lunedì 25 giugno 2012

God save the azzurri.


Meglio la Francia. No con i galli è sempre una dura battaglia e siamo finiti spesso allo spiedo. Meglio l’Ucraina sicuro. Sarebbe troppo semplice e a noi le cose semplice piace complicarle. Che vengano i servi della Corona allora. L’Italia si esalta in queste situazioni e gli azzurri potrebbero riproporre la cattiveria e l’agonismo proposto contro la Spagna e gli inglesi, anche se sudditi come gli spagnoli, non hanno gli stessi sfarzi di corte delle furie rosse.

Dopo aver passato gli ultimi giorni a convincerci che fosse meglio l’Inghilterra, a rievocare precedenti nascosti nel dimenticatoio, a cercare punti di attrito con una nazione che non è la Francia (e di conseguenza siamo stati costretti a limitare il nostro odio alla guida a sinistra e al tempo di merda), ci ritroviamo di colpo nello scenario dei quarti.

La partita si gioca di Domenica. Giorno del Signore. Le due nazionali cercano già dagli inni di guadagnare le simpatie del padrone dei cieli e dei gol fantasma. Iddio la creò, la partita è nostra. Dio salvi la regina cantano i leoni. Ma in cuor loro sperano che inali forza spirituale nel fischietto dell’arbitro per decretare un rigore inesistente o che salvi la pelle monarchica dalla fame di vittoria repubblicana. Il problema è insito nelle parole. Dio è impegnato nella salvezza della regina, ormai mummia, e sembra essersi dimenticato delle sorti calcistiche inglesi dal lontano 1966. Urge un'altra riforma protestante. Un catenaccio protestante.

Ma non bisogna riporre troppo le speranze nell’Altissimo, perché è risaputo essere, di sovente, impegnato in interminabili partite a scacchi e badminton contro divinità orientali.

Inoltre, le bestemmie degli azzurri in campo e le nostre in dolby surround dai divani di casa neutralizzano le parole dell’inno e  gli infiniti segni della croce di Abbate (la doppia b è romana) e di De Rossi, dei quali si dice abbiano problemi a centrare il buco della tazza del cesso, perché impegnati in gesti sacri nel pieno dell’azione di disimpegno della prostata.

Zero a zero sul campo spirituale. Un pareggio che si protrae per tutta la durata del match. Anche se dall’alto dei cieli avranno chiuso il solo occhio e avranno fatto finta di niente perché tra pali, gol in fuorigioco, dominio neocolonialista italiano della metà campo inglese, palle sbucciate e occasioni mancate le nostre bestemmie hanno raggiunto livelli danteschi inconcepibili alle autorità eterne. Viva Dante e Fuck Shakespeare.

Ha inizio la partita.

Al quarto De Rossi fa una cosa alla De Rossi. Con la sua coordinazione da giovine di Ostia Mare, col braccetto sollevato alla De Rossi, che oramai è trend dell’estate da sette anni a questa parte, riceve un cross dalla destra e, in un gesto che nei due emisferi terrestri è appannaggio di pochi, stampa un pallone che sembrava innocuo sul palo destro della porta difesa dal bambinone Hart. Chi ha fatto palo?

Un’ode alla classe e un regalo per i laziali come me. Come avrei potuto continuare nella mia fede di aquilotto se il De Rossi giallorosso avesse insaccato il pallone alle spalle del suddito numero uno inglese? Forse è vero che siedo dalla parte delle forze del male? Ma De Rossi, in cuor suo, sapeva che quel gol avrebbe fatto ricredere molti laziale della loro fede e l’anno successivo non si sarebbe potuto godere il derby come piace a lui. Con la stessa grinta di sempre. Grazie Danielì.

Dopo l’illusione del dominio della lingua del sì ai danni della lingua di Oxford, veniamo tutti ancorati nuovamente alle catene dei nostri divani quando Johnson calcia il pallone con una zampata da corridore, degna del cognome che porta, in faccia a Buffon.

L’Italia dopo 10 minuti di sofferenza diventa padrona del campo. Balotelli è la nostra fortuna e la nostra condanna. Protagonista di una buona prestazione ma mai decisivo sotto porta. Le tante occasioni passate tra i suoi piedi costringono Prandelli a lasciarlo in campo sacrificando Di Natale in panchina. La Germania, nostra prossima avversaria, non ci permetterà  un simile lusso.

Il secondo tempo l’Italia è ancora più padrona del campo. I cronisti Rai, nell’esaltazione della loro nullità, dichiarano che l’Italia avrebbe meritato un 3-1 al primo tempo. Calcio surrealista di una Tv pubblica ampiamente inadeguata a seguire un evento sportivo di tale portata.

Pirlo alterna qualche errore di distrazione a un’impostazione aulica del gioco azzurro. Gli inglesi spesso sono in undici dietro la linea della palla. Capello era considerato un despota, preso di mira per la sua pronuncia e per il suo gioco. Trapattoni è accusato a ogni latitudine di cattivo gioco e di una non impeccabile padronanza delle lingue straniere. Hodgson, dai noi italiani esterofili, è sempre stato considerato un signore. Oggi si rivela per quello che realmente è. Un inglesotto di mezza età che parla goffamente l’italiano e che schiera un catenaccio da seconda guerra mondiale, con una squadra priva di gioco e entusiasmo. Ma nessuno domani lo accuserà di scelte sbagliate o si farà gioco del suo italiano in conferenza stampa.

Giocare all’italiana, dichiarava, non so cosa significhi. Ovvio, perché il gioco dell’Inghilterra non è stato all’italiana bensì alla vaticana. Tutti arroccati dietro Porta Pia a difendere la Porta di Hart.

Le scelte di Prandelli nel secondo tempo sono quasi obbligate. Dentro Diamanti per Cassano, fuori Abbate e De Rossi per problemi muscolari (forse le famose prostate, ndr) sostituiti da Nocerigno e Maggio u timido ( cit. Edoardo Di Stefano e Valerio Zilli). Il primo così soprannominato perché crea il panico nella difesa avversaria e dona a tutti l’illusione del gol-goduria a qualche minuto dal termine. Il secondo perché appena entrato e con forze fresche ma timido nell’inserirsi a destra. Fa rimpiangere a qualche mio co-spettatore i vecchi tempi: “Metti Zambrotta!”.

Nel complesso un’Italia superiore. Difesa impeccabile che non si fa trascinare nel gioco sporco cercato da Carroll nella seconda metà della ripresa, che intruppa, spinge, casca, protesta, inciampa, goffa e rotola. Bene Montolivo e Diamanti. De Rossi e Pirlo due certezze. Gran partita di Thiago Motta, anche se si è visto poco ha fatto un importante lavoro oscuro.

Un’ Inghilterra sotto le aspettative riesce ad essere l’eccezione anche ad un teorema fondamentale del calcio: il teorema della spina dorsale. Elaborato in uno spogliatoio senza acqua calda in una traversa della Tiburtina il teorema enuncia: “quando si ha un buon portiere, un buon difensore centrale, un buon mediano e una buona punta gli altri sette possono essere anche delle costole rotte”. Non è così in effetti per la spina dorsale inglese: Hart, Terry, Gerrard e Rooney.
Soprattutto il centrocampista, ammirato da De Rossi, non è più il calciatore elogiato nelle liriche dei tifosi Red Devils sulle note di Que serà serà: “ Steve Gerrard Gerrard, he’ll pass the ball forty yard, he’s big he’s fucking hard, Steve Gerrard Gerrard.” Una spina dorsale che accusa la pesantezza tattica del catenaccio monarchico.

Ma la supremazia italiana rimane  in astratto, non è spietata come la diplomazia inglese. Al calcio vince chi segna e le belle prestazioni vengono dimenticate tra la sera e qualche articolo d’elogio il giorno successivo. Calci di rigore. Penalties, che in inglese suona come una penalità per l’Italia, incapace di chiudere la partita nei 120 minuti di dominio assoluto. Penalità e sofferenza. La squadra che ha giocato il calcio peggiore potrebbe passare il turno. Se perdiamo brucio tutti i dischi dei Beatles di mio padre. Se incontro qualche mio amico acconciato come gli Oasis gli faccio lo scalpo inneggiando a Braveheart. Siete inglesi. Il mio rispetto va a Giggs, gallese fiero, che si è rifiutato di vestire la vostra maglia, anche se ne aveva il diritto. Un grande campione che non ha voluto vivere lo scempio di questa nazionale. Al diavolo la Common Law inglese. Chiaccheroni. Abbandonate il campo, come osate passare il turno?

Shakespeare vi avrebbe abbandonato al vostro destino.

Ovviamente queste divagazioni storico-politiche nel momento del triplice fischio, che decreta i calci di rigore, sono sostituite da bestemmie in varie salse e in mille dialetti diversi provenienti da tutto lo stivale. Dio speriamo parli ancora aramaico e nella remota ipotesi che, nel corso dei secoli dei secoli, tu abbia appreso la lingua del colonialista e dell’Ipad ascoltaci: God save the azzurri.

Balotelli da eterna condanna passa al ruolo di momentanea salvezza. Calcia il primo rigore. Hart cerca la sfida sul piano astratto dei ghigni. Forse non conosce bene il suo compagno del City. Spietato, con freddezza insacca. Un Balotelli che sempre è un interrogativo per i compagni e per i tifosi tutti, infonde, per una volta, sicurezza al collettivo.  Gerrard si ricorda degli elogi di De Rossi e non sbaglia. 1-1. Montolivo lo sapevamo. In ogni casa abbiamo pensato, detto, gridato : “No Montolivo No.” E infatti Montolivo non segna. Ma ci facciamo coraggio, rievocando il teorema del rigore, inventato in uno spogliatoio con le docce rotte in via Casilina, secondo il quale: "Chi sbaglia per primo vince".

Quando Rooney sistema la zolla del dischetto malediciamo qualsiasi cosa strisci, voli o cammini aldilà della Manica, dalla zolla dei capelli dello stesso Rooney a tutti i datori di lavoro londinesi dei nostri amici emigrati. Buffon entra in trance. Sperimenta il metodo Mapuchi di ipnotizzazione contro il talento inglese, indica il lato dove si sarebbe buttato con la manica ed il guantone. Il lato della Manica è l’altro. Spiazzato. Ma si sa che questo metodo raccoglie i suoi frutti a posteriori. 1-2 per i monarchici. 

Pirlo si presenta sul dischetto con l’aria di uno appena svegliatosi dal sonnellino pomeridiano. Un’aria alla Pirlo. Il cucchiaio di Totti fu un elogio alla romanità. Il Francescone nazionale si sedette a tavola con Van Der Sar, prese il cucchiaio pieno di brodo, tirò su rumoreggiando come si fa a tavola tra amici, e non sazio passò la scarpetta sul fondo del piatto delizioso. Il gesto di Pirlo è la classe di chi mangia degli spaghetti aglio olio e peperoncino con il cucchiaio. Solo alcuni se lo possono permettere. Pirlo è uno di questi. Classe innata, naturalezza dell’olio e imprevedibilità del peperoncino. Tutto contornato da un basso profilo. Pirlo non è il tipo che seduto a tavola si lamenta del troppo piccante. Nel silenzio sacrale dei pasti prende il cucchiaio e scava la fossa per il portiere avversario incredulo, a cui rimangono in viso lacrime al gusto di aglio. L'assurdo. Gli avanzi. 2-2.

Buffon al rigore successivo perfeziona il metodo Mapuchi precedentemente utilizzato. Young frastornato. Palla sulla traversa, come Trezeguet nel mondiale 2006. 2-2.  Il prossimo sul dischetto è Nocerigno. Un goffo Romario che tira una scarpata precisa all’angolo opposto di Hart Cuor di Leone, trasformato in gazzella  dall’urlo del centrocampista italiano. 3-2. Buffon decide di accantonare il metodo Mapuchi, ormai a rischio scoperta da parte del MI6 inglese e opta per il metodo “Gato Lopez”, che come il precedente metodo fu descritto dal cantastorie Soriano nei suoi articoli riguardanti la nobile arte del calcio. Il metodo Gato Lopez consiste semplicemente nel parare rigori ed a Gigi, stavolta, gli riesce benissimo. Rigore parato a Ashley Cole.3-2. La vittoria è nei nostri piedi.

Dai Diamanti non nasce niente. Ma stavolta dai piedi di Diamanti nascono le semifinali. 4-2. La Repubblica batte la Monarchia ai calci di rigore. Alla ghigliottina. Se il Calcio governasse il mondo e le guerre imperialiste si facessero a suon di contropiedi e calci di rigore invece che con bombe e massacri, la lingua di Dante avrebbe il posto che si merita nel globo pallonaro.

God saved the azzurri. Tutto prevedibile. Uno scherzetto giocato dall’alto dei cieli al Papa. Semifinale Germania-Italia. Dovrà soffrire anche lui una volta nella vita ,non solo noi sudditi, repubblicani o relativisti.

Scacciata la paura del biscotto. Divorato il pudding inglese. Ci ritroviamo in semifinale avendo vinto una sola partita sul campo e avendo segnato un solo gol su azione. Ci aspettano i crucchi. I crauti. La Merkel. Il rigore europeista contro i rigori dagli undici metri. Ci vorrebbe una dose di Tiramisù per avere la meglio contro i teutoni. Classe da cucchiaio e fame da dessert sotto porta. Il menù servito all’Inghilterra è giusto, mancano caffè e ammazzacaffè per neutralizzare la vendetta nordica. Il sangue tedesco versato nel 2006 è conservato in ampolle nascoste nella Foresta Nera e sarà bevuto dagli uomini di Loew prima della semifinale di Giovedì. Ci vogliono 11 Grosso in campo.

La gioia esplode. Con quel che costa la benzina la gente ha anche il coraggio di fare caroselli nelle città italiane. Forse l’offerta dell’Eni che nel weekend propone la benzina a 20 centesimi di meno è una trovata legata agli strombazzamenti con bandiere tricolori. Ma i prezzi di Luglio 2006, quando gli azzurri divennero campioni del mondo, erano ancora più bassi di quelli scontati proposti oggi. Alle pompe di benzina c’è la fila, ringraziamo Eni per il regalo, dimenticandoci dei prezzi precedenti e delle politiche lobbistiche della compagnia, che come le altre ha reso improponibile le spese per gli spostamenti.
Così il Calcio sommerso da scandali, dubbi, dichiarazioni ambigue, spese folli e ingaggi stratosferici che sono un insulto per il lavoratore medio, sfruttato, giovane e precario, per un giorno diventa orgoglio nazionale sportivo.

Se solo avessimo la possibilità, noi poveri tifosi studenti senza futuro, di umiliare tutti gli Hart ghignanti che incontriamo sul nostro cammino. Se avessimo la possibilità di calciare un rigore, di dimostrare la nostra classe. Se solo avessimo la possibilità di affondare la crisi e zittire il nostro datore di lavoro con un cucchiaio...

Ma quando il pallone di Diamanti gonfia la rete ci dimentichiamo di tutto:  dei problemi, degli esami, delle ragazze e delle mogli, degli scandali, del costo della vita e degli ingaggi assurdi dei nostri idoli. Torniamo a fare la fila davanti al televisore alla ricerca di un po’ di adrenalina a prezzo scontato.

God save the azzurri. Ma qualcun altro, meno impegnato, salvi pure noi.

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