Rubrica che sintetizza rapidamente, alla nobile maniera delle chiacchere da bar, il calcio giocato e parlato nel fine settimana appena trascorso, con molti quesiti rimasti aperti. Perché al bancone si sfoglia, si ciancica e si litiga ma non si arriva mai a conclusioni. Lasciato il bancone la settimana prossima proveremo a sederci al "tavolino", forse è lì che risiede la sacra verità calcistica...
La Juventus è solo in testa a punteggio
pieno. Vittoria con doppietta di Quagliarella contro un brasilero Chievo in
maglia verdeoro. Nella Juve non ci sono Barzagli, Liechsteiner, Pirlo e
Giovinco. I sostituti non sono da meno: Isla, Quagliarella, Lucio e Pogba. Ad
oggi solo il Napoli di Mazzarri è una potenziale avversaria per lo Scudetto.
Resisterà al passo degli uomini del telefonico Conte fino al termine del campionato?
Se la Juve
vincerà anche questo campionato cosa scriverà l’anno prossimo sulle maglie? 31 sul
campo? E quando arriverà a 32 virtuali e 30 reali? Metterà le stellette ma
scriverà 32 sul campo? Con questa farsa quando sarà il momento del vero
trentesimo scudetto, si rischierà di perdere il grande valore di questo
traguardo.
Quando
inizia un nuovo millennio? Credenza comune è che inizi nell’anno zero, vale a dire nel 1000, nel 2000, nel 3000; ma l'anno zero semplicemente non esiste! (Anche se un anno zero del calcio italiano sarebbe necessario ora). In realtà il
millennio inizia nel primo anno, cioè 1, 1001, 2001 e 3001. Il trentesimo scudetto della Juve farà lo stesso effetto dei festeggiamenti sbagliati del 2000? Tutti convinti di festeggiare l'arrivo del nuovo millennio quando in realtà bisognava aspettare un altro anno? In questo caso ci sarebbero da aspettare altri due scudetti in più, che per il calendario calcistico nostrano hanno durata variabile a seconda degli avversari sul campo, nei tribunali e a tavolino.
Il gol del mercenario Borriello ha un doppio effetto: regalare la vetta solitaria alla Juve e far gioire i tifosi romanisti per la sconfitta inflitta alla Lazio. Non è un lavoro da mercenario modello? Vestire una maglietta e servire gli interessi di altre potenze oscure.
Se incontro o sento qualche altro tifoso laziale che parla di prospettive e occasioni per Zarate giuro divento della Roma. Io lo manderei in Serie B come Cavanda l'anno scorso. A farsi le ossa.
Il Napoli si
ferma sul campo del Catania, che resiste alle cariche partonepee dal secondo
minuto del primo tempo in dieci contro undici, rischiando anche il colpaccio
negli ultimi minuti della partita. Il telecronista di Diretta Gol, di chiara fede napoletana, esasperato per il vantaggio che tarda ad arrivare inizia ad esaltarsi freneticamente per l’umiliante tabellino dei calci d’angolo: "Adesso siamo 9
a 2 per il Napoli."
Altra perla
di saggezza durante la telecronaca di Napoli-Catania, dove l’assenza di reti provoca un conteggio compulsivo di calci d'angolo e cartellini misto a letteratura: “Qui a Catania ormai stiamo assistendo ad un
thriller poliziesco per la quantità di gialli tirati fuori dall’arbitro”. Il
finale a sorpresa non arriva e muore stampato sul palo alla destra di un De Sanctis battuto.
Amaro
destino quello delle milanesi. Nei vari collegamenti da San Siro si sentono
chiaramente i tifosi interisti esultare alla notizia dei gol dell’Udinese
contro la squadra di Allegri. Finiranno la giornata riempiendo di fischi i
propri giocatori, dimenticandosi della sconfitta del Milan a Udine.
Un altro gol
di Di Natale regala una vittoria alla squadra di Guidolin. Un altro gol di “ma
questo adesso da dove è uscito” regala il momentaneo vantaggio all’Udinese.
Ranegie si aggiunge all’infinita lista di sconosciuti pescati nel Pozzo delle
Meraviglie.
Negli Emirati Arabi Alfaro segna una tripletta al suo esordio. Il suo connazionale Recoba nel campionato uruguaiano segna due gol stupendi, di cui uno direttamente da calcio d'angolo. Un consiglio per Gennaio ad Allegri e Galliani buttato lì...sicuro meglio di Pazzini-Bojan!
Il Siena
vince inaspettatamente contro un'Inter assente. L'annata di Stramaccioni sarà una fotocopia del fallimentare progetto di Luis Enrique? Giovani promesse. Tante chiacchere, molto marketing ed inutili fronzoli intorno a poche certezze. Il campo sta parlando, ma gli accenti dei protagonisti sono sbagliati: asturiano in terra romana, romano in terra meneghina. I risultati non tornano.
Per la prima volta leggo la scritta rossa dietro la maglia senese di Ze Eduardo: "Ze Love". Nessuno gli ha detto che la parola "Love" è passata di moda? Al passo con i tempi sarebbe stato un cuoricino telematico: Ze minore di 3.
3. Come i
punti della Roma a Cagliari. Come i gol segnati da Tavolino, che con questa
grande prestazione raggiunge Klose, Hernanes e Gilardino nel conto delle reti marcate. Dopo il "Cobra" Tovalieri, la "Biscia" Tavolino? Lo
avete comprato al Fantacalcio?
Da oggi si sostituirà l'espressione "più forte sulla carta" con "più forte a tavolino"?
Teorie
dietrologistiche affermano che Cellino abbia acquistato al fantacalcio Stekelenburg e la scenata del comunicato e della
sospensione sia solo frutto dell’esasperazione nel vedere la porta del romanista
violentata ad ogni giornata di campionato. Non era
forse meglio mettere in panchina Stekelenburg e risparmiarci questo colpo di teatro?
Fonti ben informate dei fatti dicono
che il povero Cellino sia caduto preda di un raptus fantacalcistico e abbia
acquistato tutta la triade portinara romanista: Stekelenburg, Goicoechea e Lobont. Per
quanto riguarda il comunicato, allora, come dargli torto? Voi ce l'avete mai avuti i portieri di Zeman al fantacalcio? Sapete cosa voglia dire? Se la risposta è no siete pregati di non giudicare il povero Cellino.
Ciellino e
Cellino, dov’è la differenza? Chi è il presidente del Cagliari e chi quello della
Regione Lombardia? A quando dieci domande a cui dover rispondere, confezionate da Repubblica per il presidente del club sardo? Che rapporti ha Cellino con Daccò e, soprattutto, Dodò avrebbe giocato titolare? O la trasferta era solo una vacanza pagata a spese della società giallorossa?
Un’interpretazione
personale: Cellino ha ragione nel torto. Il
presidente del Cagliari si è comportato come avrebbe fatto qualsiasi altro suo
collega nello stivale calcistico italiano. Le tifoserie organizzate italiane come si sarebbero comportate in una situazione simile? Io credo che si sarebbero tutte unite attorno alla proprio società. In Italia ci piace tanto dividerci calcisticamente in "noi" contro "voi". E gli infami e gli stronzi sono sempre schierati dall'altra parte del campo. Assistiamo ogni giorno di più alla scomparsa degli avversari e all'avvento dei nemici. Se Cellino fosse stato il vostro presidente come vi sareste comportati in una situazione di tale empasse?
Il problema
non è Cellino. Il problema sono tutti i presidenti del calcio italiano. Sono la
Figc e la Lega. Se dopo questo atto scandaloso non si provvederà ad analizzare
seriamente la situazione stadi in Italia, i tre punti regalati alla Roma, le decantate condanne penali al presidente e alla società sarda serviranno a ben poco. Cellino sarà
il semplice capro espiatorio in una
combriccola di matti.
Dietro ogni
presidente italiano è nascosto un Cellino potenziale. Altri sono molto peggio. Si è arrivati a questo
punto esclusivamente per i deliri personali di un presidente? Quando in Italia
la squadra vincitrice del campionato non riconosce sentenze della giustizia
sportiva e norme di convivenza comune, che colpa hanno gli altri di credere che
tutto gli sia permesso?
Seguendo i dettami del Vangelo secondo Conte, Agnelli di Dio che togli i peccati dal mondo, Cellino avrebbe dovuto dichiarare :" Le autorità competenti considerano lo stadio inagibile, noi siamo di diverso avviso, per la nostra società lo stadio è agibile....sul campo". Poi tutti al parco a seguire la squadra con i telefonini e a dare indicazioni alle poche persone presenti dentro lo stadio su come esultare e fare il tifo.
In questa sbornia calcistica in cui gli invitati a banchetto sono giornali, presidenti, istituzioni e dirigenti gli unici a farne le spese sono come al solito i tifosi. Dimenticati dalle istituzioni e sfruttati a piacimento dal proprio presidente quelli del Cagliari, presi in giro e soddisfatti quelli romanisti, penalizzati e sgomenti gli altri.
Una partita vinta a tavolino e non giocata non è un danno per tutti i club di Seria A?
Beretta dice: "Non ci sono stadi aperti in deroga alle norme". Facciamo finta di abboccare alla storia degli impianti. Ma io mi chiedo: è possibile che una squadra come il Napoli giochi in un campo di patate come quello di una domenica fa? E che il manto di San Siro, pavimento di casa di due tra le più titolate squadre europee, versi in condizioni peggiori di un campo di seconda categoria?
Intanto in Spagna il derby di
Madrid tra Real e Rayo Vallecano è stato rinviato per un sabotaggio all'impianto elettrico. C'è chi parla addirittura di attentato terroristico. Si recupera la partita oggi. Splenderà nel buio il raggio del Rayo? (Purtroppo il lampo non ha brillato, il Real si è imposto per 0-2; i giornali spagnoli abbondano di metafore illuministe "Una victoria sin excesivas luces", "Ramos vio la luz /Ramos ha visto la luce"; similmente dalle nostre parti per un po' di tempo ci dovremo accontentare del già tanto inflazionato tormentone Tavolino).
Il Barça è
momentaneamente a +11 (ora a +8, ndr). Salvato contro il Granada da un gol di Xavi all’88° (poi la partita è terminata 2-0). I
giornali spagnoli hanno messo in risalto un battibecco tra Messi e Villa per un
passaggio di prima non avvenuto. Polemiche che fanno da contorno al calcio giocato e ricordano le recenti frizioni tra Allegri e Inzaghi. Tutto il mondo è penisola calcistica.
L'anno prossimo pochi ricorderanno il bel gol di El Shaarawy, la buona partita della Lazio e il gol inaspettato di Borriello, la prestazione del Siena e il rigore parato a Diamanti da un sempreverde Pellizzoli. Ma nessuno scorderà le liti rossonere, le veline, Conte e le sentenze, Lotito e le polemiche, Cellino con il suo comunicato, l'ordine pubblico e le partite vinte a tavolino....che brutto calcio che ci aspetta.
Autore di questo articolo è Francesco Leone: storico, chitarrista, gran bevitore di birra ed amante del bel calcio, soprattutto passato. Le sue origini sono per un terzo italiane, per un terzo tedesche e per un terzo trapattoniane.
E’ il maggio 1990 e la Jugoslavia è
sull’orlo del collasso: Josip Broz, detto Tito, morto nel 1980 dopo un
governo di 35 anni, non aveva lasciato eredi politici capaci di fronteggiare le
divisioni etniche, linguistiche e culturali presenti tra le nazioni della
Federazione. In Croazia l’Unione Democratica Croata, partito nazionalista e
conservatore dell’ex ufficiale jugoslavo Franjo Tuđman, ottiene la maggioranza
nelle prime libere elezioni. A pochi giorni dal secondo turno elettorale, il 13
maggio, la Dinamo Zagabria affronta in
casa, al Maksimir, la Stella Rossa Belgrado.
La
scena delle tifoserie jugoslave è animata da divisioni trasversali: alle
normali rivalità cittadine, come tra Stella Rossa e Partizan a Belgrado, o
nazionali, come tra Dinamo Zagabria e Hajduk Spalato in Croazia, si affiancano
quelle inter-nazionali.
La
partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado simboleggia la rivalità tra
l’elemento serbo e quello croato in Jugoslavia, una rivalità talmente densa da
oscurare il calcio giocato, nonostante la qualità degli interpreti: nella
Stella Rossa militano Dejan Savicevic,
futuro Genio milanista, Darko Pancev,
futuro bidone interista, e Robert Prosinecki, proveniente dalla Dinamo
Zagabria, nomade del calcio che avrebbe militato anche con Real Madrid e
Barcellona. Capitano della Dinamo è Zvonimir
Boban, 22 anni, icona insieme a Savicevic del Milan stellare di Sacchi.
L'arbitro
neanche fischia l'inizio: gli scontri fra le tifoserie, accuratamente
pianificati sia dai Delije, gruppo ultras della Stella Rossa, che dai Bad Blue
Boys, tifosi della Dinamo Zagabria, prendono immediatamente il sopravvento.
A
frapporsi fra i gruppi solo i deboli reparti della polizia federale jugoslava,
che riesce solamente a peggiorare la situazione, rappresentando per i tifosi
croati il braccio violento del centralismo serbo. È proprio un poliziotto a
diventare uno dei protagonisti involontari della giornata: uscirà dal Maksimir
con una mascella fratturata da una ginocchiata volante di Zvonimir Boban, uno
dei pochi coraggiosi a non fuggire negli spogliatoi.
Gli
scontri in campo continueranno per più di un’ora; nella città ancora più a
lungo. Non ci scappa il morto, ma si conteranno quasi 150 feriti, 80 solo tra i
poliziotti.
Secondo molti giornalisti gli
scontri del Maksimir furono la miccia della polveriera balcanica, la proverbiale
goccia di troppo. Come il famoso assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando
d’Austria a Sarajevo nel 1914, che le professoresse delle scuole medie di tutta
Italia continuano a definire come “la causa, ma non proprio la causa” della
prima guerra mondiale, gettando nella confusione generazioni di tredicenni.
La guerra civile in Jugoslavia esplode
l’anno successivo.
Molti
tifosi della Stella Rossa, della Dinamo, del Partizan Belgrado e dell’Hajduk
Spalato entrano a far parte delle milizie irregolari degli eserciti
combattenti.
L’esempio
più lampante della connessione tra tifo violento e guerra civile è la vicenda di Željko Ražnatović, detto Arkan,
famoso in Italia per essere stato ricordato in uno striscione degli
Irriducibili in un momento di evidente confusione politico-ideologica.
Arkan,
formalmente responsabile della sicurezza della Stella Rossa, sostanzialmente
capo ultrà, diventa uno dei signori della guerra jugoslavi e fonda il corpo
paramilitare “Le Tigri”, nel quale militano molti tifosi della Stella Rossa,
passati da spranghe e pietre a fucili e bombe a mano.
Arkan
sarà uno dei maggiori ricercati dall’Interpol negli anni ’80-’90, per crimini e
omicidi commessi in numerosi paesi europei, e verrà successivamente incriminato
dall’ONU per crimini contro l’umanità, genocidio e pulizia etnica.
La
guerra civile finisce nel 1995, ma gli strascichi arriveranno fino al 2008,
quando il Kosovo si dichiara indipendente dalla Serbia. In mezzo, crimini di
guerra da ogni parte, interventi umanitari, occidentali e non, tagliagole e
trafficanti diventati simboli di resistenza nazionale o capi di stato. Il
risultato è la frammentazione della Federazione in sette Stati più o meno
indipendenti (Serbia,
Montenegro, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kosovo), ma la
stabilità ancora oggi è lontana.
La
partita del '90 simboleggia la fine del calcio jugoslavo.
Nei
due anni successivi, molti calciatori migrano all’estero.
Oltre
a Savicevic, Pancev, Prosinecki e Boban, Alen Bokšić passa al Cannes, Sinisa
Mihajlovic alla Roma e Vladimir Jugovic alla Samp. Nonostante tutto nel maggio
del '91 la Stella Rossa Belgrado vince la Coppa dei Campioni, battendo nella
finale di Bari l’Olympique Marsiglia di Jean-Pierre Papin.
La
nazionale jugoslava, che durante la guerra fredda aveva collezionato risultati
discreti (due secondi posti nel Campionato europeo, tre argenti e un oro alle
Olimpiadi) viene sciolta nel 1992. Da allora, il miglior risultato
internazionale di una nazionale ex-jugoslava è il terzo posto della Croazia di
Boban e Davor Suker ai Mondiali del '98.
Ironia
della sorte, quell’anno la squadra croata, figlia del nazionalismo etnico,
viene battuta dalla Francia di Youri Djorkaeff, Zinedine Zidane e Lilian
Thuram. E’ proprio Thuram, simbolo di quella squadra multietnica e ambasciatore
dell’antirazzismo nel calcio, a segnare i due gol che permisero alla Francia di
battere in semifinale la Croazia…ma questa è un'altra storia.
Rubrica che sintetizza rapidamente, alla nobile maniera delle chiacchere da bar, il calcio giocato e parlato nel fine settimana appena trascorso:
Mio padre, romanista, dopo la vittoria dell’Atalanta a San Siro: "Con questo risultato, il
successo della Lazio a Bergamo acquista più valore". La mania giornalistica di
revisionare i risultati a posteriori ha contagiato anche lui.
Al terzo gol del Bologna ero fuori casa. Un mio amico mi dà la notizia grazie all'aggiornamento internet sul cellulare. Una smorfia del tifoso romanista allo stadio, in tempo reale, si trasforma in un sorriso, in differita, a chilometri di distanza. La forza della tecnologia.
Con l’abbandono
di Ibra il Milan sembra trovarsi in una situazione di crisi simile a quella
vissuta dall’Inter post-Mourinho, senza però essere stata, nell’ultimo ciclo,
vincente come la sua rivale.
Il problema dell’Inter era non aver cambiato nulla dopo l’addio del portoghese. Sarebbero dovuti arrivare Kuyt e Mascherano. Arrivò solo Benitez che, tra l'altro, si ritrovò con lo stesso organico mourninhano. Il problema del Milan, al contrario, è di aver effettuato una rivoluzione a metà. Preso coraggio, partiti i fuoriclasse della rosa, i nuovi rinforzi sono solamente delle controfigure. Meglio sarebbe stato inserire attori emergenti e vivere un anno di purgatorio serenamente, puntando al futuro. Erano proprio indispensabili Pazzini e Bojan?
Contro il
Chievo Verona due gol molto belli di Hernanes, che ha però diversi problemi
nell'esultare. Al primo gol, il difensore avversario Sardo protesta animosamente rincorrendolo e facendogli notare che avrebbe dovuto fermare l'azione perché Mauri era a terra. Al terzo gol, invece, il brasiliano è
braccato dai compagni di squadra Cana e Candreva che vogliono festeggiare
abbracciandolo. Hernanes si libera con forza, li scansa quasi prepotentemente,
perché gli impediscono di eseguire la sua classica esultanza con annesso salto in aria. Tra arbitri, avversari e compagni non si può più esultare in santa pace.
All’Olimpico
Lamela sigla il momentaneo 2-0 per la Roma. I giocatori del Bologna protestano
perché un loro compagno era a terra durante l’esecuzione del tiro dell’argentino.
Colpevole non è Lamela, che giustamente finalizza l’azione (come Hernanes a
Verona), ma gli avversari che quasi si fermano,convinti che l’attaccante
giallorosso avrebbe stoppato l’azione.
Mettere
palla fuori perché un avversario o un proprio compagno si trova a terra è una brutta
abitudine mascherata da fair play. Molte persone approfittandone chiamano “esperienza”
il rotolarsi doloranti sul terreno di gioco, guadagnando tempo e facendo
fermare l’azione. Giocassero a rugby si rialzerebbero dopo un secondo. In
quello sport sembra che la stessa pratica la chiamino “debolezza”. Punti di
vista.
A Genova
Immobile viene ammonito inspiegabilmente dopo aver siglato il vantaggio sulla
Juve. L’attaccante genoano era andato ad esultare sotto gli spalti dei propri
tifosi. Colpevole di aver condiviso con il proprio pubblico la gioia del gol. Ancora più incredibile in Germania: nello scontro tra Hannover 96 e Werder Brema, Huszti segna in rovesciata al novantatreesimo il gol del 3-2 che chiude la partita all'ultimo respiro. Orgasmo del calcio. Sogni di bambino che si realizzano. Il premio? Un’espulsione per somma di ammonizioni istantanea: la prima per essersi tolto la maglietta, la seconda per essersi arrampicato sulla gradinata della propria tifoseria.
Questo è il calcio che sogniamo? Un fiume di ammonizioni per esultanze, gioie e gol? Mi ricordo anni fa che Messi fu multato per aver mostrato una scritta di ringraziamento alla propria mamma, sotto la maglietta da gioco. La Fifa e le varie Leghe non perdono occasione per parlare di fair play, del rispetto, della gioia di giocare a calcio ma allo stesso tempo continuano a reprimere azioni che sono vitalità per questo sport.Sbaglio o la pubblicità della “Seria A Tim” mostra dei bambini che giocano a calcio, sorridono, corrono ed esultano in maniera gioiosa dopo un gol? Alcuni levandosi addirittura la maglietta? Perché allora continuare ad ammonire ed espellere goffamente dei giocatori che sono rimasti solamente dei bambini felici? Come sempre i Palazzi predicano bene e razzolano male.
Nella
giornata appena conclusa erano due i derby ospitati da capitali europee. A Londra si giocava Qpr-Chelsea, finita 0-0. La nuova squadra di Julio Cesar ha fermato la squadra di Di Matteo nel primo pareggio stagionale in Premier League dopo tre vittorie consecutive. Il Chelsea rimane comunque primo a dieci punti, seguito dalla United a nove. Il Qpr naviga ancora in bassa classifica; solo due punti in quattro partite, come il deludente Liverpool di Suarez e Borini.
A Madrid, invece, era di scena il “derby povero” tra Atletico e Rayo Vallecano, finito in goleada: 4-3 per gli uomini di Simeone. Anche il Barcellona ne fa quattro in trasferta contro il Getafe e consolida ancora di più il primato; quattro partite e punteggio pieno, seguito in vetta dal Malaga a due distanze. Incredibile sconfitta del Real contro il Sevilla per uno a zero. Adesso le merengues sono a meno otto dai catalani.
I giornali spagnoli pro-Casa blanca esorcizzano i passi falsi, ricordando che l’ultima volta che il Real era partito così male in Liga finì vincendo la nona Champions League. Vedremo martedì contro il City di Mancini come inizierà la stagione europea per Mourinho e se le profezie giornalistiche si avvereranno.
Facendo
zapping tra le varie partite, cambio su “Diretta gol”. Trevisani è il telecronista
di Genoa-Juve. Immobile si mangia clamorosamente un gol davanti Buffon
scatenando più commenti:” Immobile ci ha messo quaranta minuti prima di tirare”,“ Incredibile che un giocatore fortissimo come lui nell’uno contro uno si possa
divorare una chiara occasione da gol uno contro zero”. Ormai molte telecronache
hanno raggiunto il livello di discussione da bar tra amici. Molti opinionisti
cercando nuovi gerghi, innovazioni linguistiche e sintattiche fanno rimpiangere sempre di più la sobrietà dei fasti delle epoche telecronistiche passate. Una volta, addirittura, ho
sentito un commentatore sentenziare, dopo una goffa azione:“Male male”. Un
tormentone dello slang calcistico da spogliatoio che oramai ha invaso le strade
e le piazze delle parlate giovanili. Questo è ciò che ci meritiamo dalla
modernizzazione del calcio? Un pensiero personale, con parole non mie: “Male
male!”.
Già
diventato tormentone di internet il video degli spot nipponici di Nagatomo. Esilarante
il modo in cui il terzino dell’Inter si cala in un ambiente da “manga liceale”.
L’effetto pubblicità da yogurt ha già maturato i suoi tardivi frutti con Ferrara
(testimonial Danone qualche anno fa), che con la Sampdoria ha centrato la sua
terza vittoria consecutiva. Fermenterà allo stesso modo la classifica dell’Inter?
I tifosi ci sperano, l’unica differenza è nella data di scadenza dello yogurt
di Nagatomo, compagni e Stramaccioni. Sulla loro di confezione è scritto a lettere
cubitali: da consumarsi il prima possibile.
Articolo scritto da Andrea Crescenzi:musicista, romanista e pionere in Italia del modulo aggressivo di Iss Pro Evolution soccer con Roberto Carlos punta esterna (altro che tikitaka, altro che Luis Enrique, altro che Zeman) e da Emiliano Pizzicanella: musicista, rudeboy e juventino atipico, tra l'altro traduttore di questo pezzo dal romanescho-frascatano all'italo-romano.
Lo
stadio della Roma a Testaccio. Dietro al Gazometro, al posto dell’antico campo.
Un Gazometro rimane in piedi, l’altri tre li buttamo giù e ce famo parcheggio,
McDonald e Roma Store.
Anvedi
sti cazzo d’americani, fanno sul serio allora!
E’
il progetto.
Mica
come gli sceicchi del Paris Saint Germain, che pia e buttano i soldi manco
stessero a giocà a Monopoli.
Questi
non so arabi, so americani. I soldi li vogliono fa'. C’hanno proprio la cultura
del Soldo: se fai i soldi sei Benedetto (Thomas Di?) dal Signore, tanto che te
lo scrivono pure sul dollaro In God We
Trust. Ce credono davero questi, alla pecunia.
E’
il progetto, il progetto de Dio.
Questi
non so arabi, so americani. C’hanno l’Ipod, mica quella sciarpa da zecca che tu
e l'amici tua ve compravate allo zoppo dietro Termini o a via Sannio.
Arrivi
allo stadio con la macchina e parcheggi comodo comodo sotto a un multipiano a
forma de Crisby McBacon, giallo come il sole e rosso come il Ketchup. Si sa, il
progetto vuole tradizione e innovazione a braccetto, marcati stretti, come lo
Stewart delle macchine che manco sei sceso già t'ha sfilato 5 Euro.
Ma famme
sta zitto che sennò me dicono che so antico.
Poi
sali, passi in mezzo alla zona Disney, che non sia mai tuo figlio non se compra
lo zucchero filato a forma de Capitan Futuro, fai una foto a tua moglie con la
bambola gonfiabile di Ilary Blasi, e mentre l' amico tuo continua a ripetere
Gajardi sti cazzo de americani vedi il Tomtom con la voce di Carlo Zampa e
i preservativi a forma de lupacchiotto.
Ma
a partita? 'Nsa vedemo più?
Ma
che te frega qua c’è l’aria condizionata, e poi i giocatori entrano tra
mezz’ora.
Ma
che cazzo vor di? Noi je damo er fiato, je scallamo o stadio, impressionamo
l'avversario co a fiatella da pane e frittata.
Ma
quale panino! Mangiamo al ristorante del secondo anello. Quello con le cucine
etniche.
Le
cucine etniche? E io col panino frittata e wrustel de mamma che ce faccio?
L'amico
mio non risponde perché ha trovato la zona deodorante: ce stanno stick e spray co l’odori de li mejo fior fior de giocatori de sta città: Totti,
De Rossi, Destro e Burdisso, che poi spiegatemi perchè dovrei voler avere lo
stesso odore di Burdisso.
Ma
ecco che spunta il faccione di Osvaldo, che come un'icona pagana sovrasta
l'ingresso della zona Ipod.
Ma
mò che centra aaaRoma co aaaDisney e co l’iPod?
Ma
non è che Lamela è 'na mascotte? Ma non è che se lo semo preso pe fasse regalà
du MacBook?
Ma famme sta zitto che me dicono che non ce capisco niente de sta
roba moderna.
Una
volta all'Olimpico il massimo che trovavi era il paninaro affianco ai cessi che
te dava l'oddog mezzo tiepido, il tipo del Borghetti e quello che te rivendeva
la stessa bottiglietta d’acqua che le guardie t’avevano sequestrato
all'entrata. Roba normale, pe capisse.Ma
vabbé dai, sarà er progetto; vedemo n’attimo.
Dentro la zona IPod ce stanno tutti Ipod, e la faccia di Osvaldo che c'entra?
Da oggi le playlist dei
giocatori giallorossi a disposizione di
tutti i tifosi su iTunes. Si parte con quella di Pablo Daniel Osvaldo.
Daje
che entramo dritti dentro all’iPod der Johnny Depp de Trigoria, der Pupone e de
Capitan Futuro.
Me
ricorda Sky che pia e te imbocca dentro lo spogliatoio, cinque secondi de
prepartita. Giusto il tempo di immortalare tatuaggi addominali depilati e
mutande, le stesse mutande che Beckham pubblicizza per H&M.
Me
ricorda il reality Campioni, quello che mandavi er messaggio e costringevi
Ciccio Graziani a sostituì Cristian Arrieta co Diego Armando Maradona Jr.
Comunque
Osvaldo se sente i classiconi del rock: Led Zeppelin, Pink Floyd e
Guns’n’Roses, altro che Balotelli col rap de Drake.
Certo che se lo stesso messaggio da Campioni lo
potessi mandà io a Pablo Daniel gli direi che manco a Virgin Radio so così
banali sulle playlist. Manco fosse un dodicenne che s'è comprato la chitarra
elettrica l'altro ieri.
Pensasse
a giocà invece de fa il rock'n'rolla della situazione. Ma famme sta zitto che
me dicono che so datato.
E’
il progetto.
Se
Osvaldo non se sente Uotta Uotta Lov lo scudetto non lo vincemo, parola di
James Soprano Pallotta. Lascialo fa che ce capisce de sta roba, de brand marchi
nomi sordi cda cdequa cid transazioni impicci Ipod e Tom & Jerry.
Nel
frattempo mancano cinque minuti alla partita, avemo speso mezza piotta, puzzo come Burdisso dopo
il derby e manco se semo magnati un cazzo.
E’
il progetto; sì, il progetto de mette la
statua della libertà al centro der Colosseo.
Ospite di questo blog Mario Savina, un caro cugino lupacchiotto.
Questo
è un blog di un laziale, e io laziale non lo sono proprio. Sono romanista, lo
sono da sempre, con moderazione, senza eccessi, senza slogan, ma da sempre. Mi
piace lo sport in generale, calcio incluso, ma non ho nessun gladiatore tatuato
sul bicipite, né catenine con lupetti d’oro con un piccolo rubino rosso al
posto dell’occhio. Sono uno che segue il calcio perché è bello fare due
chiacchiere con gli amici, sfotterli quando si vince, essere sfottuti quando si
perde. Perché di calcio parli con tutti, non importa il paese d’origine o l’età.
Sono uno che ama lo sport, i valori che questo porta con sé, sono uno che ha
giocato a basket per anni perché è uno sport per gentleman, sono uno che
rispetta l’avversario e accetta la sconfitta, però…QUEST’ANNO VE FAMO ER CULO!
Zeman!
Potete di quello che ve pare, che è pure vostro, che ha allenato più er Foggia
de quanto abbia allenato la Roma, che nun ha mai vinto ‘n cazzo, che a dilla
tutta la sua prima squadra era a Palermo, ma a noi non ce cambia assolutamente
niente, er Boemo è roba nostra, come er Colosseo e la fontana de Trevi, come
Roma Capoccia e la Lupa Capitolina.
Zeman, anzi, Zema, è romanista, punto.
“Ole, ole, oleoleoleeee, Zema, Zema!” Il romano, si sa, non c’ha un buon
rapporto con i suoni tronchi, Bar-Bare,
Film-Filme, SUV-Suvve, così anche Zeman se deve adeguà, Zeman-Zema.
Dopo ‘n anno de tikitake, solo all’idea de potè vedè na
verticalizzazione, il tifoso romanista è corso in massa a sottoscrive
l’abbonamento pe’ na stagione che se preannuncia piena de arti e bassi, de
stelle e de stalle, de gol-go fatti e
subiti. E che importa se già alla prima giornata pareggi due a due co du’ gol-go in fuorigioco?
Che importa se ancora
prima de inizià il campionato ce sta l’intero quadro dirigenziale della
Juventus che te pia per culo, proprio loro che se piano per culo da soli co sta
storia dei 30 scudetti, dei 10 mesi de squalifica de Conte (mai cognome fu meno
azzeccato)? A noi dei conti non ce frega niente, a noi ce piacciono i Baroni,
intesi come Liedholm e i marchesi intesi come Alberto Sordi.
Zema è più de ‘n
allenatore, de un Mister-Miste, è un
maestro, un Guru, un santone, un Dio. Pure un comunista se serve a fa
incazzà quarche giornalista scemo de Libero. A noi ce fa piacere, sapè che fra
un assenzio e l’altro, nella redazione del giornale de Berlusconi, pure loro,
così lontani da Roma, se sentono toccati da st’omo-totem, da sta faccia rugosa
e da sta voce cavernosa intagliata nella nicotina. Che è per caso uscito un
articolo su Petkovic? Quarcuno s’è interessato ai suoi trascorsi, alle sue
abitudini, alle sue denunce? Che poi, tra de noi se lo potemo pure dì: ma chi
cazzo è Petkovic? No perché, campanilismo a parte, sur serio, ma chi cazzo
è?
Non importa, se stava a parlà de Zema
no? Der guru, de quello che, io avendo 10 anni nel 1997, non avevo mai
veramente potuto capì fino in fondo, ma che ar Bar-Bare prima o poi esce sempre fori, “Me ricordo quando c’era Zema”,
“Se te devi pià Luis-Luisse Enrique-Erriche, a sto punto pijateZema, armeno
te diverti”. Ecco sto fatto dell’ “Armeno te diverti”, m’ha sempre stuzzicato
la fantasia, m’ha sempre riempito de gioa, de speranza. Se er vecchio
‘mbriaconeder Bar-Bare, se poteva
ancora entusiasmà de fronte a un semplice nome de un Boemo, allora voleva di
che il calcio poteva ancora esse ‘no sport-sporte,‘n
divertimento, no spettacolo, ‘na festa.
A dì la verità dopo la prima partita,
più che er soriso del vecchio ‘mbriacone m'è venuta alla mente ‘na frase de
‘nlaziale, de uno de quelli che del bel gioco non je ne po’ fregà de meno, che
poi non è colpa sua se quando io c’avevo Spalletti, lui c’aveva Rossi o Reja,
però m’è venuta in mente fulminea, “Co Zeman nun se vince ‘ncazzo”. Come se
senza avessimo mai vinto qualcosa. Ecco a me sta guera tra poveri, tra morti de
fame, tra du squadre che se dovessero sommà i trofei non raggiungerebbero
comunque quelli della Pro Vercelli, m’ha sempre messo na certa tristezza, ‘n
senso de malinconia.
I laziali continuano a comprà solo frutta DelMonte,
passate de sugo e pelati Cirio, i romanisti, seppure sia ormai altissima
continuano a pagà la polizza INA assitalia per la loro Mazda, perché in qualche
modo, ste piccole cose je ricordano un’epoca lontana, prima della crisi, prima
de Cragnotti e prima der crack della Italpetroli, prima de diventà spa, prima
der ventunesimo secolo, o subito dopo, prima de calciopoli, prima dei 30
scudetti e de Vieri pedinato, prima de “poporoppopopooopo”, prima dei video
dalla curva con l’iPhone, prima della tessera der tifoso, degli striscioni
faxati e prima de tutto questo c’era un solo uomo che c’è pure adesso e che se
po’ permette de girà a testa alta: Zema!
Lui per un po’ è sparito, l’hanno
fatto sparì, l’hanno rilegato a un calcio infame, pieno de terra e de turchi,
un calcio minore ma più pulito, più normale. E lui, Zema, s’è stato zitto, ha
lavorato, s’è invecchiato continuando a fumà come tutta la tribù de Toro
seduto, fuori dalle cronache aspettando de tornà, prima o poi nel calcio che
conta. E per lui, l’ha detto subito, il calcio che conta è la Roma, che voi o
non voi, pe culo o per bravura, è stata fuori da tutti questi scandali e
scandalucci degli ultimi anni e che solo così se po’ merità il boemo.
E adesso
ci siamo 3 a 1 all’Inter-Inte, e pure
il più scettico degli scettici mo, quantomeno sta zitto e guarda, in attesa del
primo passo falso, del primo 4 a 0 in casa, che ci sarà, perché Zema è anche
questo, Zema è come un’abbuffata quando c’hai fame, un piatto de bucatini dopo
un anno de Luis Enrique, na cacio e pepe senza acqua de cottura: il mal de
pancia lo devi mette in conto, ma chi se ne frega! E chi se ne frega pure se
Zema mente, sapendo di mentire quando dice che la Roma è al completo, che Piris
è un vero giocatore di calcio e non il vincitore del concorso “Gratta e
Sabatini”, che Dodò recupererà presto e che Totti non gioca trequartista. Non
importa quando ‘nbranco de pischelli corre che è na
meraviglia, quando Florenzi se beve tutto il centrocampo dell’Inter e er greco
sembra un colosso.
Del Piero ha
firmato per il Sydney Football club. Sarà uno Sky blue, gentilizio del club, come da tradizione anglosassone.
Il giro del mondo in 80 squadre è terminato a otto
ore di fuso orario dal meridiano di Torino.
Contratto
biennale per due milioni di dollari australiani a stagione, l’equivalente di un
milione e seicento mila euro.
Una vacanza
lunga due anni, lontano dai riflettori italiani e dal calcio europeo. Del Piero
sarà il pioniere, il pirata, il galeotto alla scoperta di un nuovo mondo. Waltzing
Matilda. Il richiamo del grande continente australiano. You’ll come a waltzing
Matilda with me.
Prima di lui
nel Sidney Fc hanno già militato Benny Carbone e Juninho Paulista, con magre fortune, diciotto
presenze in due ed un bottino di soli tre gol (in quattro partite) per l’attaccante
italiano ex Roma ed ex Inter (anche se fu ex di una ventina di squadre nella
sua carriera).
Una scelta
radicale. Una sconfitta ed una vittoria. Del Piero abbandona il grande calcio
per rifugiarsi in un progetto stimolante nella terra dei canguri, entrando di
diritto nella lunga lista dei pensionati del calcio europeo.
La sua
scelta, inizialmente, fu obbligata dalle decisioni della dirigenza bianconera. Quando ad Ottobre 2011, durante un’assemblea degli azionisti, Andrea Agnelli
dichiarò "Del Piero è il nostro capitano, rappresenta il legame tra il vecchio e il nuovo stadio. Gli dedicherei un applauso perché ha fortemente voluto rimanere ancora qui con noi, per quello che sarà il suo ultimo anno in bianconero", in moltirimasero sorpresi.
Uno strappo
allo stile Juve. Se mai ce ne fosse stato uno. Sicuramente un precedente nelle
relazioni tra grandi campioni, che a lungo hanno vestito una maglia, e una dirigenza
che si rivela irrispettosa, più che irriconoscente.
I cammini
nella vita si separano, ma ci sono modalità che in alcuni casi vanno
rispettate. Legame tra vecchio e nuovo stadio?
Uno schiaffo
a Del Piero e all’immagine che rappresenta, a Torino, in Italia e all’estero.
Saranno trattati ugualmente, quando verrà il momento, i vari Buffon, Pirlo e
Marchisio?
In una prima
analisi la decisione dell’ultimo dieci juventino di emigrare, scarpini in spalla, a ventiquattro ore di aereo dal vecchio continente è una sconfitta. Non
personale, ma nei confronti di quella stessa dirigenza che lo ha rinnegato con
poca classe e poco garbo.
Non servi
più qui. Pensionamento anticipato. Non rientri nei nostri piani. Trovati un’altra
famiglia. Lontano da qui . Sottinteso e sperato.
Molte sono
le storie di calciatori, a fine carriera, pronti a calciare palloni su altri
lidi.
La maggior
parte lo ha fatto consapevolmente, valutando serenamente le proprie situazioni. Scelte non imposte. Pensionati felici. Cannavaro a Dubai, Nesta e Di Vaio in Canada sono solamente
gli ultimi naufraghi di un esodo dorato che iniziò prima con Pelè negli Stati
Uniti, continuando con Zico e Leonardo in Giappone e arrivando a Effenberg e Romario nella
penisola araba, propaggine che volgeva lo sguardo a Oriente, verso Cina e
Russia.
Anche se molti, lontano da casa, non sono durati più di una stagione.
In questo
senso quella di Del Piero è stata una scelta forzata, non studiata. Costretto
all’esilio, anche se ancora voglioso di dimostrare il massimo, di giocare e di
vincere.
Altri, prima
di lui, scelsero nuove avventure meno esotiche e più competitive. Pirlo alla
Juve, dato per finito, ancora fa rimpiangere alla dirigenza del Milan il proprio errore, la
scelta avventata, il non averlo spinto a giocare all’estero.
Raul, che dopo una vita
nel Real Madrid, ha vissuto una seconda giovinezza nello Schalke 04, fino alle
semifinali di Champions League. Il giorno del suo addio a Gelsenkirchen, i tifosi
tedeschi lo hanno omaggiato come neanche fecero in Spagna, dopo 18 anni di onorato servizio. Due
anni intensi. Una porta sbattuta in faccia a Madrid, un’occasione per
dimostrare a tutti il suo valore in Germania. Nel calcio che ancora contava. Dopo l'addio di Raul, lo Schalke ha ritirato la maglia numero 7 dell'attaccante spagnolo.
Del Piero
avrebbe potuto giocare ad essere Raul, ad essere nuovamente Del Piero. Essere rimpianto a Torino. Giocare ai livelli che gli spettano.
Una sconfitta.
Lontano dai risultati, dai campionati europei. Se Alessandro non è da Juve, non
è da nessun’altra squadra. Non è da Malaga, non è da Liverpool, non è da Tottenham.
Aver scelto
l’Inghilterra o la Spagna forse gli avrebbe dato qualche soddisfazione nei
confronti di chi lo aveva cacciato, sbattendogli la porta in faccia.
Pinturicchio poteva dare ancora molto al calcio europeo ma è voluto essere un
pensionato del calcio. Senza, però, averlo programmato. Gestendo una situazione
surreale da un giorno all’altro. Soccombendo alle scelte unilaterali del club per poi, solo successivamente, analizzare la situazione. Senza prendere la palla a balzo. La palla che rotola nei campi di calcio europei.
Con l'Australia si passa da una
sconfitta agonistica ad una vittoria personale.
Del Piero ha
perso per non aver scelto l’Europa che conta, per aver escluso la rivalsa sul campo, ma ha
vinto scegliendo Sidney.
“La
situazione, il posto migliore” nelle sue parole. Ha puntato il dito nell’emisfero
australe, dopo aver viaggiato mentalmente nei quattro angoli del mappamondo
calcistico (River Plate, America, Svizzera, Thainlandia, Cina, Brasile) e ha deciso. Waltzing Matilda. Alla ricerca dell'Australia.
Del Piero in
America sarebbe stato uno dei tanti. Sarebbe stato un Henry, un Beckham. Un Del
Piero pensionato sul set di Hollywood. Andare in Argentina o Brasile avrebbe
significato una rivalsa a metà. Calcio che conta, ma agli antipodi. Lo stesso
Trezeguet prima dell’emozionante esperienza argentina con il River è passato per il
purgatorio spagnolo dell’Hercules. Seedorf è al Botafogo. Ma Seedorf non è Del
Piero.
La Cina che
dispensa stipendi da favola, 12 milioni a Drogba e 10.8 allo sconosciuto Conca
(!!!), è davvero quello che merita un campione a fine carriera? Del Piero
sarebbe durato mezza stagione alla corte cinese. Geograficamente e culturalmente. Come Cannavaro a Dubai: mezza stagione da giocatore, ora dirigente dell'Al-Ahli. Del Piero non meritava uno scempio simile, lui che a denti stretti ha vissuto l'anno di purgatorio juventino in Serie B. Affondare e riemergere con la sua squadra, la sua vita.
La Svizzera sarebbe stato un ripiego. Affacciata sul cortile di casa, troppo vicina. Con il richiamo torinese a poche centinaia di chilometri a bussargli alla porta. I ricordi e l'amaro di un addio non voluto.
Se non deve essere il calcio europeo che conta la sua nuova famiglia, che almeno sia una terra lontana e corallina. Dal Vecchio Continente al Nuovissimo Continente.
Meglio scappare allora. Essere il primo, non una controfigura. Un fuggiasco verso l'inglese nasale degli aussies verso i g'day mate (buongiorno in slang australiano), verso una terra calda e vasta, lontano dal cortile di casa. Non il prestigio della Premiere, ma l'accoglienza dell'Australia.
Nella terra
sottosopra. Downunder. Lontano fisicamente. Dall’altra parte del mondo.
Culturalmente, molto più vicino di quanto uno possa immaginare. Dallo
Scudetto all’Opera House. Dopo “aver fatto tutto qui” Alex ha “bisogno di
qualcosa di diverso”.
Questa
scelta tanto radicale, che stupisce in molti, trova le sue ragioni nel contesto
sociale dell’Australia e nella progettualità studiata dalla dirigenza del Sidney. La
figura di Del Piero dovrà rappresentare un intero movimento, quello italiano, ma
anche un accordo che pone al centro la rinascita del calcio australiano a livello nazionale.
Nel paese del
rugby, del cricket e dell’australian football (sport praticato da Vieri fino ai quattordici anni), Pinturicchio sarà l’ambasciatore del Calcio. Una scommessa, una vittoria.
Un campione che sceglie come priorità l’ambiente in cui vivere, in cui far crescere per
alcuni anni i propri figli, senza badare molto all’ingaggio ( “solamente” 1.6 mil). Controcorrente.
Se nasce, questo viaggio in Australia, da una sconfitta calcistica, si capovolge, downunder, come
vittoria personale. Una vacanza-studio dai buoni intenti. Non un dorato esilio all'ombra di palme di datteri. Un impegno professionale ed umano. Una scommessa. Una rinascita
culturale. Un’opportunità. Un pareggio sentimentale.
I've been around the world A couple of times or maybe more I've seen the sights, I've had delights On every foreign shore But when my mates all ask me The place that I adore I tell them right away: give me a home among a gumtrees...
Ho fatto il giro del mondo un paio di volte, ma quando i miei compagni mi chiedono quale posto adori più di tutti gli rispondo: datemi una casa all'ombra di un eucalipto, piena di alberi di prugne, qualche animale ed un canguro. L’Australia Sundance. Santa Del Piero. Una nuova terra. Sky blue. Cielo azzurro. Un'altra avventura che pareggia la sconfitta precedente, quella dell'orgoglio, della riscatta e delle emozioni. Un'altra vita.
A volte un pareggio può
rivelarsi un affare inaspettato. Good luck.
Note:
Per un approfondimento dell'aria musicale e sportiva che si respira in Australia, più qualche citazione (visto che questo blog si chiama spoorts and culture):
Home among a gumtrees : canzone folk che elogia la terra ed alcune tradizioni australiane (citata a fine pezzo)
Downunder: è il nome con cui viene soprannominata l'Australia. Terra sottosopra. Un divertente classico degli anni 80'. "I come from the land downunder".
Waltzing Matilda: canzone simbolo. Considerata da molti il vero inno australiano, cantata spesso allo stadio durante le partite di rugby dei Wallabies ( e di riflesso nel calcio).
Sidney Swans song: canzone della squadra di football australiano di Sidney. Inizialmente un gioco praticato solo a Melbourne e nel Victoria, da qualche decennio è giocato in tutto il continente, un misto tra rugby e calcio, gioco molto fisico e duro (Vieri lo praticò fino a 14 anni).
Stefano Accorsi e Libero de Rienzo nei panni di Bart e Andrea, tifosi juventini (nel film vanno al Delle Alpi per Juve-Atalanta), forse, avranno ispirato la scelta di Santa Del Piero?