lunedì 24 ottobre 2011

La remuntada rossonera e le muntature di testa.

Con l’infrasettimanale alle porte un articolo sul fine settimana calcistico appena terminato deve, causa di forza maggiore,uscire improrogabilmente il Lunedì. Domani già si rientra in campo: Fiorentina – Juventus, sfida storica nel panorama pallonaro italiano e dato che tra gobbi, bistecche, controfiletti  e una o’a o’la ‘o la ‘annuccia si fa presto a dimenticare il turno precedente, bisogna affrettarsi a stilare un resoconto decente di una giornata che ha lasciato molti spunti. Il Calcio, si sa, ha poca memoria.
La partita inaugurale della giornata di campionato è Juventus – Genoa. Causa fatica accumulata nella giornata di sabato, la vedo per obliquo, sdraiato sul divano, con occhio destro totalmente chiuso, occhio sinistro che lascia intravedere una piccola parte di pupilla, emisfero destro che crea paradisi caraibici nella dormiveglia, trasformando il divano in amaca ed emisfero sinistro che tenta con sforzo invidiabile di stare dietro alle urla sinottiche di Caressa.
Riacquisto piena coscienza di me e del posto in cui mi trovo solo ad entrambi i pareggi del Grifo. I commenti di disfatta sono i classici che seguono periodicamente da qui a cinque anni a tutti i commenti d’elogio alla Vecchia Signora. La Juventus non fa in tempo ad essere messa tra le pretendenti al titolo che subito viene ridemensionata dai risultati sul campo. E’ un lustro che si vocifera e si decanta questa fantomatica rinascita, ma la realtà dei fatti riporta sempre i buoni spiriti a riniziare da zero e a ricercare motivazione e carattere della vera Juve. Se non ci avessero assillato con questa storia del ritorno ai vecchi splendori, con tutte queste aspettative, con tutte queste chiacchere ( dopo un 4-0 e uno stadio nuovo già si è candidati allo scudetto), se si fosse saputo vivere il momento, senza criminalizzare qualsiasi allenatore che passasse per Torino, la squadra bianconera avrebbe di certo portato a casa migliori risultati.
Ma forse, abituati a vincere, non hanno saputo gestire una situazione di ristrutturazione dal basso. Si è semplicemente sempre amplificato sia il clamore delle vittorie che dellle sconfitte, senza mai dargli il giusto peso. 
Tutto questo mio parlare di Juve, forse è stato ispirato dalla dormiveglia e dal fatto che quella della Vecchia Signora contro il Genoa fosse l’unica partita in calendario il Sabato, perché di solito l’interessamento per la squadra ora allenata da Conte si avvicina quasi allo zero. A “Studio Sport” mi dicono parlano solo della Juve.” Pallone d’oro nuovamente a Messi, colleghiamoci con Torino per sapere come i tifosi bianconeri hanno reagito alla notizia” “Maxi cerrada del campionato Nba, vediamo cosa dice a riguardo il ds juventino Marotta”. A Roma e dintorni, invece, funziona più o meno così : “Lazio merda, zitti voi giallozzozzi che me fate ride. Hai visto il Milan si? Mortacci loro, della remuntada, de Galliani, sto beccamorto e del capo suo. Ma l’Inter, che ne pensi di Ranieri? Che dici il Napoli ormai pensa solo alla Champions? Certo Mihalovic sta vivendo un brutto momento con la tifoseria viola. Sta cavolo de Atalanta come va. Mamma mia l’Udinese non vorrà ripetersi anche quest’anno.” E così si continua passando in rassegna Novara e Lecce, Pescara e Sampdoria e accidentalmente ogni tanto si parla di Juve, per sbaglio.
La Domenica, finalmente, arriva il calcio che conta. Non solo: ci sarebbe anche da parlare di rugby, con una Francia spauracchio storico degli All Blacks, che contro qualsiasi pronostico perde solamente 8-7 contro i padroni di casa, nuovamente sulla vetta del mondo dopo 24 anni. Ma la palla ovale è uno sport nobile e non si presta troppo a chiacchere da bar come il tanto amato e scalmanato calcio. Davanti a tre pinte e qualche naso rotto, potremmo parlare senza problemi di rugby, ma questa non mi sembra la sede adatta. Per adesso preferiamo ancora il “Borghetti” e i “ma che stai a di, non ce capisci niente, a squadra mia è ‘a più forte de tutti aoooo!”.
La gara di mezzogiorno è uno spettacolo a parte. Da mangiatore professionista della Domenica, che scambia spesso il pranzo con la colazione, accendo la televisione e il Milan già perde per 3-0 in terra salentina. Come avrebbe sentenziato più tardi Edoardo : “Io da mo che avevo già strappato la schedina se mi fossi giocato la vittoria der Miran”. Ma se il Berlusca sembra sempre che sia vicino alla caduta o con le spalle al muro pronto alla resa e riesce in qualche modo a salvarsi o rigirare la frittata in suo favore, figuriamoci se ogni tanto non lo possa fare la squadra di calcio di sua proprietà. Per sua fortuna in campo al secondo tempo non scende Scillipoti ma un ispirato Boateng, che se non avesse la visione di gioco che ha e non fosse appassionato della serie “Mine sotto il sette” sarebbe sicuramente un clandestino odiato dai compagni di merende del Silvio nazionale. A realizzare l’inpensabile ci pensa Yepes, che, essendo la teoria delle supposizioni una scienza esatta, se non fosse stato calciatore sarebbe stato a quest’ora un narcotrafficante di tutto rispetto.
E’ così che si completa la famosa “Remuntada” che forse in milanese-padano si dirà tale e quale “Remuntada”. Che a pensarci bene questi padani vorrebbero fare tanto i celti ma per come parlano e come si agitano ( vedere Galliani al gol del 3-4) sembrano più che altro andaluso-gitani.
A trovare una spiegazione logica ci si è messa un’equipe di precari dell’università del Gran Sasso ( l’unica nel mondo costruita sottoterra grazie all’ambizioso progetto del dicastero della Gelmini) che hanno scovato le cause delll’inversione di tendenza nella partita di Lecce nella “Zur Farbenlehre” o “Teoria di colori” di Goethe e nella trasmissione di malasorte negli spogliatoi delle squadre di Calcio. Per semplificare il tutto e far capire anche ai non luminari le cause sono da ricercare nella carriera da calciatore dell’allenatore Di Francesco e nei colori della maglia del Lecce ( per i daltonici giallo e rosso) che sarebbero portatori sani della “Remuntada subita” anche nota come “Scoppola inaspettata”. I più infatti ricorderanno la clamorosa sconfitta subita dai giallorossi in un clamoroso Genoa-Roma 4-3. Questione di geni insomma.
A fine partita le lingue dei conduttori di Sky si preparano per stendere il tappetto rosso al Darth Vader del calcio italiano : Adriano Galliani. Il dirigente rossonero ( seguendo la tradizione del suo datore di lavoro) non resiste a lasciare alcune critiche tra il farsesco e il ridicolo. "La colpa delle nostre disattenzioni nel primo tempo è dovuta dal faticoso cambio di metabolismo che siamo stati costretti ad affrontare per preparare il match giocato a mezzogiorno". Tutti sanno ( queste le sue tesi) che un giocatore dopo una partita dorme poco o male, causa adrenalina. Quindi, dopo il turno di Champions che ha lasciato i nostri eroi insonni o, alla meglio, pieni di incubi infestati da Messi e compagni che conquistano San Siro a colpi di tacco, il “Miran” è stato costretto ad alzarsi tutti i giorni alle 8 del mattino per abituare il fisico all’anticipo domenicale. Abbiamo dormito male e poco. Ora qui tutti sanno, invece, che la forza del Lecce è da anni proprio quella: alzarsi presto la mattina, intorno alle 6, riscaldamento rapido a ritmo di pizzica e taranta, bruschetta al pomodoro alle 8 e tutti a correre scalzi sotto il caldo sole salentino di mezzogiorno.
Abbiamo scoperto che i milanisti, sono pieni di soldi, di titoli e di grinta ma guai a svegliarli alle 8 di mattina o a servirgli il caffèlatte prima del dovuto.
La giornata per fortuna continua e porta altre gioie che mi fanno dimenticare presto il faccione dello zio Fester del campionato italiano.
Scopro da un comunicato Fifa che la Lazio giocherà alle 20.45 perché la partita di una squadra così forte non può sovrapporsi all’orario del grande derby di Manchester. Principalmente è spiegato ( in inglese, francese, spagnolo, italiano e tedesco) che toglierebbe parte di spettatori di un bacino di utenza che adesso va dalla West Coast agli Emirati Arabi per lo scontro tra Citizens e United ( ndr. A presto forse un mini articolo su questa partita).
Mi rilasso dopo il grande spettacolo inglese con le partite nostrane. L’Atalanta vince in trasferta a Parma con doppietta di Ma’i Morale’ e senza i punti di penalizzazione sarebbe seconda in classifica. L’Udinese, dopo tre gol rifilati al Novara è sola in testa. Ma la vera notizia in terra romana è il gol di Erik Lamela all’esordio assoluto in Seria A.
Aspettavano questo momento i tifosi giallorossi con molto ottimismo e il giovane argentino li ha ripagati con un bel gol a giro sul palo opposto al settimo minuto. Roma uno, Palermo zero. Ottima vittoria per Luis Enrique.
A parlare con i romanisti e con qualsiasi appassionato di calcio è naturale che venga fuori il “Teorema di Shevchenko” ovvero “Lamela ha tirato o voleva crossare?”. C’è chi assicura che voleva far gol altrimenti per far un traversone così bisogna ricredersi tutti sulle doti dell’argentino. “ E’ na pippa nata se voleva crossa”. Altri che mettono in dubbio questa tesi ( romanisti compresi) portando a loro favore il fatto che il fantasista giallorosso guarderebbe al centro dell’aria disinteressandosi del portiere. Unica cosa certa è che il nome sul tabellino dei marcatori è quello di Lamela e cross o non cross questo gol ha donato nuova linfa all’ambiente giallorosso, dopo la sconfitta del derby, e sicuramente avrà dato carica al giovane argentino e a Luis Enrique, cosciente di avere una carta in più da giocarsi. L’unica problema sarà nel non eccedere con gli elogi e le aspettative. In poche parole non “muntargli” la testa. Tempo al tempo.
La serata si conclude con la Lazio ospitata a Bologna. Si spera tutti che l’euforia del derby abbia avuto effetti positivi e non abbia fatto rilassare eccessivamente i giocatori biancocelesti. La partita fortunatamente è abbordabile, ma mai scherzare con l’avversario soprattutto se il posizionamento in classifica è pessimo e si cerca un’oppurtunità per cambiare rotta e soprattutto se dall’altra parte gioca Marco Di Vaio, che anche se sono 204 giorni che non segna è pur sempre un attaccante temibile. Da ex laziale già ce ne ha rifilati parecchi. “Guarda te se questo se deve sveja proprio oggi eh!!!”.

Alla fine una Lazio decente e mai veramente dominatrice indiscussa della partita porta a casa un’ottima vittoria che gli certifica il secondo posto in solitaria del campionato. Autogol di Acquafresca su una punizione dal limite laterale destro dell’area di Hernanes. Avrà pensato in un protobrasiloromanesco “ Eu a tiro a bola, uma mina ar sentro dell’arengi poi quadunaõ a nsaccheraõ, si è de da equipo meu es igual si fosse um autogolazo esulto eu,stimarongi, que u meritu è u meu que ho tirado uma sveja ao sentro, anacapitaõ beleza!”
Il secondo gol è firmato Lulic, in forma strepitosa, esterno di difesa, interno di centrocampo, ha deliziato gli spettatatori anche come mezzapunta improvvisata, a discapito dei piedi esagonali battuti col ferro e acciaccati da un trattore all’età di cinque anni.
Dall’Ara espugnato anche grazie alla migliore prestazione di Marchetti quest’anno ( non ci voleva molto). Che sicuramente riempe di fiducia il nuovo portiere laziale. L’unica nota ancora da da definire è quella di Cissè, nuovamente a secco di gol ( dall’esordio col Milan); a mio avviso soffre leggermente una silente competizione con Klose. Ed è agitato dal fatto che al derby non abbia segnato. Perchè Osvaldo si era preparato la famosa maglietta con l’uniposca ma Djibril, coerente col suo stile, la scritta s’è l’era tatuata direttamente in petto. Spifferi dallo spogliatoio vociferano un : “Vi ho purgato anche io. Ma occhio romanista che è risaputo sotto le docce di mezza Europa che non me chiamo Osvaldo”. Alcuni esteti della lingua ci hanno voluto riconoscere un riferimento ad attributi sessuali, ma è ancora tutto da chiarire.
Cissè o non Cissè la Lazio ora è seconda in classifica ad un punto dall’Udinese. Una situazione invidiabile. Spero solo che al prossimo passo falso, al pareggio immeritato o alla prossima sconfitta rimediata non riescano fuori le critiche gratuite e per niente costruttive a cui siamo stati abituati ultimamente da una parte del tifo biancoceleste. Da questa parte del Tevere niente è guadagnato, sembra che tutto sia dovuto. Si doveva arrivare quarti, si dovevano vincere tutti i derby, anche quelli del cuore, non si dovevano mai togliere Zarate ed Hernanes dal campo. Zero apprezzamento e riconoscimento al lavoro di Reja e della dirigenza. Ora che mi sembra sotto gli occhi di tutti il vero valore di questa squadra, che si lasci lavorare chi di dovere e se ogni tanto si pareggia o si perde che non si “muntino” tragedie. Tutto è da guadagnare. Per favore non “muntiamoci” la testa anche noi troppo presto.


Ciava.

lunedì 17 ottobre 2011

Lazio - Roma. Hollywood si ribella agli americani.

Se avessi saputo accorgermi dei segni premonitori sarebbe stato quasi inutile vedere il Derby della capitale. A posteriori tutto sembrava già scritto. Bastava solo riconoscere nella saga della stracittadina lo zampino di qualche produttore di Hollywood che lavorava da anni in segreto a questa sceneggiatura. Una ritorsione verso i compatrioti americani, quelli di Boston, che si erano seduti dalla parte sbagliata del Tevere e impegnati tra una partita di baseball e una sbronza asturiana non sono riusciti a intendere in tempo l’aria che tirava dietro le quinte, dimenticandosi di correre ai ripari.
La trama era tanta complessa quanto lineare. Cinque derby persi di fila dai laziali, mai veramente inferiori sul campo. Una serie di sconfitte segnate dal fato, dalla frenesia, dagli episodi e dal cinismo giallorosso. Reja messo alle corde dai suoi stessi tifosi, uno stakanovista che vedeva appassire i frutti del suo lavoro sempre all’appuntamento più importante. Questa volta anche deriso da un gentiluomo come  Francesco Totti. Inoltre la designazione dell’odiato Tagliavento e una maledizione dei numeri che persiguitava l’ambiente biancoceleste. Non c’è due senza tre. Poker. Manita. E tutto quello che poteva far immaginare un'eventuale sconfitta nel sesto derby di fila, dai riferimenti tennistici a quelli linguistici. Seconda persona singolare del verbo essere, presente indicativo. Con tutti gli aggettivi e le locuzioni di scherno che ne possono seguire.
Tutti presagi negativi ma che nella tradizione hollywoodiana condiscono sempre un finale a lieto fine: di riscatto, di rivincita o per usare una celebre frase di Steven Spielberg : “ Quanno faccio nfirme cerco de fa anna tutto per peggio, na presa a male. Ma poi aa fine gli eroi troveno sempre aa forza de ribarta ie eventi e de capovorge e loro sofferenze e trasformalle nvittoria. Che sarà pure una sola dopo tante scoppole, ma è na vittoria che è na goduria. Poi appare aa scritta The end e so tutti felici e se dimenticheno dee sofferenze passate e chi s’è visto s’è visto.”
Steven Spielberg non deve essere amico di Di Benedetto probabilmente.
I romanisti, dal canto loro, si sentivano in una botte di ferro. Rianimati dall’ entusiasmo nato intorno alla figura di Osvaldo. Fiduciosi finalmente nelle pratiche ascetiche di Luis Enrique e convinti del carisma degli americani, conquistatori del mondo, mai abituati a perdere. La dea fortuna, gli yankees, Luis Enrique astro nascente, Osvaldo il panettiere e il cugino di quarto grado di Messi : come possiamo mai perdere contro una squadra di contadini? Noi gladiatori che dove passiamo lasciamo sangue e distruzione. Noi combattenti e guerrieri che se ci danno un calcetto al polpaccio ci rotoliamo per terra con le mani sul volto urlanti e disperati. Abituati allo scontro contro i leoni ma non ai contrasti sul campo. Che entriamo con piede a martello su Radu e usciamo infortunati. Che portiamo nel cuore la grinta romana, che dal decimo del primo tempo prevede la perdita di tempo ad ogni rimessa dal fondo e il piagnucolio isterico. Mi dispiace cari cugini ma avete sbagliato anche il vostro immaginario collettivo. La fame e la forza romana, se mai dovessero fare una ricerca scientifica, non risulterebbero di certo vostre cugine di quarto grado. Un consiglio: convertitevi alla mitologia “gringo” perché Heinze è stato l’unico degno di difendere i vostri colori con il cuore.
Ma torniamo al campo: è lì che va in scena l’atto finale. Quando l’arbitro fischia ci si dimentica di tutto. Ogni derby sembra come il primo ma allo stesso tempo come se fosse l’ultimo. Vita o morte. Che nei primi quindici minuti nel linguaggio laziale si traduce in assenza totale dal campo. La Roma prova ad impostare il suo classico gioco, molto disordinatamente. Pjanic, Gago e Bojan alternano belle giocate a qualche indecisione. Al quinto Konko rinvia una palla centrale, con tanto di pacco e fiocco, sul petto di Pjanic che tenta il fraseggio con Gago, il quale con un ottimo tocco sotto trova Osvaldo solo davanti a Marchetti. L'attaccante romanista di sinistro con grande freddezza segna il gol più importante della sua carriera di attaccante navigato. Che bello essere romanisti, cinque minuti e già in vantaggio. Vedere poi il nostro nuovo idolo alzare la maglietta con la scritta “ Vi ho purgato anche io” è il massimo. Prima Batistuta ora Totti. Osvaldo da panettiere di professione è entrato nei cuori della Sud. Anche se in realtà il bomber si dimostrerà un giocatore che deve ancora imparare molto. Dopo il gol eclissato totalmente dalla difesa laziale. Io fossi un tifoso romanista starei ancora sbraitando dietro il mio “idolo” consigliandogli, non con le buone maniere, di pensare a giocare invece di scriversi sberleffi sulla maglia. Che lo faccia quando capirà i meccanismi veri di questa battaglia. Totti e Delvecchio sono stati attori protagonisti di questa sfida per anni. Osvaldo si sente già pallone d’oro dopo il vantaggio.
A casa di Edoardo, dove ci eravamo riuniti in numero di venti laziali frustrati e sfigati cala il silenzio. Qualche imprecazione a divinità cristiane. Ma sbagliamo indirizzo. Ci troviamo davanti a gladiatori romani. Meglio bestemmiare i loro Dei pagani. Il fatto di aver preso gol da Osvaldo poi ha su di noi l’effetto di una retrocessione in B. La Lega Nord a suo tempo sbagliò le parole contro il povero oriundo. Avrebbe dovuto dire: “Osvaldo è una pippa, non può giocare in nazionale”. Mi sarei convertito al secessionismo anti-pippe, un' occasione mancata per il Carroccio.
Il Gazzobba, fisico e gran intenditore di cinema, era l’unico ad avere capito in cuor suo il copione già scritto e cercava di tranquillizarci : “ Siamo più forti regà…boni che vincemo stavorta”.
Ci credevamo poco. La Lazio soffriva dell’effetto Nadal senza essere mai stata Federer. Un disastro. Rimedio consigliato in caso di ulteriore sconfitta: letargo.
Il tutto ampliato dalle piccole cose che nel calcio fanno la differenza. Stekelenburg che ad ogni rimessa impiega un’eternità, rotolamenti a terra ad ogni contatto( a quando il tempo effettivo anche nel calcio? ) e Tagliavento constantemente presente nella direzione diagonale del passaggio Brocchi- Hernanes da sinistra. Al calcio si rosica e si rosica anche per questo.
Il primo tempo scorre via così con una piccola presa di coraggio della Lazio in fase di attacco, molta lotta a centrocampo, tanto agonismo e buone ripartenze in contropiede della Roma.
Nel secondo tempo Reja inserisce un Lulic in condizioni inaspettatamente ottime al posto di Radu. E’ la Lazio a giocare. Qualche occasione mal gestita negli ultimi venti metri fino ad arrivare all’episodio che cambia la gara. Brocchi sfonda centralmente chiedendo il triangolo ad Hernanes che trova lo spiraglio per smarcare il suo compagno solo davanti a Stekelenburg. Kjaer in netto ritardo si disinteressa del pallone e sposta il braccio di Brocchi che cade a terra. Rigore e rosso. Ora la caduta del laziale sembra un po’ eccessiva ma il difensore romanista ingenuamente causa un fallo da ultimo uomo che si poteva tranquillamente evitare. Con chi prendersela ? Fossi romanista sinceramente solo con Kjaer. L’attacamento alla maglia dovrebbe portare anche a delle critiche oggettive contro i propri giocatori. Tagliavento non poteva fare altrimenti: le intenzioni del difensore erano quelle di arrestare Brocchi non curandosi del pallone. Rigore. Forse dubbio. E’ per questo che il giallorosso ha ancora più colpe.
I secondi che corrono tra la preparazione di Hernanes sul dischetto e la trasformazione sono carichi di ansia. Classico momento della “regola inversa degli undici metri” : quando è la tua squadra a tirare le sensazioni sono che lo sbaglierà, se sono gli avversari già è sicuro che lo segneranno e se entrambi le squadre in questione non sono la tua ci si gode lo spettacolo raggiungendo la pace dei sensi. La tranquillità di vedere una finale ai rigori con due squadre a cui sei disinteressato è un privilegio sentimentale.
Quando il portiere giallorosso è spiazzato e vede la palla infilarsi nell' angolo opposto ho sperato che tutti i bambini del quartiere fossero andati a letto con i tappi alle orecchie, perché si sprigiona un urlo liberatorio condito sul punto in cui stava per scemare da una bestemmia del “Pollo” ai quattro venti, trattenuta non so da quanti derby.
L’euforia adesso gira. Palla al centro e uomo in più. Per qualche minuto la Roma sembra resistere, provando anche a creare pericoli, che nascono soprattutto da disattenzioni laziali. I biancocelesti vedono ormai il loro destino segnato, una traversa e un palo su un gran tiro di Cissè: così è il Derby, mettiamoci l’anima in pace. Un pareggio che ha il gusto di sconfitta. Ma di certo gli sceneggiatori di Hollywood non sono gli ultimi arrivati e sanno bene come funzionano i tempi cinematografici. Tutti i dollari investiti in questa saga non possono di certo andare sprecati come quelli messi sul mercato dal buon Di Benedetto.
Al 93’ i buoni vengono fuori. Hernanes accarezza il pallone e passa al subentrato Matuzalem (che anche se è tra i buoni ha sembianze e fisionomia da pericoloso criminale) il quale serve un assist al centro dell’area per Klose. Il tedesco controlla la palla leggermente arretrata con un piccolo tocco e di destro con un colpo di fino da gigante gentile gonfia la rete un istante prima dello scorrere dei titoli di coda.
Esplosione di gioia. Meglio di un orgasmo. Meglio di Castroman. Perderei altri cinque derby di fila solo per rivivere quei dieci secondi di adrenalina pura. Il bello del calcio. Una zampata ferma il tempo. Esiste solo quell’istante. La fine già scritta di un colossal americano. Con i poveri romanisti rimasti con un magnate a stelle e strisce spaesato e con Osvaldo e Kjaer nella parte di Johnny Deep e Brad Pitt “de noantri”. Ma stavolta il destino dei giallorossi assomiglia a quello dei poveri sovietici: stesi al tappeto. Voi ci avete purgato ma noi vi abbiamo spurgato dalla vostra superbia.
Il modello Barça traslato a Roma. Due tiri nello specchio, gioco di ripartenza e scritte con l'uniposca sotto la casacca.
A fine incontro ( questo neanche i miei cugini lo possono negare ) risaltano delle differenze enormi. Compostezza di Klose e spavalderia di Osvaldo. Reja che parla di grande gioia personale, per l’ambiente e di tutto il collettivo. Non ho sentito riferimenti a “fumo della pipa” e “stanno a gode come ricci”. Battute da bar dal capitano giallorosso, sorrisi e analisi realiste di Hernanes e Brocchi. In più Reja che con grande stile sottolinea il fatto che ai giovani piace tanto parlare e fare battute ma alla fine sono le persone più anziane che indicano la strada giusta. Pollice in alto contro pollice verso. Adesso, oggettivamente, vogliamo parlare ancora di classe?
Tenetevi Osvaldo, Totti e Kjaer e le vostre finte rivoluzioni che io mi tengo stretti Brocchi ( vero gladiatore), Klose e Reja. Me li tengo nelle sconfitte e me li coccolo nelle vittorie.
Il vostro, per adesso, è  solo un amaro destino da contestatori del calcio moderno pronti ad inchinarsi al primo arabo o americano che si presenta col portafoglio pieno.
Anche Hollywood l’ha capito e ha scelto alla fine da che parte schierarsi. Ne perderemo altri mille, ma quei pochi che vinceremo saranno sempre i veri successi al botteghino. 


Ciava

venerdì 14 ottobre 2011

Verba manent. Il solito Totti ed Eto'o la domestica.

Che bello il calcio delle dichiarazioni. Basta una battuta, una sfuriata o un gioco di parole per conquistare le prime pagine dei giornali sportivi e ampi riquadri sulle testate nazionali,che tra una crisi di governo e uno scandalo trovano sempre uno spazio sufficiente per le ultime notizie del mondo pallonaro.
Così le parole di Totti su Reja diventano già un cult nell’ansia che condisce l’atmosfera prederby nella capitale. Ormai nello stivale siamo abituati a tutto e un po’ d’ironia nel calcio certo non guasta. E’ un gioco e tale deve rimanere; esistono però bersagli e bersagli. Anche se è vero che Reja ha perso tutti i derby con la Lazio mi sembrano ingiuste le frasi del capitano giallorosso verso un uomo che ha sempre dimostrato grande stile e grande carattere dentro e fuori dal campo. La mancanza di rispetto per un avversario, inoltre più anziano, non è un buon esempio da dare,visto che parliamo spesso di esempi e fair-play. Non stiamo parlando di Di Canio o Mourinho. Reja è su un altro piano e quindi le battute di Totti le trovo fuori luogo. Mai credo Tommaso Rocchi si sarebbe azzardato a pronunciare frasi del genere contro Spalleti ad esempio, allenatore di un’altra squadra. Ma già è tanto che il Pupone si sia limitato all’affronto verbale e non abbia iniziato a scalciare e sputare.
Ma siamo nati a Roma e così rotola il pallone da queste parti. Il derby se togli il prederby ( e il postderby) diventa una partita normale tra due squadre con magliette di colore diverso.
L’altra dichiarazione della settimana è quello di Samuel Eto’o. Il calciatore camerunense ha espresso la volontà di tornare nell’Inter in prestito nel periodo ( due mesi circa) in cui il campionato russo riposa a causa del Grande Freddo.
La Milano nerazzura è impazzita,tutti già pensano ad un ritorno, seppur breve,del fuoriclasse africano. Una marcia in più per la squadra di Ranieri che oltretutto si vede costretta a rinunciare per un mese all’infortunato Forlan.
Tutti a parlare degli affetti, del clamore e dell’amore di Eto’o per questa maglia e questa città. Ma sarà davvero così?
Devo ammettere che quando appressi la notizia del suo trasferimento in Russia fu uno shock per me. La sua scelta confermava ancora di più la mia idea sul Calcio Moderno. Va dove ti porta il soldo. “Se mi avessero dato lo stesso stipendio che percepivo all’Inter mai sarei andato fino in Russia”. Bella parole, grazie.
Al tempo si giustificò anche ( che già quando bisogna giustificarsi si capisce gran parte della storia) dicendo che l’aveva fatto anche per i bambini africani. Dimostrando così che tutto è possibile nella vita, qualsiasi obiettivo può essere raggiunto. Come se a Dakar e a Yaoundè non aspettassero altro. Il sogno della Madre Russia come risoluzione a tutti i problemi. Non bastano tre Champions League vinte con Barcellona e Inter. Petrolio, freddo e vodka hanno conquistato la fase Rem del continente nero a quanto pare.
Il camerunense però a Makhachkala ( capitale del Daghestan, scommetto che neanche lui sappia ancora come si pronunci) ci è andato da solo, lasciando famiglia, casa e soldi a Milano. Un sogno realizzato a metà quindi, lontano dagli affetti personali. Una sofferenza da domestica, costretta a lavorare lontana da casa per la somma di 20 milioni di euro netti all’ anno per tre stagioni.
A 30 anni, nel pieno di una carriera che avrebbe potuto ancora dare molto al mondo del calcio. Il richiamo della Russia però non si poteva rifiutare.
Adesso forse con qualche nostalgia del calcio giocato, quello vero, Eto’o prova a ricucire con questa stana proposta. Cresciuto a fame di gol e successi, il suo esilio dorato alla corte dell’oligarca padrone dell’Anzhi, sicuramente non lo può soddisfare a pieno.
Che torni pure in Italia Eto’o. Lo aspettiamo tutti a braccia aperte. Eto’o il mercenario, Eto’o la domestica, Eto’o il malinconico, Eto’o il capitalista, il figliol prodigo.
Che ci venga a raccontare le sue favole qui. Lo aspettiamo. Che torni pure. Ma se ogni volta che toccherà il pallone in uno stadio italiano sarà sommerso di fischi non ci vengano a dire che sarà razzismo per il colore della pelle. Perché sarà solamente razzismo per il colore del denaro. Lasciateci almeno scegliere chi prendere come esempio. Lasciateci scegliere il nostro Calcio. 
Sinceramente,da laziale,di Francesco Totti sentirei la mancanza se finisse di giocare a calcio domani; di Eto’o non rimpiangerei più niente. Lasciateci almeno scegliere i nostri campioni ed i nostri degni avversari.

Ciava