venerdì 9 settembre 2011

El Clasico sul Camino. El futbol verso Santiago di Compostela.

Spoorts and Culture - El Clasico sul Camino. El futbol verso Santiago di Compostela

630 chilometri percorsi tra vesciche, doppi passi e religioni calcistiche.

Il cammino di Santiago è un concentrato sintetico di tutti gli aspetti della vita. Gente pazza, innamorata, nordica, disoccupata, benestante, atea o credente si mette in marcia a dei ritmi sconosciuti alla quotidianità.

Le sofferenze e le gioie si ampliano, i problemi si accantonano,le paure svaniscono o riemergono,i dubbi rimangono o si risolvono, si diventa tutti passanti, viaggiatori in un limbo sospeso tra civiltà conosciuta e nuovo mondo inesplorato.


Le persone cercano santi, Dei, ombre o feticci e le discussioni variano dai dolori muscolari alla natura terrena di Gesù, dalla geografia alla politica estera. Non è raro quindi ritrovarsi con un compagno di "sali e scendi" a conversare delle cose più astratte ma anche delle più semplici e terrene, calcio incluso, che universalmente è punto di contatto tra storie personali a volte totalmente diverse.

Tutto il mondo è un pallone che gira. Il calcio è religione. Sul cammino di Santiago non si può non parlare di calcio.

Visioni di santi e templari si alternano nei sogni alle giocate paradisiache di Messi, ai passaggi di Iniesta e alle sfuriate diaboliche di Mourinho.

La Spagna che è attraversata dal Cammino da est a ovest e da cima a fondo è anche questo:  tanto "futbol" ma soprattutto è “El Clasico”.

La mia iniziazione a questo evento che va oltre la pura rivalità sportiva procede a piccoli passi.

Il primo periodo del mio Cammino viaggio in compagnia di un gruppo consistente di persone, tra cui due ultrà casertani, uno della Fiorentina l’altro della Lazio, entrambi con tatuaggi e collanine che testimoniano la fede calcistica. Bizzarri a volte i cammini della vita.

Dopo qualche giorno di camminata tra piccoli villaggi e campagne arriviamo a Burgos. Apprendiamo da fonti vicine al mondo civilizzato che la sera si sarebbe giocata la partita amichevole Italia – Spagna. L’evento, insolito per la vita di un pellegrino, si presentava come un’ottima scusa per rompere la routine serale che prevede solitamente chiacchere a base di birra, frutta secca e vesciche. Il calcio per una notte allontanava le nostre pene di grandi camminatori.

Ci presentiamo al pub per vedere l’incontro in 61 persone così suddivise : 22 spagnoli (cifra che comprende a loro insaputa indipendentisti baschi e catalani) 20 italiani ,(tra cui un sudtirolese,che a stento parlava italiano, ma bestemmiava come un toscano inviperito e amava la Juve al pari della sua ragazza) 5 francesi, che per tutto il primo tempo hanno discusso dell’affaire Zidane – Materazzi con eccessi di liason e “r mosce”, 7 neutri , 3 ignari e 4 ubriaconi imbucati.

L’atmosfera era quella da finale mondiale, l’inno italiano credo l’abbiano sentito fino a Santiago. Per una serie di motivi mi sono ritrovato in silenzio e seduto mentre tutti gli altri cantavano l’inno abbracciati e a squarciagola. Un insieme di sentimenti che in quel momento mi allontanavano dal riconoscermi nel testo dell’inno d’Italia. Sarà stata la presenza al mio fianco del sudtirolese, che neanche conosceva l’indirizzo della sua via di casa, figurarsi l’inno di Mameli o le chiacchere con i molti compagni baschi e catalani o forse ancora l’atmosfera di internazionalismo respirata sul Cammino, fatto sta che sono rimasto seduto e muto. Non brindo all’Italia stasera,brindo a me stesso.

La partita è un mix di accenti, dialetti e idiomi : un basco con la maglietta dell’Inghilterra impreca contro Ramos, “polentoni” del Nord elogiano Cassano, padre e figlia di Bilbao tifano solo per Llorente, un’inglese tifoso del Liverpool maledice Aquilani e quando quest’ultimo segna e chiude la partita con un 2-1 -a mio avviso meritato dall'Italia ( non è d’accordo il giorno dopo il giornale “Marca” )- facciamo appena in tempo a correre verso l’ostello, rischiando di rimanere chiusi fuori.

Sul cammino si è in Spagna ma alle 10, massimo 11 di sera tutti sotto le coperte e silenzio assoluto, la mattina si marcia.
Rimango d’accordo con Daniel, tifoso madridista e intenditore di calcio, di fermarci la Domenica in un paese che abbia almeno un bar che proietti la finale di andata del “Clasico” di Super Coppa di Spagna ( nel Camino capita anche di fermarsi in villaggio in cui la massima attrazione turistica sia un alimentari ).

Da lì a tre giorni ci perdiamo facilmente, bastano due minuti o quattro chilometri in più al giorno per non rivedersi mai più sulla strada che porta a Santiago.
In quel periodo inizio a viaggiare con una berbero marocchina cresciuta in Germania. Nascondo ai suoi occhi la voglia sfrenata di assistere alla partita, ma poi quando le confesso i miei peccati mi rivela che anche lei è una gran frequentatrice di stadi a causa del lavoro del suo compagno,che in patria si occupa del marketing promozionale del Borussia Dortmund; così come unica clausola per la prossima tappa decidiamo che essenziale sarà la presenza di un bar con annesso teleschermo.

Arrivati a Carrion de Los Condes decidiamo di fermarci e troviamo alloggio in un istituto di suore. Gli orari di chiusura sono molto rigidi: la porta verrà chiusa alle 10. El Clasico inizierà alle 10. Bisogna elaborare un piano. Nel frattempo la berbera dà forfait alla visione per la stanchezza accumulata nella lunga camminata sotto il sole delle "Mesatas” spagnole e io non tardo ad accodarmi ad un gruppetto di tre catalani giovanissimi , sul Camino dopo aver terminato il liceo e in procinto di iscriversi all’università.

Due ragazze e un ragazzo. Capisco subito come la pensano e sfodero in trenta secondi tutto il mio misero repertorio di catalano, facendogli intendere che stasera sarò il quarto "culè "( come sono chiamati i tifosi del Barça ).

Le suore si rivelano adepte della scuola di pensiero di “Suor Paola” e ci dicono che avremmo potuto vedere tranquillamente tutto il primo tempo al Bar España di fronte all’istituto per bere in tranquillità. Per il secondo tempo ci avrebbero lasciato a disposizione la loro sala tv. El clasico religioso.

Andiamo molto presto al bar e ci dobbiamo sorbire tutte le previsioni del tempo e un mega servizio sull’arrivo del Papa a Madrid per la giornata mondiale della gioventù. Partono subito gli insulti alle gerarchie ecclesiastiche e ai tifosi del Real considerati da noi tutti dei Papa Boys.  La ragazza più bella è la più agguerrita. Conosce la formazione a memoria, conserva un odio viscerale verso tutto quello che è Madrid, Mourinho lo vorrebbe alla forca e mi dice convinta per introdurmi al clima del match : “Giulio, oggi bisogna essere sicuri ma cauti, stiamo andando a vedere la partita in Spagna, a casa loro, al Bar España, dobbiamo vincere” ; intendendo per Spagna la Castilla y Leon , regione nella quale ci trovavamo. Siam catalani in terra straniera.

La tensione è ai massimi livelli e quando Ozil mette a segno il primo gol le urla di gioia dei madridisti ci lasciano ammutoliti nel nostro angolo indipendentista blaugrana. Ai tre poveri ragazzi sembrava avessero strappato il diploma, rubato la carta d’identità e ucciso le nonne. La ragazza esce a fumare due volte consecutive e ogni volta che rientra nel bar il Barça firma un gol, 1-2. Situazione capovolta. La tifosa superstiziosa riesce altre tre o quattro volte per fumare, sperando in una goleada, ma per sua sfortuna non siamo a Napoli, dove queste cose funzionano veramente. Non sono le sue sigarette ma due tossine chiamate Iniesta e Messi a  indebolire i polmoni difensivi del Real intossicandoli con le loro giocate fumose.

Il gol di Xabi Alonso è una ninna nanna agrodolce, siamo nella stanza delle suore oramai e i catalani si limitano alle imprecazioni esclusivamente contro esseri naturali, lasciando le divinità al di fuori delle maledizioni . Vengono prese di mira le acconciature dei giocatori del Real e lo stile di Mourinho, anni luce distante dalla classe del Pep.

Il giorno dopo loro prendono l’auto e tagliano quasi cento chilometri di cammino per motivi di tempo. Se la ragazza ultrà mi avesse chiesto di seguirla al Camp Nou, tifare Barça, maledire a vita il Real, metter su una famiglia nell’entroterra catalano con i manifesti di Iniesta e Messi in cucina, in salone e nelle camerette dei futuri figli, avrei lasciato perdere il cammino e tutto il resto in Italia e l’avrei seguito senza batter ciglio. Per fortuna non è andata così.

Tre giorni dopo, causa lieve tendinite rallento un po’ e la gente che ero abituato a vedere mi passa avanti. Sei chilometri possono essere un’eternità. Mi fermo in un ostello decente e alle 10 sono già pronto a dormire. Fa un caldo pazzesco, il vichingo che dorme sotto di me nel letto a castello sta conquistando tutta la Scandinavia nel sonno a colpi di “russate” e il neozelandese che mi è accanto nei piani alti, che sembra il protagonista di “Stargate”,solo che ancora più goffo, è da un’ora che si gratta senza sosta per qualche strana infezioni che predilige le pelli dell’emisfero australe.

Alle 10 e 30 mi ricordo che è il giorno del ritorno della Supercoppa, mi alzo di fretta e scappo dall’albergue alla ricerca di un bar aperto. La partita fortunatamente iniziava alle undici di sera. Orari iberici.

Non sono l’unico pellegrino. Questa volta ci sono una ventina di camminatori rimasti in piedi per seguire le loro rispettive squadre. I madridisti sono in leggera maggioranza ma per questa occasione i tifosi blaugrana sono almeno una decina. Il match inizia ai tavoli del bar, birre offerte a giro, digestivi di cui non ricordo il nome e altre prelibatezze. Ci sono anche due italiani che stranamente  non hanno interessi per la partita. Preferiscono l’alcool, le ragazze, le messe in chiesa e le chiacchere. Si incontra veramente di tutto sul Camino. Un poeta, pellegrino contromano, li amava chiamare “Cattocomunisti”.

Alla mezzanotte sono già tutti ubriachi come il risultato altalenante. Un catalano di 40 anni in quindici minuti ha fumato più spinelli di quanti chilometri avesse camminato dall’inizio del Camino. Il risultato finale è di 3-2 per il Barça. Disperazione per i madridisti. Cervezas offerta dai vincitori . Premio miglior fumatore in campo va al catalano. Premio “Ubriaco d’oro” ad un ragazzo di Madrid, che il giorno dopo, causa “resaca alcolica” è costretto a prendere l’autobus.

Alle 2 e mezza siamo ancora fuori a fare baccano, si affacciano i poveri pellegrini della pensione di sopra, la padrona del bar ci invita ad andare a dormire. Solo in quel momento, non so come, scopriamo che uno dei più accaniti tifosi del Madrid era l’hospitalero dell’albergue municipale, che avrebbe dovuto chiudere le porte alle 10 in punto . Scatta l’ovazione generale e partono cori da stadio su "Can't take my eyes off you" in versione “Hospitalero…lalalalala…”.

Ultima giro di birra alla sua salute e poi al letto, almeno io, i catalani hanno continuato un’altra ora a far baldoria.

Il giorno dopo, con le facce tra il bianco e il blaugrana per aver dormito male ci salutiamo tutti, chi camminerà 50,chi 35, chi molto meno . Ognuno il suo cammino.
Intanto il calcio si fa da parte per un po’ finché in un bar leggendo “Marca” apprendo che la Liga spagnola entra in sciopero. Un saggio signore di Burgos, di professione critico, nel senso che non gli va bene niente, mi dice stizzito che la Spagna è vicina al tracollo, la disoccupazione tocca record storici, la classe politica è incapace, Madrid è occupata dal Papa e la situazione è veramente delle peggiori ma in pochi alzano la voce. Mentre se si ferma la Liga spagnola succede un disastro. Non togliere lo sport ai spagnoli. Tutto va a rotoli, ma il Barça ha vinto e son tutti contenti. Mi dice poi che gli spagnoli si interessano di sport, ma solo quando Nadal, la nazionale di calcio o Jorge Lorenzo vincono; quando perdono non se li fila nessuno.

Per dispiacere del mio anziano compagno la Liga riapre i battenti e le protagoniste del Clasico iniziano con due spettacolari 6 a 0 e 5 a 0. Un altro pianeta. Preludio di una lunga sfida anche quest’anno.
Il mio Camino sta per terminare e io vicino alla meta mi sento un fuoriclasse.

Arrivare a Santiago è stato come vincere il mio personale Pallone d’Oro. Sarò come Messi penserete. No. Messi ne ha vinti due di seguito (al momento di scrivere, oggi sono diventati tre, ndr). Nei miei progetti futuri non ho quello di rifare il Camino a breve. Chi mi conosce sa che sono come Ronaldo (il Fenomeno, non solo per i capelli ) , che ne ha vinti sì due, ma a distanza di cinque anni . Così nel aspettando di tornare sul Camino e di rivincere il mio secondo Pallone d’oro mi consolerò con tutti gli altri “Classici” che ci saranno di qui a cinque anni. 

Buen camino
.

Ciava

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