lunedì 17 ottobre 2011

Lazio - Roma. Hollywood si ribella agli americani.

Se avessi saputo accorgermi dei segni premonitori sarebbe stato quasi inutile vedere il Derby della capitale. A posteriori tutto sembrava già scritto. Bastava solo riconoscere nella saga della stracittadina lo zampino di qualche produttore di Hollywood che lavorava da anni in segreto a questa sceneggiatura. Una ritorsione verso i compatrioti americani, quelli di Boston, che si erano seduti dalla parte sbagliata del Tevere e impegnati tra una partita di baseball e una sbronza asturiana non sono riusciti a intendere in tempo l’aria che tirava dietro le quinte, dimenticandosi di correre ai ripari.
La trama era tanta complessa quanto lineare. Cinque derby persi di fila dai laziali, mai veramente inferiori sul campo. Una serie di sconfitte segnate dal fato, dalla frenesia, dagli episodi e dal cinismo giallorosso. Reja messo alle corde dai suoi stessi tifosi, uno stakanovista che vedeva appassire i frutti del suo lavoro sempre all’appuntamento più importante. Questa volta anche deriso da un gentiluomo come  Francesco Totti. Inoltre la designazione dell’odiato Tagliavento e una maledizione dei numeri che persiguitava l’ambiente biancoceleste. Non c’è due senza tre. Poker. Manita. E tutto quello che poteva far immaginare un'eventuale sconfitta nel sesto derby di fila, dai riferimenti tennistici a quelli linguistici. Seconda persona singolare del verbo essere, presente indicativo. Con tutti gli aggettivi e le locuzioni di scherno che ne possono seguire.
Tutti presagi negativi ma che nella tradizione hollywoodiana condiscono sempre un finale a lieto fine: di riscatto, di rivincita o per usare una celebre frase di Steven Spielberg : “ Quanno faccio nfirme cerco de fa anna tutto per peggio, na presa a male. Ma poi aa fine gli eroi troveno sempre aa forza de ribarta ie eventi e de capovorge e loro sofferenze e trasformalle nvittoria. Che sarà pure una sola dopo tante scoppole, ma è na vittoria che è na goduria. Poi appare aa scritta The end e so tutti felici e se dimenticheno dee sofferenze passate e chi s’è visto s’è visto.”
Steven Spielberg non deve essere amico di Di Benedetto probabilmente.
I romanisti, dal canto loro, si sentivano in una botte di ferro. Rianimati dall’ entusiasmo nato intorno alla figura di Osvaldo. Fiduciosi finalmente nelle pratiche ascetiche di Luis Enrique e convinti del carisma degli americani, conquistatori del mondo, mai abituati a perdere. La dea fortuna, gli yankees, Luis Enrique astro nascente, Osvaldo il panettiere e il cugino di quarto grado di Messi : come possiamo mai perdere contro una squadra di contadini? Noi gladiatori che dove passiamo lasciamo sangue e distruzione. Noi combattenti e guerrieri che se ci danno un calcetto al polpaccio ci rotoliamo per terra con le mani sul volto urlanti e disperati. Abituati allo scontro contro i leoni ma non ai contrasti sul campo. Che entriamo con piede a martello su Radu e usciamo infortunati. Che portiamo nel cuore la grinta romana, che dal decimo del primo tempo prevede la perdita di tempo ad ogni rimessa dal fondo e il piagnucolio isterico. Mi dispiace cari cugini ma avete sbagliato anche il vostro immaginario collettivo. La fame e la forza romana, se mai dovessero fare una ricerca scientifica, non risulterebbero di certo vostre cugine di quarto grado. Un consiglio: convertitevi alla mitologia “gringo” perché Heinze è stato l’unico degno di difendere i vostri colori con il cuore.
Ma torniamo al campo: è lì che va in scena l’atto finale. Quando l’arbitro fischia ci si dimentica di tutto. Ogni derby sembra come il primo ma allo stesso tempo come se fosse l’ultimo. Vita o morte. Che nei primi quindici minuti nel linguaggio laziale si traduce in assenza totale dal campo. La Roma prova ad impostare il suo classico gioco, molto disordinatamente. Pjanic, Gago e Bojan alternano belle giocate a qualche indecisione. Al quinto Konko rinvia una palla centrale, con tanto di pacco e fiocco, sul petto di Pjanic che tenta il fraseggio con Gago, il quale con un ottimo tocco sotto trova Osvaldo solo davanti a Marchetti. L'attaccante romanista di sinistro con grande freddezza segna il gol più importante della sua carriera di attaccante navigato. Che bello essere romanisti, cinque minuti e già in vantaggio. Vedere poi il nostro nuovo idolo alzare la maglietta con la scritta “ Vi ho purgato anche io” è il massimo. Prima Batistuta ora Totti. Osvaldo da panettiere di professione è entrato nei cuori della Sud. Anche se in realtà il bomber si dimostrerà un giocatore che deve ancora imparare molto. Dopo il gol eclissato totalmente dalla difesa laziale. Io fossi un tifoso romanista starei ancora sbraitando dietro il mio “idolo” consigliandogli, non con le buone maniere, di pensare a giocare invece di scriversi sberleffi sulla maglia. Che lo faccia quando capirà i meccanismi veri di questa battaglia. Totti e Delvecchio sono stati attori protagonisti di questa sfida per anni. Osvaldo si sente già pallone d’oro dopo il vantaggio.
A casa di Edoardo, dove ci eravamo riuniti in numero di venti laziali frustrati e sfigati cala il silenzio. Qualche imprecazione a divinità cristiane. Ma sbagliamo indirizzo. Ci troviamo davanti a gladiatori romani. Meglio bestemmiare i loro Dei pagani. Il fatto di aver preso gol da Osvaldo poi ha su di noi l’effetto di una retrocessione in B. La Lega Nord a suo tempo sbagliò le parole contro il povero oriundo. Avrebbe dovuto dire: “Osvaldo è una pippa, non può giocare in nazionale”. Mi sarei convertito al secessionismo anti-pippe, un' occasione mancata per il Carroccio.
Il Gazzobba, fisico e gran intenditore di cinema, era l’unico ad avere capito in cuor suo il copione già scritto e cercava di tranquillizarci : “ Siamo più forti regà…boni che vincemo stavorta”.
Ci credevamo poco. La Lazio soffriva dell’effetto Nadal senza essere mai stata Federer. Un disastro. Rimedio consigliato in caso di ulteriore sconfitta: letargo.
Il tutto ampliato dalle piccole cose che nel calcio fanno la differenza. Stekelenburg che ad ogni rimessa impiega un’eternità, rotolamenti a terra ad ogni contatto( a quando il tempo effettivo anche nel calcio? ) e Tagliavento constantemente presente nella direzione diagonale del passaggio Brocchi- Hernanes da sinistra. Al calcio si rosica e si rosica anche per questo.
Il primo tempo scorre via così con una piccola presa di coraggio della Lazio in fase di attacco, molta lotta a centrocampo, tanto agonismo e buone ripartenze in contropiede della Roma.
Nel secondo tempo Reja inserisce un Lulic in condizioni inaspettatamente ottime al posto di Radu. E’ la Lazio a giocare. Qualche occasione mal gestita negli ultimi venti metri fino ad arrivare all’episodio che cambia la gara. Brocchi sfonda centralmente chiedendo il triangolo ad Hernanes che trova lo spiraglio per smarcare il suo compagno solo davanti a Stekelenburg. Kjaer in netto ritardo si disinteressa del pallone e sposta il braccio di Brocchi che cade a terra. Rigore e rosso. Ora la caduta del laziale sembra un po’ eccessiva ma il difensore romanista ingenuamente causa un fallo da ultimo uomo che si poteva tranquillamente evitare. Con chi prendersela ? Fossi romanista sinceramente solo con Kjaer. L’attacamento alla maglia dovrebbe portare anche a delle critiche oggettive contro i propri giocatori. Tagliavento non poteva fare altrimenti: le intenzioni del difensore erano quelle di arrestare Brocchi non curandosi del pallone. Rigore. Forse dubbio. E’ per questo che il giallorosso ha ancora più colpe.
I secondi che corrono tra la preparazione di Hernanes sul dischetto e la trasformazione sono carichi di ansia. Classico momento della “regola inversa degli undici metri” : quando è la tua squadra a tirare le sensazioni sono che lo sbaglierà, se sono gli avversari già è sicuro che lo segneranno e se entrambi le squadre in questione non sono la tua ci si gode lo spettacolo raggiungendo la pace dei sensi. La tranquillità di vedere una finale ai rigori con due squadre a cui sei disinteressato è un privilegio sentimentale.
Quando il portiere giallorosso è spiazzato e vede la palla infilarsi nell' angolo opposto ho sperato che tutti i bambini del quartiere fossero andati a letto con i tappi alle orecchie, perché si sprigiona un urlo liberatorio condito sul punto in cui stava per scemare da una bestemmia del “Pollo” ai quattro venti, trattenuta non so da quanti derby.
L’euforia adesso gira. Palla al centro e uomo in più. Per qualche minuto la Roma sembra resistere, provando anche a creare pericoli, che nascono soprattutto da disattenzioni laziali. I biancocelesti vedono ormai il loro destino segnato, una traversa e un palo su un gran tiro di Cissè: così è il Derby, mettiamoci l’anima in pace. Un pareggio che ha il gusto di sconfitta. Ma di certo gli sceneggiatori di Hollywood non sono gli ultimi arrivati e sanno bene come funzionano i tempi cinematografici. Tutti i dollari investiti in questa saga non possono di certo andare sprecati come quelli messi sul mercato dal buon Di Benedetto.
Al 93’ i buoni vengono fuori. Hernanes accarezza il pallone e passa al subentrato Matuzalem (che anche se è tra i buoni ha sembianze e fisionomia da pericoloso criminale) il quale serve un assist al centro dell’area per Klose. Il tedesco controlla la palla leggermente arretrata con un piccolo tocco e di destro con un colpo di fino da gigante gentile gonfia la rete un istante prima dello scorrere dei titoli di coda.
Esplosione di gioia. Meglio di un orgasmo. Meglio di Castroman. Perderei altri cinque derby di fila solo per rivivere quei dieci secondi di adrenalina pura. Il bello del calcio. Una zampata ferma il tempo. Esiste solo quell’istante. La fine già scritta di un colossal americano. Con i poveri romanisti rimasti con un magnate a stelle e strisce spaesato e con Osvaldo e Kjaer nella parte di Johnny Deep e Brad Pitt “de noantri”. Ma stavolta il destino dei giallorossi assomiglia a quello dei poveri sovietici: stesi al tappeto. Voi ci avete purgato ma noi vi abbiamo spurgato dalla vostra superbia.
Il modello Barça traslato a Roma. Due tiri nello specchio, gioco di ripartenza e scritte con l'uniposca sotto la casacca.
A fine incontro ( questo neanche i miei cugini lo possono negare ) risaltano delle differenze enormi. Compostezza di Klose e spavalderia di Osvaldo. Reja che parla di grande gioia personale, per l’ambiente e di tutto il collettivo. Non ho sentito riferimenti a “fumo della pipa” e “stanno a gode come ricci”. Battute da bar dal capitano giallorosso, sorrisi e analisi realiste di Hernanes e Brocchi. In più Reja che con grande stile sottolinea il fatto che ai giovani piace tanto parlare e fare battute ma alla fine sono le persone più anziane che indicano la strada giusta. Pollice in alto contro pollice verso. Adesso, oggettivamente, vogliamo parlare ancora di classe?
Tenetevi Osvaldo, Totti e Kjaer e le vostre finte rivoluzioni che io mi tengo stretti Brocchi ( vero gladiatore), Klose e Reja. Me li tengo nelle sconfitte e me li coccolo nelle vittorie.
Il vostro, per adesso, è  solo un amaro destino da contestatori del calcio moderno pronti ad inchinarsi al primo arabo o americano che si presenta col portafoglio pieno.
Anche Hollywood l’ha capito e ha scelto alla fine da che parte schierarsi. Ne perderemo altri mille, ma quei pochi che vinceremo saranno sempre i veri successi al botteghino. 


Ciava

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