”.

“I juventini?” chiediamo. L’aveva detto come se fossero una specie animale in via d’estinzione, che in quel giorno e a quell’ora della notte si rimpadronivano delle strade per dimostrare che esistevano ancora. “Si li juventini, stanno a festeggià lo scudetto!”.

Non crediamo al tifoso impostore fino a che non vediamo sfilare sotto i nostri occhi una decina di macchine sonanti con bandieroni della Juve, accompagnate dai canti dei passeggeri “I campioni dell’Italia siamo noi”. Forse passata la mezzanotte e essendo tecnicamente già 2 Giugno la combriccola di juventini-genazzanesi faceva la propria “sobria parata”, o forse quei tifosi festeggiavano il fatto che Buffon non avesse preso reti nell’amichevole contro la Russia e i 3 gol erano stati segnati tutti ai danni di De Santis e questo li rendeva automaticamente campioni morali della Coppa Italia, grazie a un decreto emanato da pochi minuti dalla Figc.

Niente di tutto questo, i genazzanesi festeggiavano proprio la vittoria dello Scudetto, avvenuto il 6 maggio sul campo e festeggiato il 13 maggio a Torino.

In un calcio senza memoria, in cui i campioni di oggi sono costretti a scendere in campo il giorno successivo per la difesa di un altro trofeo, in cui non c’è attimo per i festeggiamenti che già bisogna salire su un aereo e scappare dal campo, in cui i detentori, appena vinta una competizione, già devono pensare a difenderla, i genazzanesi si riappropriano del loro tempo perduto e in barba al calcioscommesse, alle inutili notizie di calciomercato, alla sconfitta della Coppa Italia e all’amichevole di una deludente Italia festeggiano il loro personale scudetto, un mese dopo.

Per noi cittadini della metropoli, drogati di calcio moderno e di notizie inutili di calciomercato in momenti morti della stagione, se mai l’Italia dovesse vincere l’europeo, o una delle nostre squadre di club trionfare in qualsiasi competizione e vorremmo festeggiare a oltranza, senza osservare galatei Fifa, sappiamo già dove andare a fare caroselli. Un buon piatto di spaghetti alla “Coa de sorica”, due chiacchere con gli amici e una strombazzata per le vie di Genazzano. Anche se fosse due mesi dopo un’ importante vittoria. Il calcio in provincia si prende i suoi tempi.