lunedì 12 settembre 2011

La nuova Roma. Più de na squadra.

Parte male la Roma di Luis Enrique. Giallorosso non è ancora la traduzione di blaugrana nel nostro campionato.
Una sconfitta contro il Cagliari che aumenta i problemi del tecnico spagnolo, alimentando i dubbi nell’ambiente romanista.
Dai commenti dei miei cugini capisco le differenti correnti di pensiero : chi, anche se deluso dalla sconfitta, ritiene positivi alcuni spunti : molto possesso palla, una bozza di un nuovo modello di gioco che se migliorato potrà portare la squadra capitolina ad ottimi risultati e a far divertire i tifosi; chi invece crede sia tutta apparenza, tanto giro di palla senza un filo logico conduttore, come mi suggerisce “Harlong” ( gran tifoso e amante del bel calcio ) anche alcune squadre di Promozione riescono a far circolare il pallone vertiginosamente senza per questo giocare un calcio rivoluzionario. Se arrivati negli ultimi venti metri finali manca l’inserimento vincente o il cross dal fondo non incontra nessun giocatore pronto a concludere,il possesso di palla è finalizzato solo all’estetica.
Gli obiettivi prefissati sulla carta sono ancora molto distanti. Ed il problema più grande è che ci troviamo a Roma, non una piazza facile; la gente non è abituata ad aspettare.
Sogniamo tutti lo Zeman o il Guardiola di turno, ma in realtà il tifoso comune preferirebbe il brutto gioco abbinato ai buoni risultati rispetto ad una mentalità offensiva ed ad un progetto che richiede del tempo. Meglio l’anno passato, quando la Roma giocava un brutto calcio ma, vuoi per fortuna vuoi per esperienza, riusciva sempre a risolvere in maniera decente le partite.
I risultati sono tutto : se Jose Angel non avesse commesso i due errori che hanno compromesso il verdetto finale e qualche tiro sporco fosse entrato nella porta del Cagliari staremmo tutti a parlare del nuovo corso giallorosso.
Un corso che deve capire che direzione vuole prendere. Si è parlato spesso di modello Barcellona. Mès que un club (più di un club). Come se il solo nominare il club più forte del mondo e ingaggiare l’allenatore della sua seconda squadra fosse sufficiente ad un cambiamento radicale nel gioco della Roma. La strada non è quella giusta.
Fino adesso il progetto intrapreso da Di Benedetto mi sembra più simile al modello Manchester City o Real Madrid ma su un livello decisamente inferiore.
Molti soldi messi sul mercato, giocatori mediamente affermati e giovani scommesse provenienti da ogni realtà calcistica. Così gli acquisti di Gago, Heinze, Lamela, Bojan e Pjanic ricordano vagamente gli acquisti madridisti Fabio Coentrao, Sahin, Altintop e Callejon.
Il Barcellona- pensiero è distante. Una squadra ben affiatata che necessita mediamente di due acquisti l’anno, ma di altissima qualità ( Cesc e Sanchez quest’anno, Mascherano e Villa l’anno passato) e di inserimenti progressivi dei giovani della Cantera ( Thiago e compagni ). Serve sicuramente del tempo, la società giallorossa è al primo anno di una nuova avventura e gli obiettivi della dirigenza sono a lungo termine.
Anche se la Roma potenzialmente aveva già un’impostazione simile da molti anni. E’ difficile trovare un settore giovanili tra le squadre di alta classifica che negli ultimi dieci anni abbia sfornato talenti come De Rossi,Aquilani e  Francesco Totti ,facendoli giocare giovanissimi e garantendogli il minutaggio e l’acquisizione d’esperienza necessaria per diventare dei campioni. Senza contare i giocatori di medio livello che militano in seria A provenienti dal settore giovanile giallorosso come Cerci o Pepe.
Seguendo il modello catalano non ci si è soffermati però su un aspetto a mio avviso importantissimo e centrale in un progetto come quello del Barça : il piano di accoglienza che è impostato su un concetto linguistico e d’integrazione.
Non è fantascienza. Gli ultimi grandi acquisti del Barça ( se si esclude Ibrahimovic ) parlano tutti spagnolo e due di questi ( Fabregas e Villa ) venendo a giocare in Catalunya hanno ritrovato compagni di una vita con cui hanno condiviso esperienze nelle giovanili e nella nazionale. Per Fabregas è stato addirittura un ritorno a casa; il centrocampista sogna nella stessa lingua di metà rosa catalana. Inoltre la maggior parte dei componenti della rosa del Barcellona conosce a memoria i propri compagni, si è prima amici e poi colleghi.
Nella Roma multietnica invece ognuno parla la sua lingua. Osvaldo e Totti, Stekelenburg e Juan, Luis Enrique e Di Benedetto. Addirittura in conferenza stampa Pjanic, che mi ha stupito per la sicurezza e il modo di relazionarsi con la stampa a soli ventuno anni,sfoderando un francese accademico, ha dichiarato di non aver scambiato neanche due parole con De Rossi, adducendo come scusa gli impegni con la nazionale del centrocampista romano. Fabregas e Iniesta vanno al cinema insieme, le future colonne del centrocampo romanista non comunicano e non sanno comunicare.
Pirlo nella Juventus è un esempio di quanto l’ambiente e l’esperienze passate contino molto sul piano professionale.
In tutto questo calderone aggiungiamoci anche le perplessità del Pupone, non abituato a rientrare in nessun tipo di progetto che non ruoti intorno al sua carisma e l’impazienza del tifo giallorosso e la frittata è servita.
Luis Enrique deve ancora lavorare molto e non solamente sul piano del gioco.
Il nuovo modello dovrebbe essere rivoluzionario ma stenta ancora a capire in che modo esserlo.
L’America è vicina e la Catalunya è ancora molto distante.
Sicuramente la Roma ci farà ricredere. I tifosi aspettano con ansia le prime certezze del nuovo corso. Un cambio di rotta che modifichi  la maniera di pensare il calcio nella capitale. La strada è ancora lunga.
Aspettiamo fiduciosi e sogniamo tutti il giorno di leggere sugli spalti del futuro stadio di proprietà la frase che consacri la nuova vita giallorossa : "As Roma, più de na squadra".

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