lunedì 24 settembre 2012

Mercenari, nuovi millenni, cuoricini e tavolini.


Rubrica che sintetizza rapidamente, alla nobile maniera delle chiacchere da bar, il calcio giocato e parlato nel fine settimana appena trascorso, con molti quesiti rimasti aperti. Perché al bancone si sfoglia, si ciancica  e si litiga ma non si arriva mai a conclusioni. Lasciato il bancone la settimana prossima proveremo a sederci al "tavolino", forse è lì che risiede la sacra verità calcistica...


  • La Juventus è solo in testa a punteggio pieno. Vittoria con doppietta di Quagliarella contro un brasilero Chievo in maglia verdeoro. Nella Juve non ci sono Barzagli, Liechsteiner, Pirlo e Giovinco. I sostituti non sono da meno: Isla, Quagliarella, Lucio e Pogba. Ad oggi solo il Napoli di Mazzarri è una potenziale avversaria per lo Scudetto. Resisterà al passo degli uomini del telefonico Conte fino al termine del campionato?

  • Se la Juve vincerà anche questo campionato cosa scriverà l’anno prossimo sulle maglie? 31 sul campo? E quando arriverà a 32 virtuali e 30 reali? Metterà le stellette ma scriverà 32 sul campo? Con questa farsa quando sarà il momento del vero trentesimo scudetto, si rischierà di perdere il grande valore di questo traguardo.

  • Quando inizia un nuovo millennio? Credenza comune è che inizi nell’anno zero, vale a dire nel 1000, nel 2000, nel 3000; ma l'anno zero semplicemente non esiste! (Anche se un anno zero del calcio italiano sarebbe necessario ora). In realtà il millennio inizia nel primo anno, cioè 1, 1001, 2001 e 3001. Il trentesimo scudetto della Juve farà lo stesso effetto dei festeggiamenti sbagliati del 2000? Tutti convinti di festeggiare l'arrivo del nuovo millennio quando in realtà bisognava aspettare un altro anno? In questo caso ci sarebbero da aspettare altri due scudetti in più, che per il calendario calcistico nostrano hanno durata variabile a seconda  degli avversari sul campo, nei tribunali e a tavolino.

  • Il gol del mercenario Borriello ha un doppio effetto: regalare la vetta solitaria alla Juve e far gioire i tifosi romanisti per la sconfitta inflitta alla Lazio. Non è un lavoro da mercenario modello? Vestire una maglietta e servire gli interessi di altre potenze oscure.

  • Se incontro o sento qualche altro tifoso laziale che parla di prospettive e occasioni per Zarate giuro divento della Roma. Io lo manderei in Serie B come Cavanda l'anno scorso. A farsi le ossa. 

  • Il Napoli si ferma sul campo del Catania, che resiste alle cariche partonepee dal secondo minuto del primo tempo in dieci contro undici, rischiando anche il colpaccio negli ultimi minuti della partita. Il telecronista di Diretta Gol, di chiara fede napoletana, esasperato per il vantaggio che tarda ad arrivare inizia ad esaltarsi freneticamente per l’umiliante tabellino dei calci d’angolo: "Adesso siamo 9 a 2 per il Napoli."

  • Altra perla di saggezza durante la telecronaca di Napoli-Catania, dove l’assenza di reti provoca un conteggio compulsivo di calci d'angolo e cartellini misto a letteratura: “Qui a Catania ormai stiamo assistendo ad un thriller poliziesco per la quantità di gialli tirati fuori dall’arbitro”. Il finale a sorpresa non arriva e muore stampato sul palo alla destra di un De Sanctis battuto.

  • Amaro destino quello delle milanesi. Nei vari collegamenti da San Siro si sentono chiaramente i tifosi interisti esultare alla notizia dei gol dell’Udinese contro la squadra di Allegri. Finiranno la giornata riempiendo di fischi i propri giocatori, dimenticandosi della sconfitta del Milan a Udine.
  • Un altro gol di Di Natale regala una vittoria alla squadra di Guidolin. Un altro gol di “ma questo adesso da dove è uscito” regala il momentaneo vantaggio all’Udinese. Ranegie si aggiunge all’infinita lista di sconosciuti pescati nel Pozzo delle Meraviglie.
  • Negli Emirati Arabi Alfaro segna una tripletta al suo esordio. Il suo connazionale Recoba nel campionato uruguaiano segna due gol stupendi, di cui uno direttamente da calcio d'angolo. Un consiglio per Gennaio ad Allegri e Galliani buttato lì...sicuro meglio di Pazzini-Bojan!

  • Il Siena vince inaspettatamente contro un'Inter assente. L'annata di Stramaccioni sarà una fotocopia del fallimentare progetto di Luis Enrique? Giovani promesse. Tante chiacchere, molto marketing ed inutili fronzoli intorno a poche certezze. Il campo sta parlando, ma gli accenti dei protagonisti sono sbagliati: asturiano in terra romana, romano in terra meneghina. I risultati non tornano.
  • Per la prima volta leggo la scritta rossa dietro la maglia senese di Ze Eduardo: "Ze Love". Nessuno gli ha detto che la parola "Love" è passata di moda? Al passo con i tempi sarebbe stato un cuoricino telematico: Ze minore di 3.
  • 3. Come i punti della Roma a Cagliari. Come i gol segnati da Tavolino, che con questa grande prestazione raggiunge Klose, Hernanes e Gilardino nel conto delle reti marcate. Dopo il "Cobra" Tovalieri, la "Biscia" Tavolino? Lo avete comprato al Fantacalcio?
  • Da oggi si sostituirà l'espressione "più forte sulla carta" con "più forte a tavolino"?
  • Teorie dietrologistiche affermano che Cellino abbia acquistato al fantacalcio Stekelenburg e la scenata del comunicato e della sospensione sia solo frutto dell’esasperazione nel vedere la porta del romanista violentata ad ogni giornata di campionato. Non era forse meglio mettere in panchina Stekelenburg e risparmiarci questo colpo di teatro? 
  • Fonti ben informate dei fatti dicono che il povero Cellino sia caduto preda di un raptus fantacalcistico e abbia acquistato tutta la triade portinara romanista: Stekelenburg, Goicoechea e Lobont. Per quanto riguarda il comunicato, allora, come dargli torto? Voi ce l'avete mai avuti i portieri di Zeman al fantacalcio? Sapete cosa voglia dire? Se la risposta è no siete pregati di non giudicare il povero Cellino.
  • Ciellino e Cellino, dov’è la differenza? Chi è il presidente del Cagliari e chi quello della Regione Lombardia? A quando dieci domande a cui dover rispondere, confezionate da Repubblica per il presidente del club sardo? Che rapporti ha Cellino con Daccò e, soprattutto, Dodò avrebbe giocato titolare? O la trasferta era solo una vacanza pagata a spese della società giallorossa?
  • Un’interpretazione personale: Cellino ha ragione nel torto. Il presidente del Cagliari si è comportato come avrebbe fatto qualsiasi altro suo collega nello stivale calcistico italiano. Le tifoserie organizzate italiane come si sarebbero comportate in una situazione simile? Io credo che si sarebbero tutte unite attorno alla proprio società. In Italia ci piace tanto dividerci calcisticamente in "noi" contro "voi". E gli infami e gli stronzi sono sempre schierati dall'altra parte del campoAssistiamo ogni giorno di più alla scomparsa degli avversari e all'avvento dei nemici. Se Cellino fosse stato il vostro presidente come vi sareste comportati in una situazione di tale empasse?

  • Il problema non è Cellino. Il problema sono tutti i presidenti del calcio italiano. Sono la Figc e la Lega. Se dopo questo atto scandaloso non si provvederà ad analizzare seriamente la situazione stadi in Italia, i tre punti regalati alla Roma, le decantate condanne penali al presidente e alla società sarda serviranno a ben poco. Cellino sarà il semplice capro espiatorio in  una combriccola di matti. 
  • Dietro ogni presidente italiano è nascosto un Cellino potenziale. Altri sono molto peggio. Si è arrivati a questo punto esclusivamente per i deliri personali di un presidente? Quando in Italia la squadra vincitrice del campionato non riconosce sentenze della giustizia sportiva e norme di convivenza comune, che colpa hanno gli altri di credere che tutto gli sia permesso?
  • Seguendo i dettami del Vangelo secondo Conte, Agnelli di Dio che togli i peccati dal mondo, Cellino avrebbe dovuto dichiarare :" Le autorità competenti considerano lo stadio inagibile, noi siamo di diverso avviso, per la nostra società lo stadio è agibile....sul campo". Poi tutti al parco a seguire la squadra con i telefonini e a dare indicazioni alle poche persone presenti dentro lo stadio su come esultare e fare il tifo.
  • In questa sbornia calcistica in cui gli invitati a banchetto sono giornali, presidenti, istituzioni e dirigenti gli unici a farne le spese sono come al solito i tifosi. Dimenticati dalle istituzioni e sfruttati a piacimento dal proprio presidente quelli del Cagliari, presi in giro e soddisfatti quelli romanisti, penalizzati e sgomenti gli altri. 
  • Una partita vinta a tavolino e non giocata non è un danno per tutti i club di Seria A?
  • Beretta dice: "Non ci sono stadi aperti in deroga alle norme". Facciamo finta di abboccare alla storia degli impianti. Ma io mi chiedo: è possibile che una squadra come il Napoli giochi in un campo di patate come quello di una domenica fa? E che il manto di San Siro, pavimento di casa di due tra le più titolate squadre europee, versi in condizioni peggiori di un campo di seconda categoria?  


  • Intanto in Spagna il derby di Madrid tra Real e Rayo Vallecano è stato rinviato per un sabotaggio all'impianto elettrico. C'è chi parla addirittura di attentato terroristico. Si recupera la partita oggi. Splenderà nel buio il raggio del Rayo? (Purtroppo il lampo non ha brillato, il Real si è imposto per 0-2; i giornali spagnoli abbondano di metafore illuministe "Una victoria sin excesivas luces", "Ramos vio la luz /Ramos ha visto la luce"; similmente dalle nostre parti per un po' di tempo ci dovremo accontentare del già tanto inflazionato tormentone Tavolino).
  • Il Barça è momentaneamente a +11 (ora a +8, ndr). Salvato contro il Granada da un gol di Xavi all’88° (poi la partita è terminata 2-0). I giornali spagnoli hanno messo in risalto un battibecco tra Messi e Villa per un passaggio di prima non avvenuto. Polemiche che fanno da contorno al calcio giocato e ricordano le recenti frizioni tra Allegri e Inzaghi. Tutto il mondo è penisola calcistica. 
  • L'anno prossimo pochi ricorderanno il bel gol di El Shaarawy, la buona partita della Lazio e il gol inaspettato di Borriello, la prestazione del Siena e il rigore parato a Diamanti da un sempreverde Pellizzoli. Ma nessuno scorderà le liti rossonere, le veline, Conte e le sentenze, Lotito e le polemiche, Cellino con il suo comunicato, l'ordine pubblico e le partite vinte a tavolino....che brutto calcio che ci aspetta. 



venerdì 21 settembre 2012

Dinamo Zagabria - Stella Rossa Belgrado: calcio, calci in faccia e calci di pistole


Autore di questo articolo è Francesco Leone: storico, chitarrista, gran bevitore di birra ed amante del bel calcio, soprattutto passato. Le sue origini sono per un terzo italiane, per un terzo tedesche e per un terzo trapattoniane.


E’ il maggio 1990 e la Jugoslavia è sull’orlo del collasso: Josip Broz, detto Tito, morto nel 1980 dopo un governo di 35 anni, non aveva lasciato eredi politici capaci di fronteggiare le divisioni etniche, linguistiche e culturali presenti tra le nazioni della Federazione. In Croazia l’Unione Democratica Croata, partito nazionalista e conservatore dell’ex ufficiale jugoslavo Franjo Tuđman, ottiene la maggioranza nelle prime libere elezioni. A pochi giorni dal secondo turno elettorale, il 13 maggio, la Dinamo Zagabria affronta in casa, al Maksimir, la Stella Rossa Belgrado.

La scena delle tifoserie jugoslave è animata da divisioni trasversali: alle normali rivalità cittadine, come tra Stella Rossa e Partizan a Belgrado, o nazionali, come tra Dinamo Zagabria e Hajduk Spalato in Croazia, si affiancano quelle inter-nazionali.
La partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado simboleggia la rivalità tra l’elemento serbo e quello croato in Jugoslavia, una rivalità talmente densa da oscurare il calcio giocato, nonostante la qualità degli interpreti: nella Stella Rossa militano Dejan Savicevic, futuro Genio milanista, Darko Pancev, futuro bidone interista, e Robert Prosinecki, proveniente dalla Dinamo Zagabria, nomade del calcio che avrebbe militato anche con Real Madrid e Barcellona. Capitano della Dinamo è Zvonimir Boban, 22 anni, icona insieme a Savicevic del Milan stellare di Sacchi.

L'arbitro neanche fischia l'inizio: gli scontri fra le tifoserie, accuratamente pianificati sia dai Delije, gruppo ultras della Stella Rossa, che dai Bad Blue Boys, tifosi della Dinamo Zagabria, prendono immediatamente il sopravvento.

A frapporsi fra i gruppi solo i deboli reparti della polizia federale jugoslava, che riesce solamente a peggiorare la situazione, rappresentando per i tifosi croati il braccio violento del centralismo serbo. È proprio un poliziotto a diventare uno dei protagonisti involontari della giornata: uscirà dal Maksimir con una mascella fratturata da una ginocchiata volante di Zvonimir Boban, uno dei pochi coraggiosi a non fuggire negli spogliatoi.


Gli scontri in campo continueranno per più di un’ora; nella città ancora più a lungo. Non ci scappa il morto, ma si conteranno quasi 150 feriti, 80 solo tra i poliziotti.
Secondo molti giornalisti gli scontri del Maksimir furono la miccia della polveriera balcanica, la proverbiale goccia di troppo. Come il famoso assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria a Sarajevo nel 1914, che le professoresse delle scuole medie di tutta Italia continuano a definire come “la causa, ma non proprio la causa” della prima guerra mondiale, gettando nella confusione generazioni di tredicenni.

La guerra civile in Jugoslavia esplode l’anno successivo.
Molti tifosi della Stella Rossa, della Dinamo, del Partizan Belgrado e dell’Hajduk Spalato entrano a far parte delle milizie irregolari degli eserciti combattenti.
L’esempio più lampante della connessione tra tifo violento e guerra civile è la vicenda di Željko Ražnatović, detto Arkan, famoso in Italia per essere stato ricordato in uno striscione degli Irriducibili in un momento di evidente confusione politico-ideologica.



Arkan, formalmente responsabile della sicurezza della Stella Rossa, sostanzialmente capo ultrà, diventa uno dei signori della guerra jugoslavi e fonda il corpo paramilitare “Le Tigri”, nel quale militano molti tifosi della Stella Rossa, passati da spranghe e pietre a fucili e bombe a mano.
Arkan sarà uno dei maggiori ricercati dall’Interpol negli anni ’80-’90, per crimini e omicidi commessi in numerosi paesi europei, e verrà successivamente incriminato dall’ONU per crimini contro l’umanità, genocidio e pulizia etnica.

La guerra civile finisce nel 1995, ma gli strascichi arriveranno fino al 2008, quando il Kosovo si dichiara indipendente dalla Serbia. In mezzo, crimini di guerra da ogni parte, interventi umanitari, occidentali e non, tagliagole e trafficanti diventati simboli di resistenza nazionale o capi di stato. Il risultato è la frammentazione della Federazione in sette Stati più o meno indipendenti (Serbia, Montenegro, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kosovo), ma la stabilità ancora oggi è lontana.

La partita del '90 simboleggia la fine del calcio jugoslavo.
Nei due anni successivi, molti calciatori migrano all’estero.
Oltre a Savicevic, Pancev, Prosinecki e Boban, Alen Bokšić passa al Cannes, Sinisa Mihajlovic alla Roma e Vladimir Jugovic alla Samp. Nonostante tutto nel maggio del '91 la Stella Rossa Belgrado vince la Coppa dei Campioni, battendo nella finale di Bari l’Olympique Marsiglia di Jean-Pierre Papin.
La nazionale jugoslava, che durante la guerra fredda aveva collezionato risultati discreti (due secondi posti nel Campionato europeo, tre argenti e un oro alle Olimpiadi) viene sciolta nel 1992. Da allora, il miglior risultato internazionale di una nazionale ex-jugoslava è il terzo posto della Croazia di Boban e Davor Suker ai Mondiali del '98.

Ironia della sorte, quell’anno la squadra croata, figlia del nazionalismo etnico, viene battuta dalla Francia di Youri Djorkaeff, Zinedine Zidane e Lilian Thuram. E’ proprio Thuram, simbolo di quella squadra multietnica e ambasciatore dell’antirazzismo nel calcio, a segnare i due gol che permisero alla Francia di battere in semifinale la Croazia…ma questa è un'altra storia.


Ascolto consigliato: Goran Bregovic, “Kalashnikov”.

Autore: Francesco Leone
Consigli, piccole aggiunte, incursioni sintattiche ed entrate a gamba tesa: Andrea Crescenzi, Giulio Ciavarella, Emiliano Pizzicannella.

lunedì 17 settembre 2012

Un lunedì da cialtroni: esultanze, ammonizioni e yogurt

Rubrica che sintetizza rapidamente, alla nobile maniera delle chiacchere da bar, il calcio giocato e parlato nel fine settimana appena trascorso:


  • Mio padre, romanista, dopo la vittoria dell’Atalanta a San Siro: "Con questo risultato, il successo della Lazio a Bergamo acquista più valore". La mania giornalistica di revisionare i risultati a posteriori ha contagiato anche lui. 
  • Al terzo gol del Bologna ero fuori casa. Un mio amico mi dà la notizia grazie all'aggiornamento internet sul cellulare. Una smorfia del tifoso romanista allo stadio, in tempo reale, si trasforma in un sorriso, in differita, a chilometri di distanza. La forza della tecnologia.
  • Con l’abbandono di Ibra il Milan sembra trovarsi in una situazione di crisi simile a quella vissuta dall’Inter post-Mourinho, senza però essere stata, nell’ultimo ciclo, vincente come la sua rivale. 
  • Il problema dell’Inter era non aver cambiato nulla dopo l’addio del portoghese. Sarebbero dovuti arrivare Kuyt e Mascherano. Arrivò solo Benitez che, tra l'altro, si ritrovò con lo stesso organico mourninhano. Il problema del Milan, al contrario, è di aver effettuato una rivoluzione a metà. Preso coraggio, partiti i fuoriclasse della rosa, i nuovi rinforzi sono solamente delle controfigure. Meglio sarebbe stato inserire attori emergenti e vivere un anno di purgatorio serenamente, puntando al futuro. Erano proprio indispensabili Pazzini e Bojan?
  • Contro il Chievo Verona due gol molto belli di Hernanes, che ha però diversi problemi nell'esultare. Al primo gol, il difensore avversario Sardo protesta animosamente rincorrendolo e facendogli notare che avrebbe dovuto fermare l'azione perché Mauri era a terra. Al terzo gol, invece, il brasiliano è braccato dai compagni di squadra Cana e Candreva che vogliono festeggiare abbracciandolo. Hernanes si libera con forza, li scansa quasi prepotentemente, perché gli impediscono di eseguire la sua classica esultanza con annesso salto in aria. Tra arbitri, avversari e compagni non si può più esultare in santa pace.
  • All’Olimpico Lamela sigla il momentaneo 2-0 per la Roma. I giocatori del Bologna protestano perché un loro compagno era a terra durante l’esecuzione del tiro dell’argentino. Colpevole non è Lamela, che giustamente finalizza l’azione (come Hernanes a Verona), ma gli avversari che quasi si fermano,convinti che l’attaccante giallorosso avrebbe stoppato l’azione.

  • Mettere palla fuori perché un avversario o un proprio compagno si trova a terra è una brutta abitudine mascherata da fair play. Molte persone approfittandone chiamano “esperienza” il rotolarsi doloranti sul terreno di gioco, guadagnando tempo e facendo fermare l’azione. Giocassero a rugby si rialzerebbero dopo un secondo. In quello sport sembra che la stessa pratica la chiamino “debolezza”. Punti di vista.

  • A Genova Immobile viene ammonito inspiegabilmente dopo aver siglato il vantaggio sulla Juve. L’attaccante genoano era andato ad esultare sotto gli spalti dei propri tifosi. Colpevole di aver condiviso con il proprio pubblico la gioia del golAncora più incredibile in Germania: nello scontro tra Hannover 96 e Werder Brema, Huszti segna in rovesciata al novantatreesimo il gol del 3-2 che chiude la partita all'ultimo respiro. Orgasmo del calcio. Sogni di bambino che si realizzano. Il premio? Un’espulsione per somma di ammonizioni istantanea: la prima per essersi tolto la maglietta, la seconda per essersi arrampicato sulla gradinata della propria tifoseria. 


  • Questo è il calcio che sogniamo? Un fiume di ammonizioni per esultanze, gioie e gol? Mi ricordo anni fa che Messi fu multato per aver mostrato una scritta di ringraziamento alla propria mamma, sotto la maglietta da gioco. La Fifa e le varie Leghe non perdono occasione per parlare di fair play, del rispetto, della gioia di giocare a calcio ma allo stesso tempo continuano a reprimere azioni che sono vitalità per questo sport. Sbaglio o la pubblicità della “Seria A Tim” mostra dei bambini che giocano a calcio, sorridono, corrono ed esultano in maniera gioiosa dopo un gol? Alcuni levandosi addirittura la maglietta? Perché allora continuare ad ammonire ed espellere goffamente dei giocatori che sono rimasti solamente dei bambini felici? Come sempre i Palazzi predicano bene e razzolano male.
  • Nella giornata appena conclusa erano due i derby ospitati da capitali europee. A Londra si giocava Qpr-Chelsea, finita 0-0. La nuova squadra di Julio Cesar ha fermato la squadra di Di Matteo nel primo pareggio stagionale in Premier League dopo tre vittorie consecutive. Il Chelsea rimane comunque primo a dieci punti, seguito dalla United a nove. Il Qpr naviga ancora in bassa classifica; solo due punti in quattro partite, come il deludente Liverpool di Suarez e Borini. 
  • A Madrid, invece, era di scena il “derby povero” tra Atletico e Rayo Vallecano, finito in goleada: 4-3 per gli uomini di Simeone. Anche il Barcellona ne fa quattro in trasferta contro il Getafe e consolida ancora di più il primato; quattro partite e punteggio pieno, seguito in vetta dal Malaga a due distanze. Incredibile sconfitta del Real contro il Sevilla per uno a zero. Adesso le merengues sono a meno otto dai catalani.
  • I giornali spagnoli pro-Casa blanca esorcizzano i passi falsi, ricordando che l’ultima volta che il Real era partito così male in Liga finì vincendo la nona Champions League. Vedremo martedì contro il City di Mancini come inizierà la stagione europea per Mourinho e se le profezie giornalistiche si avvereranno.
  • Facendo zapping tra le varie partite, cambio su “Diretta gol”. Trevisani è il telecronista di Genoa-Juve. Immobile si mangia clamorosamente un gol davanti Buffon scatenando più commenti:” Immobile ci ha messo quaranta minuti prima di tirare”,“ Incredibile che un giocatore fortissimo come lui nell’uno contro uno si possa divorare una chiara occasione da gol uno contro zero”. Ormai molte telecronache hanno raggiunto il livello di discussione da bar tra amici. Molti opinionisti cercando nuovi gerghi, innovazioni linguistiche e sintattiche fanno rimpiangere sempre di più la sobrietà dei fasti delle epoche telecronistiche passate. Una volta, addirittura, ho sentito un commentatore sentenziare, dopo una goffa azione:“Male male”. Un tormentone dello slang calcistico da spogliatoio che oramai ha invaso le strade e le piazze delle parlate giovanili. Questo è ciò che ci meritiamo dalla modernizzazione del calcio? Un pensiero personale, con parole non mie: “Male male!”.



  • Già diventato tormentone di internet il video degli spot nipponici di Nagatomo. Esilarante il modo in cui il terzino dell’Inter si cala in un ambiente da “manga liceale”. L’effetto pubblicità da yogurt ha già maturato i suoi tardivi frutti con Ferrara (testimonial Danone qualche anno fa), che con la Sampdoria ha centrato la sua terza vittoria consecutiva. Fermenterà allo stesso modo la classifica dell’Inter? I tifosi ci sperano, l’unica differenza è nella data di scadenza dello yogurt di Nagatomo, compagni e Stramaccioni. Sulla loro di confezione è scritto a lettere cubitali: da consumarsi il prima possibile.


giovedì 13 settembre 2012

Lo stadio e l'Ipod


Articolo scritto da Andrea Crescenzi:musicista, romanista e pionere in Italia del modulo aggressivo di Iss Pro Evolution soccer con Roberto Carlos punta esterna (altro che tikitaka, altro che Luis Enrique, altro che Zeman) e da Emiliano Pizzicanella: musicista, rudeboy e juventino atipico, tra l'altro traduttore di questo pezzo dal romanescho-frascatano all'italo-romano. 

Lo stadio della Roma a Testaccio. Dietro al Gazometro, al posto dell’antico campo. Un Gazometro rimane in piedi, l’altri tre li buttamo giù e ce famo parcheggio, McDonald e Roma Store.
Anvedi sti cazzo d’americani, fanno sul serio allora!
E’ il progetto.

Mica come gli sceicchi del Paris Saint Germain, che pia e buttano i soldi manco stessero a giocà a Monopoli.

Questi non so arabi, so americani. I soldi li vogliono fa'. C’hanno proprio la cultura del Soldo: se fai i soldi sei Benedetto (Thomas Di?) dal Signore, tanto che te lo scrivono pure sul dollaro In God We Trust. Ce credono davero questi, alla pecunia.

E’ il progetto, il progetto de Dio.

Questi non so arabi, so americani. C’hanno l’Ipod, mica quella sciarpa da zecca che tu e l'amici tua ve compravate allo zoppo dietro Termini o a via Sannio.

Arrivi allo stadio con la macchina e parcheggi comodo comodo sotto a un multipiano a forma de Crisby McBacon, giallo come il sole e rosso come il Ketchup. Si sa, il progetto vuole tradizione e innovazione a braccetto, marcati stretti, come lo Stewart delle macchine che manco sei sceso già t'ha sfilato 5 Euro.

Ma famme sta zitto che sennò me dicono che so antico.

Poi sali, passi in mezzo alla zona Disney, che non sia mai tuo figlio non se compra lo zucchero filato a forma de Capitan Futuro, fai una foto a tua moglie con la bambola gonfiabile di Ilary Blasi, e mentre l' amico tuo continua a ripetere Gajardi sti cazzo de americani vedi il Tomtom con la voce di Carlo Zampa e i preservativi a forma de lupacchiotto.

Ma a partita? 'Nsa vedemo più?
Ma che te frega qua c’è l’aria condizionata, e poi i giocatori entrano tra mezz’ora.
Ma che cazzo vor di? Noi je damo er fiato, je scallamo o stadio, impressionamo l'avversario co a fiatella da pane e frittata.
Ma quale panino! Mangiamo al ristorante del secondo anello. Quello con le cucine etniche.
Le cucine etniche? E io col panino frittata e wrustel de mamma che ce faccio?

L'amico mio non risponde perché ha trovato la zona deodorante: ce stanno stick e spray co l’odori de li mejo fior fior de giocatori de sta città: Totti, De Rossi, Destro e Burdisso, che poi spiegatemi perchè dovrei voler avere lo stesso odore di Burdisso.

Ma ecco che spunta il faccione di Osvaldo, che come un'icona pagana sovrasta l'ingresso della zona Ipod.
Ma mò che centra aaaRoma co aaaDisney e co l’iPod?
Ma non è che Lamela è 'na mascotte? Ma non è che se lo semo preso pe fasse regalà du MacBook?

Ma famme sta zitto che me dicono che non ce capisco niente de sta roba moderna.

Una volta all'Olimpico il massimo che trovavi era il paninaro affianco ai cessi che te dava l'oddog mezzo tiepido, il tipo del Borghetti e quello che te rivendeva la stessa bottiglietta d’acqua che le guardie t’avevano sequestrato all'entrata. Roba normale, pe capisse.Ma vabbé dai, sarà er progetto; vedemo n’attimo.

Dentro la zona IPod ce stanno tutti Ipod, e la faccia di Osvaldo che c'entra?


Da oggi le playlist dei giocatori giallorossi  a disposizione di tutti i tifosi su iTunes. Si parte con quella di Pablo Daniel Osvaldo.

Daje che entramo dritti dentro all’iPod der Johnny Depp de Trigoria, der Pupone e de Capitan Futuro.
Me ricorda Sky che pia e te imbocca dentro lo spogliatoio, cinque secondi de prepartita. Giusto il tempo di immortalare tatuaggi addominali depilati e mutande, le stesse mutande che Beckham pubblicizza per H&M.
Me ricorda il reality Campioni, quello che mandavi er messaggio e costringevi Ciccio Graziani a sostituì Cristian Arrieta co Diego Armando Maradona Jr.

Comunque Osvaldo se sente i classiconi del rock: Led Zeppelin, Pink Floyd e Guns’n’Roses, altro che Balotelli col rap de Drake.
Certo  che se lo stesso messaggio da Campioni lo potessi mandà io a Pablo Daniel gli direi che manco a Virgin Radio so così banali sulle playlist. Manco fosse un dodicenne che s'è comprato la chitarra elettrica l'altro ieri.

Pensasse a giocà invece de fa il rock'n'rolla della situazione. Ma famme sta zitto che me dicono che so datato.

E’ il progetto.

Se Osvaldo non se sente Uotta Uotta Lov lo scudetto non lo vincemo, parola di James Soprano Pallotta. Lascialo fa che ce capisce de sta roba, de brand marchi nomi sordi cda cdequa cid transazioni impicci Ipod e Tom & Jerry.

Nel frattempo mancano cinque minuti alla partita, avemo speso mezza piotta, puzzo come Burdisso dopo il derby e manco se semo magnati un cazzo.

E’ il progetto; sì, il progetto de mette la statua della libertà al centro der Colosseo.


Andrea Crescenzi, Emiliano Pizzicannella.

lunedì 10 settembre 2012

Finché c'è Zeman c'è speranza


Ospite di questo blog Mario Savina, un caro cugino lupacchiotto.

Questo è un blog di un laziale, e io laziale non lo sono proprio. Sono romanista, lo sono da sempre, con moderazione, senza eccessi, senza slogan, ma da sempre. Mi piace lo sport in generale, calcio incluso, ma non ho nessun gladiatore tatuato sul bicipite, né catenine con lupetti d’oro con un piccolo rubino rosso al posto dell’occhio. Sono uno che segue il calcio perché è bello fare due chiacchiere con gli amici, sfotterli quando si vince, essere sfottuti quando si perde. Perché di calcio parli con tutti, non importa il paese d’origine o l’età. Sono uno che ama lo sport, i valori che questo porta con sé, sono uno che ha giocato a basket per anni perché è uno sport per gentleman, sono uno che rispetta l’avversario e accetta la sconfitta, però…QUEST’ANNO VE FAMO ER CULO!

Zeman! Potete di quello che ve pare, che è pure vostro, che ha allenato più er Foggia de quanto abbia allenato la Roma, che nun ha mai vinto ‘n cazzo, che a dilla tutta la sua prima squadra era a Palermo, ma a noi non ce cambia assolutamente niente, er Boemo è roba nostra, come er Colosseo e la fontana de Trevi, come Roma Capoccia e la Lupa Capitolina.

Zeman, anzi, Zema, è romanista, punto. “Ole, ole, oleoleoleeee, Zema, Zema!” Il romano, si sa, non c’ha un buon rapporto con i suoni tronchi, Bar-Bare, Film-Filme, SUV-Suvve, così anche Zeman se deve adeguà, Zeman-Zema.

Dopo ‘n anno de tikitake, solo all’idea de potè vedè na verticalizzazione, il tifoso romanista è corso in massa a sottoscrive l’abbonamento pe’ na stagione che se preannuncia piena de arti e bassi, de stelle e de stalle, de gol-go fatti e subiti. E che importa se già alla prima giornata pareggi due a due co du’ gol-go in fuorigioco? 

Che importa se ancora prima de inizià il campionato ce sta l’intero quadro dirigenziale della Juventus che te pia per culo, proprio loro che se piano per culo da soli co sta storia dei 30 scudetti, dei 10 mesi de squalifica de Conte (mai cognome fu meno azzeccato)? A noi dei conti non ce frega niente, a noi ce piacciono i Baroni, intesi come Liedholm e i marchesi intesi come Alberto Sordi.

Zema è più de ‘n allenatore, de un Mister-Miste, è un maestro, un Guru, un santone, un Dio. Pure un comunista se serve a fa incazzà quarche giornalista scemo de Libero. A noi ce fa piacere, sapè che fra un assenzio e l’altro, nella redazione del giornale de Berlusconi, pure loro, così lontani da Roma, se sentono toccati da st’omo-totem, da sta faccia rugosa e da sta voce cavernosa intagliata nella nicotina. Che è per caso uscito un articolo su Petkovic? Quarcuno s’è interessato ai suoi trascorsi, alle sue abitudini, alle sue denunce? Che poi, tra de noi se lo potemo pure dì: ma chi cazzo è Petkovic? No perché, campanilismo a parte, sur serio, ma chi cazzo è?

Non importa, se stava a parlà de Zema no? Der guru, de quello che, io avendo 10 anni nel 1997, non avevo mai veramente potuto capì fino in fondo, ma che ar Bar-Bare prima o poi esce sempre fori, “Me ricordo quando c’era Zema”, “Se te devi pià Luis-Luisse Enrique-Erriche, a sto punto pijateZema, armeno te diverti”. Ecco sto fatto dell’ “Armeno te diverti”, m’ha sempre stuzzicato la fantasia, m’ha sempre riempito de gioa, de speranza. Se er vecchio ‘mbriaconeder Bar-Bare, se poteva ancora entusiasmà de fronte a un semplice nome de un Boemo, allora voleva di che il calcio poteva ancora esse ‘no sport-sporte,‘n divertimento, no spettacolo, ‘na festa.

A dì la verità dopo la prima partita, più che er soriso del vecchio ‘mbriacone m'è venuta alla mente ‘na frase de ‘nlaziale, de uno de quelli che del bel gioco non je ne po’ fregà de meno, che poi non è colpa sua se quando io c’avevo Spalletti, lui c’aveva Rossi o Reja, però m’è venuta in mente fulminea, “Co Zeman nun se vince ‘ncazzo”. Come se senza avessimo mai vinto qualcosa. Ecco a me sta guera tra poveri, tra morti de fame, tra du squadre che se dovessero sommà i trofei non raggiungerebbero comunque quelli della Pro Vercelli, m’ha sempre messo na certa tristezza, ‘n senso de malinconia.

I laziali continuano a comprà solo frutta DelMonte, passate de sugo e pelati Cirio, i romanisti, seppure sia ormai altissima continuano a pagà la polizza INA assitalia per la loro Mazda, perché in qualche modo, ste piccole cose je ricordano un’epoca lontana, prima della crisi, prima de Cragnotti e prima der crack della Italpetroli, prima de diventà spa, prima der ventunesimo secolo, o subito dopo, prima de calciopoli, prima dei 30 scudetti e de Vieri pedinato, prima de “poporoppopopooopo”, prima dei video dalla curva con l’iPhone, prima della tessera der tifoso, degli striscioni faxati e prima de tutto questo c’era un solo uomo che c’è pure adesso e che se po’ permette de girà a testa alta: Zema!

Lui per un po’ è sparito, l’hanno fatto sparì, l’hanno rilegato a un calcio infame, pieno de terra e de turchi, un calcio minore ma più pulito, più normale. E lui, Zema, s’è stato zitto, ha lavorato, s’è invecchiato continuando a fumà come tutta la tribù de Toro seduto, fuori dalle cronache aspettando de tornà, prima o poi nel calcio che conta. E per lui, l’ha detto subito, il calcio che conta è la Roma, che voi o non voi, pe culo o per bravura, è stata fuori da tutti questi scandali e scandalucci degli ultimi anni e che solo così se po’ merità il boemo.

E adesso ci siamo 3 a 1 all’Inter-Inte, e pure il più scettico degli scettici mo, quantomeno sta zitto e guarda, in attesa del primo passo falso, del primo 4 a 0 in casa, che ci sarà, perché Zema è anche questo, Zema è come un’abbuffata quando c’hai fame, un piatto de bucatini dopo un anno de Luis Enrique, na cacio e pepe senza acqua de cottura: il mal de pancia lo devi mette in conto, ma chi se ne frega! E chi se ne frega pure se Zema mente, sapendo di mentire quando dice che la Roma è al completo, che Piris è un vero giocatore di calcio e non il vincitore del concorso “Gratta e Sabatini”, che Dodò recupererà presto e che Totti non gioca trequartista. Non importa quando ‘nbranco de pischelli corre che è na meraviglia, quando Florenzi se beve tutto il centrocampo dell’Inter e er greco sembra un colosso.

Non importa perché finchè c’è Zeman c’è speranza.

Mario Savina.

mercoledì 5 settembre 2012

Il pareggio sottosopra di Del Piero.


Del Piero ha firmato per il Sydney Football club. Sarà uno Sky blue, gentilizio del club, come da tradizione anglosassone.

Il giro del mondo in 80 squadre è terminato a otto ore di fuso orario dal meridiano di Torino.

Contratto biennale per due milioni di dollari australiani a stagione, l’equivalente di un milione e seicento mila euro.

Una vacanza lunga due anni, lontano dai riflettori italiani e dal calcio europeo. Del Piero sarà il pioniere, il pirata, il galeotto alla scoperta di un nuovo mondo. Waltzing Matilda. Il richiamo del grande continente australiano. You’ll come a waltzing Matilda with me.

Prima di lui nel Sidney Fc hanno già militato Benny Carbone e Juninho Paulista, con magre fortune, diciotto presenze in due ed un bottino di soli tre gol (in quattro partite) per l’attaccante italiano ex Roma ed ex Inter (anche se fu ex di una ventina di squadre nella sua carriera).

Una scelta radicale. Una sconfitta ed una vittoria. Del Piero abbandona il grande calcio per rifugiarsi in un progetto stimolante nella terra dei canguri, entrando di diritto nella lunga lista dei pensionati del calcio europeo.

La sua scelta, inizialmente, fu obbligata dalle decisioni della dirigenza bianconera. Quando ad Ottobre 2011, durante un’assemblea degli azionisti, Andrea Agnelli dichiarò "Del Piero è il nostro capitano, rappresenta il legame tra il vecchio e il nuovo stadio. Gli dedicherei un applauso perché ha fortemente voluto rimanere ancora qui con noi, per quello che sarà il suo ultimo anno in bianconero", in molti rimasero sorpresi.

Uno strappo allo stile Juve. Se mai ce ne fosse stato uno. Sicuramente un precedente nelle relazioni tra grandi campioni, che a lungo hanno vestito una maglia, e una dirigenza che si rivela irrispettosa, più che irriconoscente.
I cammini nella vita si separano, ma ci sono modalità che in alcuni casi vanno rispettate. Legame tra vecchio e nuovo stadio?

Uno schiaffo a Del Piero e all’immagine che rappresenta, a Torino, in Italia e all’estero. Saranno trattati ugualmente, quando verrà il momento, i vari Buffon, Pirlo e Marchisio? 

In una prima analisi la decisione dell’ultimo dieci juventino di emigrare, scarpini in spalla, a ventiquattro ore di aereo dal vecchio continente è una sconfitta. Non personale, ma nei confronti di quella stessa dirigenza che lo ha rinnegato con poca classe e poco garbo.
Non servi più qui. Pensionamento anticipato. Non rientri nei nostri piani. Trovati un’altra famiglia. Lontano da qui . Sottinteso e sperato.

Molte sono le storie di calciatori, a fine carriera, pronti a calciare palloni su altri lidi.

La maggior parte lo ha fatto consapevolmente, valutando serenamente le proprie situazioni. Scelte non imposte. Pensionati felici. Cannavaro a Dubai, Nesta e Di Vaio in Canada sono solamente gli ultimi naufraghi di un esodo dorato che iniziò prima con Pelè negli Stati Uniti, continuando con Zico e Leonardo in Giappone e arrivando a Effenberg e Romario nella penisola araba, propaggine che volgeva lo sguardo a Oriente, verso Cina e Russia.

Anche se molti, lontano da casa, non sono durati più di una stagione.

In questo senso quella di Del Piero è stata una scelta forzata, non studiata. Costretto all’esilio, anche se ancora voglioso di dimostrare il massimo, di giocare e di vincere.

Altri, prima di lui, scelsero nuove avventure meno esotiche e più competitive. Pirlo alla Juve, dato per finito, ancora fa rimpiangere alla dirigenza del Milan il proprio errore, la scelta avventata, il non averlo spinto a giocare all’estero.

Raul, che dopo una vita nel Real Madrid, ha vissuto una seconda giovinezza nello Schalke 04, fino alle semifinali di Champions League. Il giorno del suo addio a Gelsenkirchen, i tifosi tedeschi lo hanno omaggiato come neanche fecero in Spagna, dopo 18 anni di onorato servizio. Due anni intensi. Una porta sbattuta in faccia a Madrid, un’occasione per dimostrare a tutti il suo valore in Germania. Nel calcio che ancora contava. Dopo l'addio di Raul, lo Schalke ha ritirato la maglia numero 7 dell'attaccante spagnolo.



Del Piero avrebbe potuto giocare ad essere Raul, ad essere nuovamente Del Piero. Essere rimpianto a Torino. Giocare ai livelli che gli spettano.

Una sconfitta. Lontano dai risultati, dai campionati europei. Se Alessandro non è da Juve, non è da nessun’altra squadra. Non è da Malaga, non è da Liverpool, non è da Tottenham.
Aver scelto l’Inghilterra o la Spagna forse gli avrebbe dato qualche soddisfazione nei confronti di chi lo aveva cacciato, sbattendogli la porta in faccia.
Pinturicchio poteva dare ancora molto al calcio europeo ma è voluto essere un pensionato del calcio. Senza, però, averlo programmato. Gestendo una situazione surreale da un giorno all’altro. Soccombendo alle scelte unilaterali del club per poi, solo successivamente, analizzare la situazione. Senza prendere la palla a balzo. La palla che rotola nei campi di calcio europei.

Con l'Australia si passa da una sconfitta agonistica ad una vittoria personale.

Del Piero ha perso per non aver scelto l’Europa che conta, per aver escluso la rivalsa sul campo, ma ha vinto scegliendo Sidney.
“La situazione, il posto migliore” nelle sue parole. Ha puntato il dito nell’emisfero australe, dopo aver viaggiato mentalmente nei quattro angoli del mappamondo calcistico (River Plate, America, Svizzera, Thainlandia, Cina, Brasile) e ha deciso. Waltzing Matilda. Alla ricerca dell'Australia. 

Del Piero in America sarebbe stato uno dei tanti. Sarebbe stato un Henry, un Beckham. Un Del Piero pensionato sul set di Hollywood. Andare in Argentina o Brasile avrebbe significato una rivalsa a metà. Calcio che conta, ma agli antipodi. Lo stesso Trezeguet prima dell’emozionante esperienza argentina con il River è passato per il purgatorio spagnolo dell’Hercules. Seedorf è al Botafogo. Ma Seedorf non è Del Piero.

La Cina che dispensa stipendi da favola, 12 milioni a Drogba e 10.8 allo sconosciuto Conca (!!!), è davvero quello che merita un campione a fine carriera? Del Piero sarebbe durato mezza stagione alla corte cinese. Geograficamente e culturalmente. Come Cannavaro a Dubai: mezza stagione da giocatore, ora dirigente dell'Al-Ahli. Del Piero non meritava uno scempio simile, lui che a denti stretti ha vissuto l'anno di purgatorio juventino in Serie B. Affondare e riemergere con la sua squadra, la sua vita.

La Svizzera sarebbe stato un ripiego. Affacciata sul cortile di casa, troppo vicina. Con il richiamo torinese a poche centinaia di chilometri a bussargli alla porta. I ricordi e l'amaro di un addio non voluto.

Se non deve essere il calcio europeo che conta la sua nuova famiglia, che almeno sia una terra lontana e corallina. Dal Vecchio Continente al Nuovissimo Continente.

Meglio scappare allora. Essere il primo, non una controfigura. Un fuggiasco verso l'inglese nasale degli aussies verso i g'day mate (buongiorno in slang australiano), verso una terra calda e vasta, lontano dal cortile di casa. Non il prestigio della Premiere, ma l'accoglienza dell'Australia.

Nella terra sottosopra. Downunder. Lontano fisicamente. Dall’altra parte del mondo. Culturalmente, molto più vicino di quanto uno possa immaginare. Dallo Scudetto all’Opera House. Dopo “aver fatto tutto qui” Alex ha “bisogno di qualcosa di diverso”.

Questa scelta tanto radicale, che stupisce in molti, trova le sue ragioni nel contesto sociale dell’Australia e nella progettualità studiata dalla dirigenza del Sidney. La figura di Del Piero dovrà rappresentare un intero movimento, quello italiano, ma anche un accordo che pone al centro la rinascita del calcio australiano a livello nazionale.
Nel paese del rugby, del cricket e dell’australian football (sport praticato da Vieri fino ai quattordici anni), Pinturicchio sarà l’ambasciatore del Calcio. Una scommessa, una vittoria. Un campione che sceglie come priorità l’ambiente in cui vivere, in cui far crescere per alcuni anni i propri figli, senza badare molto all’ingaggio ( “solamente” 1.6 mil). Controcorrente.

Se nasce, questo viaggio in Australia, da una sconfitta calcistica, si capovolge, downunder, come vittoria personale. Una vacanza-studio dai buoni intenti. Non un dorato esilio all'ombra di palme di datteri. Un impegno professionale ed umano. Una scommessa. Una rinascita culturale. Un’opportunità. Un pareggio sentimentale.

                                                                I've been around the world
                                                          A couple of times or maybe more
                                                         I've seen the sights, I've had delights
                                                                  On every foreign shore
                                                            But when my mates all ask me
                                                                 The place that I adore
                                                                  I tell them right away:

                                                           give me a home among a gumtrees...

                                                           
Ho fatto il giro del mondo un paio di volte, ma quando i miei compagni mi chiedono quale posto adori più di tutti gli rispondo: datemi una casa all'ombra di un eucalipto, piena di alberi di prugne, qualche animale ed un canguro. L’Australia Sundance. Santa Del Piero. Una nuova terra. Sky blue. Cielo azzurro. Un'altra avventura che pareggia la sconfitta precedente, quella dell'orgoglio, della riscatta e delle emozioni. Un'altra vita.


A volte un pareggio può rivelarsi un affare inaspettato. Good luck.


Note:
Per un approfondimento dell'aria musicale e sportiva che si respira in Australia, più qualche citazione (visto che questo blog si chiama spoorts and culture):

Home among a gumtrees : canzone folk che elogia la terra ed alcune tradizioni australiane (citata a fine pezzo)


Downunder: è il nome con cui viene soprannominata l'Australia. Terra sottosopra. Un divertente classico degli anni 80'. "I come from the land downunder".


Waltzing Matilda: canzone simbolo. Considerata da molti il vero inno australiano, cantata spesso allo stadio durante le partite di rugby dei Wallabies ( e di riflesso nel calcio).


Sidney Swans song: canzone della squadra di football australiano di Sidney. Inizialmente un gioco praticato solo a Melbourne e nel Victoria, da qualche decennio è giocato in tutto il continente, un misto tra rugby e calcio, gioco molto fisico e duro (Vieri lo praticò fino a 14 anni). 


Stefano Accorsi e Libero de Rienzo nei panni di Bart e Andrea, tifosi juventini (nel film vanno al Delle Alpi per Juve-Atalanta), forse, avranno ispirato la scelta di Santa Del Piero?